ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su la Repubblica - Salute
(Sezione:  SANITA'   Pag.     )
Giovedì 19 Giugno 2003

DI MARIAPAOLA SALMI

 

DROGA CHE LEGGE?

Rischi di tornare al passato Un testo del governo "secretato". Molte le polemiche


 

In occasione della Giornata contro la droga indetta dalle Nazioni Unite, il 26 giugno, il paese potrebbe essere chiamato ancora una volta a decidere sulla legge, annunciata ad aprile durante l’annuale Assemblea Generale dell’Onu sulle droghe, dal vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini. Scarse le notizie sui contenuti che il sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano riassume per Salute in poche ma chiare frasi: «La bozza è in via di elaborazione da oltre un anno e nelle mani di un gruppo tecnico che ha revisionato il decreto "309". La linea di fondo è simile alla legge del ‘90, la IervolinoVassalli. In primo luogo, valutazione sfavorevole anche della semplice assunzione di stupefacenti; secondo, una mano tesa al recupero in ogni momento».

Questi sarebbero i punti principali: vietato il semplice uso e, in caso contrario, sollecitazione per il tossicodipendente da parte della Prefettura ad avvicinarsi alle strutture di recupero; nessuna distinzione tra "droga leggera" e "pesante"; una sola tabella con le caratteristiche di ciascuna sostanza, stesse sanzioni penali; introduzione della «quantità massima sostenibile»; sospensione delle sanzioni penali (da 6 a 20 anni di carcere) per 6 anni invece che 4 qualora il tossicodipendente si penta e accetti il recupero (che va certificato); nessuna distinzione tra consumatore e tossicodipendente. Si tornerebbe dunque a prima del referendum del ’93, quando il 55 per cento degli italiani votò contro la punibilità del consumatore e la "dose media giornaliera". Secondo Pietro Soggiu, commissario straordinario del Dipartimento antidroga della presidenza del Consiglio, «nessuno può pensare di mandare in carcere il consumatore ma occorre intervenire».

GUIDO BLUMIR (sociologo e presidente del Comitato Scientifico "Libertà e Droga"): «Non si può affermare che le droghe sono potenti tutte allo stesso modo. Non si possono finanziare le Comunità attraverso le Regioni e sostenere che se un consumatore — equiparato al tossicodipendente e allo spacciatore perché detiene droga — si pente e accetta il trattamento di recupero gli verrà sospesa la pena. Cosa dovranno fare le Forze dell’ordine nei prossimi anni? Proibire a 10 milioni di italiani la colossale voglia che hanno di divertirsi?».

GIANLUCA BORGHI (Assessore alle Politiche Sociali della Regione EmiliaRomagna): «Cambiare la legge? Vorremmo entrare nel merito. Vorremmo che la motivazione al cambiamento fosse supportata da strategie che non possono essere quelle di annullare l’esperienza maturata in quasi vent’anni di lavoro nella logica della repressione. C’è una contraddizione di fondo nel dare competenza alle Regioni sulle tossicodipendenze e poi ricreare uno stato penale massimo e uno stato sociale minimo, nell’equiparare il consumo alla dipendenza e mettere in forse il futuro di farmaci come il metadone e l’utilità della riduzione del danno che hanno dato evidenti risultati».

DON LUIGI CIOTTI (Gruppo Abele): «Non si è avuta la possibilità di leggere il testo preliminare della legge Fini ma siamo in disaccordo con quanto letto finora sui giornali. Bisogna introdurre le distinzioni anziché eliminarle. Bisogna distinguere tra consumo, uso problematico e dipendenza. Il primo obiettivo è prevenire il consumo; il secondo intervenire attraverso la riduzione del danno per non abbandonare all’emarginazione progressiva il tossicodipendente. E’ tempo che le Regioni forniscano un assetto adeguato di riferimento all’interno del sistema dei Servizi».

