ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su Secolo d'Italia
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Domenica 12 giugno 2005

ALFREDO MANTOVANO

 

 

 «Perché mi astengo»



 

Negli ultimi giorni della campagna referendaria abbiamo vissuto in prima persona una serie di paradossi. Personalmente, pur essendo definito anche da colleghi di partito“cattolicissimo”(spero non per esorcizzare il merito delle mie argomentazioni), sono convinto che l'umanità del concepito non è un dogma che si ricava dal catechismo: è un dato obiettivo che può essere osservato col microscopio (fino a una certa data) e con l'ecografo a partire da un’altra data. Nei dibattiti sui 4 quesiti ho incrociato laicisti di professione, che non hanno mai creduto in Dio e nell’anima, i quali, citando San Tommaso d'Aquino (vissuto quando gli strumenti di indagine scientifica erano un po’ meno precisi), cercavano di spiegare che l'essere umano può ritenersi tale solo nel momento in cui l'anima si unisce al corpo! Confesso di essermi sentito per una volta meno retrogrado e ancor meno clericale del mio contraddittore.

Ho incontrato progressisti che in genere criticano la politica economica liberista, che con disprezzo definiscono darwiniana; odiano il far west e amano le regole se si tratta di reti televisive, di privacy, di antitrust e di regolarità dei libri contabili. Costoro hanno mutato orientamento discutendo di questioni di bioetica: da progressisti si sono rivelati darwiniani, hanno teorizzato la selezione del sano a scapito del fragile e hanno difeso una salute materiale e individuale intesa in senso lato, come completo benessere fisiopsichico, approvando il far west delle regole. Il massimo però lo hanno raggiunto i radicali, da sempre libertari, da sempre favorevoli ad amnistie e a condoni, per i quali le porte delle carceri andrebbero aperte per farvi entrare il cardinale Ruini e i presidenti Pera e Casini, tutti rei di aver invitato a non votare; ciò in applicazione di norme risalenti a 50 anni fa, che non hanno nulla a che fare con ciò di cui si parla. Tralascio i paradossi di casa nostra: i meno divertenti di tutti.

Ho anche constatato, nei talk show nei quali ho avuto occasione di partecipare, una tendenza alla criminalizzazione di chi non la pensa come il prof. Umberto Veronesi o come la prof.ssa Sabrina Ferilli: più volte mi è stato detto che, essendo impegnato nel far fallire i referendum, di fatto impedirei la cura dell’Alzhaimer e del Parkinson. E’ proprio così? Il primo quesito referendario punta a eliminare i limiti posti dalla legge 40 alla sperimentazione sugli embrioni umani; mira a consentire la conservazione di embrioni congelati a scopo di ricerca, la clonazione “terapeutica” e la ricerca scientifica effettuata su cavie umane allo stadio embrionale. Il presupposto è l’equiparazione degli embrioni a “materiale” da laboratorio o a insieme di cellule da cui prelevare pezzi di ricambio. Per vincere il ricatto ideologico secondo cui chi sostiene la legge 40 non vuole la guarigione di coloro che sono affetti da gravi malattie è sufficiente leggere il bel volume (edito da Mondadori) La cura che viene da dentro, del prof. Angelo Vescovi, scopritore delle cellule staminali cerebrali: il genetista documenta in modo inconfutabile (e infatti, nessuno lo ha confutato) che finora non un solo caso clinico è stato risolto ricorrendo alle cellule staminali prelevate da embrioni, a differenza di quanto è accaduto con le staminali prelevate da adulti (con queste ultime per 58 malattie genetiche sono stati riscontrati casi clinici risolti positivamente).

