ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su IL TEMPO
(Sezione: Politica       Pag.     7)
mercoledì 6 luglio 2005

di NICOLA IMBERTI

 

  

 «Ora servono fatti concreti»




 

È STATO tra i principali sostenitori della battaglia per l’astensione al referendum abrogativo della legge 40, quella sulla fecondazione assistita. Proprio per questo, quando Gianfranco Fini ha formalizzato la scelta di votare tre sì e un no lui non ci ha pensato un minuto e si è dimesso dall’esecutivo di An. Una rottura forte visto che Mantovano veniva considerato un fedelissimo del capo. Fedelissimo sì, ma sui valori non si transige. Oggi, dopo, l’assemblea nazionale che ha sancito la pace tra Fini e i suoi, Alfredo Mantovano, sottosegretario all’Interno, si dice «soddisfatto» di quanto ottenuto e pensa già al lavoro da fare nei prossimi mesi perché, spiega, «quello che chiedevamo è stato scritto su carta, ma ora va tradotto concretamente».

Insomma, concorda con Pedrizzi quando dice che il «bicchiere è mezzo pieno»?
«In realtà, non vorrei fare l’esegesi del mio collega, ma credo che Pedrizzi intendesse semplicemente dire che dopo le parole, ora serve l’azione. L’ordine del giorno unitario firmato domenica è una risposta adeguata rispetto a ciò che era stato chiesto».

Quindi è soddisfatto?
«Avevamo sollevato dei problemi di contenuto legati all’identità di An. La risposta ottenuta è sicuramente positiva».

Però avete rimandato qualsiasi passo concreto alla conferenza programmatica del prossimo autunno?
«No, non facciamo confusione. L’Assemblea programmatica avrà lo sguardo rivolto alle elezioni politiche e al contributo che An dovrà dare al programma della coalizione. Mancano dieci mesi, forse anche meno, alle elezioni. Non sono tanti, ma neanche pochi, l’importante è non concentrarsi solo sulla campagna elettorale».

Cioè?
«Ci sono dei provvedimenti concreti su cui è possibile impegnarsi fin da subito. Penso alla competitività con l’affronto delle sfide delle economie emergenti come quella cinese o al ddl Fini sulla droga che è fermo al Senato».

E la legge 40? Nell’odg unitario avete scritto, su richiesta dello stesso Fini, che la legge potrà essere modificata solo al termine della fase di sperimentazione. Questo significa che, se in quel momento governasse la sinistra, An potrebbe fare da sponda per una modifica della legge?
«L’assemblea nazionale, nella sua maggioranza, è convinta che la legge 40 sia una buona legge. Al momento quindi, non ci sarà nessuna modifica. Però, siccome è una legge che regola temi in continua evoluzione, tra uno, due, tre anni ci potrà essere una rettifica di elementi che, magari saranno superati. Ma i principi ispiratori della legge verranno sempre salvaguardati».

Cosa ne pensa del fatto che personaggi storici di An come Rebecchini e Fiori continuino ad essere in dissenso con quanto sancito dall’assemblea?
«L’Assemblea è stato un momento molto intenso. Ora spero che, a distanza di qualche giorno, possano ritornare sulle loro decisioni. Il loro è un contributo troppo importante per il partito, sarebbe un peccato se dovessero confermare la loro scelta».

E lei? Se non sbaglio non ha ancora ripreso il suo ruolo di coordinatore di An in Puglia?
«Ho ricevuto risposte sui problemi sollevati. Ora sto valutando il da farsi».

Chiederete una modifica della legge sull’aborto?
«Chiederemo una piena applicazione delle legge soprattutto nella parte che rigurada la dissuasione e la prevenzione. Su questo è importante aprire un dibattito culturale e politico».

È preoccupato da ciò che sta succendendo in Spagna?
«Assolutamente sì. Credo che occorra considerare con attenzione le riflessioni fatte dal presidente Pera. Qui non si tratta di discriminare gli omosessuali, ma di evitare che il matrimonio venga considerato al di fuori della sua logica naturale, negando ai figli la possibilità di avere due genitori intesi come padre e madre. È un problema di adesione alla realtà. Dopotutto la famiglia è la prima cosa che vediamo appena venuti al mondo».

Teme che la «deriva zapatera» possa arrivare anche in Italia?
«Credo di sì soprattutto se dovessero vincere le frange più liberitarie della sinistra italiana. Bisogna vigilare perché ciò che sta accadendo in Spagna non si trasformi nel trailer di un film che vedremo presto anche in Italia».

Come giudica la «caccia» a quel 74% di italiani che si è astenuto al referendum?
«In quel 74% c’è un po’ di tutto. Ci sono i disinteressati, i confusi, gli spaventati da certe scoperte tecniche e scientifiche, e, infine, coloro che consapevolmente hanno deciso di astenersi. È difficile usare un’unica etichetta per tutti. Quel 74%, poi, non coincide affatto con il mondo ecclesiale perché racchiude anche tanti laici».

Quindi?
«Quindi questo mondo composito chiede risposte alla politica. Ha ragione Ferrara quando dice che quella del 12 giugno è stata una "battaglia di resistenza passiva popolare". Ora occorre trasformarla in un’iniziativa attiva che coinvolga anche delle guide e non solo il popolo sparso».


    

 

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