ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su Secolo d'Italia
(Sezione: Pima Pagina   e         Pag.   10 )
martedì 22 novembre 2005

Alfredo Mantovano

 

LA NORMATIVA SULL’ABORTO

 

 

 Applichiamola tutta (compresa la prevenzione)



 

Sono trascorsi quasi vent’anni, ma il ricordo è nitido, come se fosse ieri. Facevo il pretore in un paese della provincia di Taranto; per l’esattezza, il pretore mandamentale. E’ una figura di magistrato scomparsa dal 1989 che, entro certi limiti, aveva competenza su tutto: diritto civile, azione penale, giudizio penale, controversie di lavoro; a lui ci si rivolgeva per tutto, anche semplicemente per un consiglio. Tra le sue funzioni rientrava quella di giudice tutelare: in quanto tale chiamato, dalla legge che ha introdotto in Italia l’aborto “legale” – la n. 194/1978 - ad autorizzare la minorenne che intenda interrompere la gravidanza senza dirlo ai genitori o in contrasto con la loro volontà.

Una mattina di un giorno di primavera si presenta da me una ragazza: sembrava poco più di una bambina, dimostrava 12- 13 anni, ma la carta di identità diceva che ne aveva 16. Apre la porta del mio studio, senza essere accompagnata da nessuno e, restando in piedi, mi racconta con poche parole che vuole abortire, che non ha nessuna intenzione di informare i suoi e che un’amica le ha detto di andare dal giudice per avere l’autorizzazione. La legge non mi impediva, anzi mi imponeva, di sentire la gestante e di tenere conto della sua volontà e della ragioni alla base della sua decisione. Perciò le ho chiesto se aveva idea di che cosa fosse un intervento abortivo, e se ne fosse realmente consapevole e convinta. La sua risposta è stata immediata: “perché mi fai queste domande? la legge permette di abortire e io voglio abortire”. Il resto della storia interessa fino a un certo punto; siamo stati a chiacchierare per un po’ di tempo, e ne è valsa la pena, perché alla fine, parlando e ragionando, quella bambina se ne è andata senza autorizzazione; non perché io gliela abbia negata, ma perché non la voleva più, voleva ripensarci, e magari provare a discuterne con la mamma…

Della storia interessano due dati: da un lato la drammatica solitudine di chi resta incinta senza volerlo, e non sa come venirne fuori; una solitudine che la legge 194 accentua, se spinge alla fuga da quell’aiuto che può (non sempre e non sempre con effetti positivi) venire dalla famiglia di appartenenza, per andare dal giudice-burocrate. Dall’altro il dare per scontato il ricorso all’aborto come unica via d’uscita, il considerare l’aborto come un’aspirina e la gravidanza come un’influenza, un po’ più complicata, ma comunque sempre come un fastidio del quale liberarsi presto. Questa banalizzazione - “perché mi fai queste domande? la legge lo permette” - è la conseguenza dell’esistenza di una legge che in oltre venticinque anni di vigore, al di là di ciò che si è detto al momento della sua approvazione, non ha mai realizzato una effettiva prevenzione, e, al di là di ciò che è scritto nel suo primo articolo, ha trasformato l’aborto in un mezzo di controllo delle nascite.

Oggi un ministro della Salute manifesta l’intenzione di applicare questa legge nella parte, che esiste e che non è mai stata fatta funzionare, relativa alla prevenzione/dissuasione e alla individuazione di un aiuto concreto alla gestante in difficoltà. Lo fa proponendo un coinvolgimento in tale attività di chi, da circa trent’anni, ha sperimentato che le alternative all’aborto esistono: i 280 Centri di aiuto alla vita sparsi in tutta Italia hanno garantito finora a circa 70.000 donne la libertà di non abortire e ad altrettante vite umane la libertà di non essere uccise. Sembra quasi che questo successo – un successo anzitutto per la donna, che è stata aiutata a prendere una decisione coraggiosa, ma certamente meno drammatica del ricorso all’aborto – sia una colpa, o un segnale di pericolosa parzialità, che sconsiglia un accordo con il Movimento per la vita: un accordo più stabile e meno frammentario, teso a rendere meno complicato lo svolgimento della sua attività nelle strutture sanitarie. Eppure la lettera della legge 194 dice in modo incontrovertibile: a) all’art. 2, comma 2, che “i consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni di volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita” (è la descrizione di realtà come il Mpv e dell’azione che i suoi aderenti svolgono quotidianamente); b) all’art. 5, comma 1, che il compito del consultorio è di indicare le “possibili soluzioni dei problemi proposti”, mettendo in opera “ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna”; c) allo stesso art. 5, comma 2, che il medico di fiducia, cui la gestante si sia rivolta in alternativa al consultorio, è tenuto a informarla sugli “interventi di carattere sociale cui può fare ricorso, nonché sui consultori”.

L’iniziativa di Storace è dunque legittima e doverosa, ma provoca scandalo: rischia di scardinare l’ipocrisia del sistema, secondo cui la parte di prevenzione della 194 è stata scritta per costruire un orpello formale che garantisse senza ostacoli la libera praticabilità dell’aborto. Ciò che oggi pone in imbarazzo chi ha teorizzato l’intoccabilità della 194, è che un ministro vuole finalmente applicarla, e per intero. Lo scandalo c’è, ed è positivo, perché un maggiore coinvolgimento delle associazioni di volontariato è in grado di sollecitare e di mettere in moto tutte le realtà che dovrebbero realizzare l’aiuto alla maternità difficile. Certo, è molto più comodo per una struttura sanitaria dire alla donna “questo è il certificato, vai pure ad abortire…”; una convenzione che in un ospedale consenta di avvalersi di chi ha un approccio meno formalistico e sommario può indurre invece a prendere realmente in considerazione strade diverse, senza che questo si traduca in pressioni sulla gestante. Può indurre, su un piano più generale, a rendere tematici, nel rapporto fra Stato e Regioni, temi cruciali e di rilievo costituzionale come il diritto alla salute e la tutela della maternità, e la relativa destinazione delle risorse.

Un minor tasso di ideologia e una maggiore adesione a tante drammatiche situazioni concrete fa distinguere fra chi, pur da posizioni politiche differenti, punta al rispetto delle leggi nella prospettiva del rispetto della vita, e chi invece è fermo a trincee “anni 70”, delle quali la realtà si è fatta carico di denunciare il fallimento.


 

 

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