Il secondo quesito punta a “produrre” più embrioni di quelli necessari per un unico impianto, e quindi a congelare i soprannumerari. A parte i problemi relativi alla crioconservazione degli embrioni (rischio di abbandono, “scadenza” a tempo determinato, alterazioni e morti embrionarie), gli studi dimostrano che il numero assoluto di “bambini in braccio” non cambia sensibilmente aumentando la produzione di embrioni per ciclo, mentre è certo che aumenta la perdita di embrioni. Il quesito chiede inoltre di allargare l’accesso della fecondazione artificiale ai portatori di malattie genetiche, consentendo di eseguire la selezione genetica preimplantatoria per scegliere i sani ed eliminare i malati, o i probabili malati, o magari quelli che potrebbero ammalarsi in futuro. Ora, la selezione genetica, pur se mossa dal legittimo desiderio – che tutti abbiamo - di far nascere un figlio sano, si risolve in una discriminazione fra esseri umani – tali sono - che sono titolari dell’uguale diritto di continuare la loro esistenza. In coerenza con queste premesse, il referendum n. 3 punta a eliminare il concepito dal novero dei soggetti titolari di diritti coinvolti nelle procedure della legge 40, mentre il quarto quesito mira a sopprimere il divieto di fecondazione eterologa, consentendo l’utilizzo di semi di uno e di entrambi i genitori diversi da quelli giuridici: in tal modo si vanifica il diritto dei figli a conoscere i genitori biologici, a causa dell’anonimato del donatore, e si aumenta il rischio di patologie relazionali all’interno delle famiglie.

Sono stati adoperati fior di luoghi comuni, del tutto svincolati dal testo della legge 40: attendo ancora che qualcuno mi segnali quale delle nuove norme obbliga concretamente la donna a ricevere l’impianto dell’embrione dopo che lo stesso è stato “prodotto”. Si è fatto un pre referendum fra premi Nobel, per concludere che 77 (versione radicale) o 88 (altra versione) si sarebbero espressi per i 4 sì. Poiché i premi Nobel in circolazione nel mondo sono 240, è lecito chiedersi quale è l’opinione degli altri: perché se fossero stati consultati e si fossero espressi diversamente, il pre referendum sarebbe fallito. Senza considerare che fra i Nobel interpellati ci sono anche quelli per la letteratura: ci faremmo curare non dico una malattia genetica, ma una semplice appendicite, da Dario Fo? L’argomento più gettonato ha riguardato la sorte della legge 194, che sarebbe travolta dal fallimento dei referendum. Chiedo: ma se questo fosse stato l’obiettivo, e se la legge 40 è stata approvata da una maggioranza più estesa di quella che sostiene il governo, che cosa avrebbe impedito di perseguirlo negli anni della discussione in Parlamento, e nell’anno seguente alla sua approvazione? Infine, la storia dei viaggi all’estero per realizzare quella fecondazione artificiale che la legge 40 avrebbe reso impossibile in Italia: per confutarla basta la constatazione che nei primi 15 mesi di applicazione il decremento di interventi è stato di appena il 3% (presumibilmente coincidenti con le mamme-nonne o con gli uteri in affitto).

Quest’appuntamento ha un peso superiore a quello di un turno elettorale. Per due ragioni. 1) La scienza oggi non è una professione liberale praticata da una cerchia ristretta di individui; è un’attività complessa, che coinvolge gruppi di ricerca internazionali; i ricercatori rispondono, oltre che alla propria coscienza, alle aspettative di chi li finanzia. Vanno delegate loro scelte che competono alla politica? O non va considerato che ogni opzione tecnologica incorpora una visione del mondo e che ogni programma di ricerca richiama un programma politico? Di fronte a questioni di tale peso, il comportamento più saggio non è forse proprio quello di rifiutare la logica referendaria del “sì-no”, che banalizza e distorce, e mantenere in vita – con una astensione attiva, cioè motivata e propagandata, e per questo educativa - un testo di legge, frutto di 7 anni di approfondimento e di confronto in Parlamento? 2) Avendo preso parte fino a 4- 5 assemblee quotidiane promosse da dirigenti e da iscritti ad AN, e avendo riscontrato una passione, un interesse e una generosità addirittura superiori a quelli che si spendono per le ordinarie campagne elettorali, sono testimone che alla base e ai quadri di AN, che non si sentono né diseducati né opportunisti, non sfugge, oltre al pur importante merito dei quesiti referendari, la posta in gioco politica, quella che emerge delle dichiarazioni di tanti autorevoli esponenti della sinistra: da questi referendum deriva, direttamente e soprattutto indirettamente, molto del futuro della politica in Italia. Deriva non soltanto la corretta impostazione del rapporto fra tecnica, scienza, politica ed etica, in un mondo in cui le scoperte genetiche entusiasmano e preoccupano al tempo stesso; deriva anche la preparazione o l’allontanamento di un futuro politico per l’Italia secondo il modello Zapatero. A chi fa politica da decenni non viene in mente questo quando il sen. Angius o l’on. Bertinotti definiscono il voto referendario decisivo per le sorti del Paese?


 

 

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