ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su IL TEMPO
(Sezione:        Pag.     )
domenica 10 luglio 2005

 

 

  

 Secondo il sottosegretario Mantovano serve un coordinamento più stretto tra autorità giudiziarie




 

L'intensificarsi della minaccia del terrorismo islamico rende necessari una superprocura che coordini le indagini e tribunali distrettuali specializzati in questa materia, non un ministro anti-terrorismo. Dopo gli attentati di Londra il sottosegretario all'Interno, con delega alla sicurezza, Alfredo Mantovano, rispolvera la sua proposta di un raccordo tra le autorità giudiziarie che si occupano di terrorismo, mentre boccia l'ipotesi lanciata dalla «Padania» di istituire un ministero ad hoc. «C'è già il ministro degli Interni, ma a parte questo, un ipotetico ministro antiterrorismo dovrebbe occuparsi del coordinamento delle forze di polizia e delle loro articolazioni; coordinamento che già esiste e che sta dando buoni risultati - dice Mantovano - i problemi si incontrano invece sul fronte giudiziario, cioè in sede di applicazione delle norme.

Per questo una delle principali esigenze nel contrasto al terrorismo è quella di un coordinamento più stretto tra le autorità giudiziarie che si occupano di questo fenomeno e di magistrati giudicanti particolarmente attrezzati in questa direzione». Mantovano non ha dubbi: «È venuto il momento dell'istituzione di un raccordo tra le singole procure». Il sottosegretario all'Interno pensa a una «procura nazionale antiterrorismo» o in alternativa all'integrazione degli attuali poteri di coordinamento della procura nazionale antimafia alla materia del terrorismo. Ma è soprattutto sul fronte dei magistrati giudicanti che, secondo l'esponente del governo, bisogna agire per impedire il ripetersi di «decisioni basate su presupposti sbagliati» che finiscono con il vanificare il lavoro degli investigatori e delle procure. «È indispensabile che un pm specializzato nel contrasto al terrorismo abbia come interlocutore un giudice con analoghe caratteristiche per evitare le interpretazioni fantasiose che ci sono state negli ultimi tempi, come quelle di gip che hanno distinto tra guerriglia e terrorismo» dice Mantovano riferendosi al caso del giudice milanese Clementina Forleo.

L'idea è quella di un «tribunale con sede distrettuale che si occupi di questo tipo di reato». Sì, perché nella lotta al terrorismo, «non è questione solo di conoscere le norme, ma la realtà oggettiva. Bisogna possedere elementi di fatto, sapere chi è Bin Laden, come opera la sua organizzazione, conoscerne il linguaggio. E ancora: essere informati sulle risoluzioni europee e internazionali, e sulle organizzazioni inserite nelle black-list. Altrimenti è come se un giudice affrontasse un processo alla mafia, senza sapere cos'è e come opera Cosa Nostra».


    

 

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