RICCARDO DE FACCI (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza e Cooperativa Lotta contro l’Emarginazione): «La bozza dell’annunciato Ddl che tutti vorremmo vedere, è una rivincita politica su un certo referendum. Niente a che fare con la preoccupazione di instaurare un legame con il mondo giovanile e adulto sul problema droga. La punibilità oltre a riempire le carceri già colme, allontanerà le potenziali relazioni con i Servizi. Forse, prima di cambiare la legge, bisognerebbe interrogarci sulle capacità di esserci come adulti ed educatori. Bisognerebbe rileggere tutto quello che in anni di difficoltà abbiamo saputo costruire, e poi andare avanti».

GIAN PAOLO GUELFI (presidente della Società Italiana Tossicodipendenze): «La visione laica del problema droga ha fatto del nostro, il paese più avanzato. Qualcuno però pensa che drogarsi è come fare il "cattivo". Quindi va punito. Questo atteggiamento denota non conoscenza e preconcetti sulle dipendenze. Il primo passo è distinguere — persino l’Onu e l’Oms lo ammettono — i vari tipi di droga, l’uso ricreativo non abituale dall’uso abituale e dall’uso dipendente. La repressione non ha mai aiutato a fermare i consumi. Inoltre l’uso patologico va trattato come una malattia non come un vizio o una brutta abitudine cui basta dare uno scrollone. Vanno rinforzati i SerT ai quali invece si fa mancare l’ossigeno; vanno create strutture ospedaliere; facilitata la prescrizione del metadone perché riduce la mortalità». FRANCO CORLEONE (presidente di "Forum Droghe"): «L’obiettivo del Ddl annunciato, è di tipo salvifico. Equiparare le droghe leggere alle pesanti, abbattere l’uso del metadone, chiudere i SerT significherebbe una marea di persone in galera e sulla strada, criminalizzazione dei giovani e favoritismo per certe Comunità. Invece che su una politica repressiva si dovrebbe puntare alla politica dell’informazione. Basti dire che una sola legge, quella sulla droga, produce in Italia il 50 per cento dei detenuti. I guerrieri della droga non vogliono risolvere i problemi ma solo prolungarli all’infinito».

PAOLO JARRE (Direzione Dipartimento Patologie delle Dipendenze, Asl/5 Torino): «Le modifiche alla "309" di cui abbiamo avuto notizia dai quotidiani partono da un presupposto: il non riconoscere la natura sanitaria delle tossicodipendenze e di conseguenza il non riconoscere le competenze tecniche. Ci domandiamo solo dove troveranno i soldi per i trattamenti prevalentemente residenziali che intendono imporre, visto che i costi saranno almeno cinque volte superiori agli attuali. E’ assurdo non tener conto della tolleranza, stabilire una dose limite significa favorire lo spacciatore. Inoltre obbligare qualcuno a seguire un recupero è inattuabile e non serve a niente se non c’è la motivazione personale. Sarebbe più importante capire l’efficacia degli attuali trattamenti che hanno ridotto la mortalità, e l’efficienza dei SerT come luoghi di relazione».

DON PIERINO GELMINI (Comunità "Incontro"): «Ho letto la bozza del futuro Ddl ma dico che la riforma Fini non risolverà niente. Non è mettendoli in carcere o stabilendo la dose fissa che si risolveranno le cose. Il punto è che i SerT sono fabbriche di zombie, gravemente responsabili di quello che accade. Noi non diamo farmaci, pasticche, diamo sostegno. A Perugia ogni giorno ci sono due, tre morti. Questa è la verità, il resto è una ipocrisia. La legge bisognerebbe farla fare ai ragazzi».

ALFIO LUCCHINI (presidente FederSerd): «Di tutti i punti che andrebbero a modificare la "309", letti naturalmente dai giornali, solo uno mi sembra interessante anche se apre a molti dubbi. Ovvero, l’aumento da quattro a sei anni della possibilità di recuperare in strutture apposite (affidamento in prova) in alternativa alla pena. Ci sono le forze progettuali e socioriabilitative per attuare questo tipo di percorso? L’idea mi sembra in netto contrasto con la tendenza attuale in materia di tagli alla Sanità. Pavento inoltre un inasprimento dell’aspetto penale per chi fa modico uso di sostanze».

GIOVANNI SERPELLONI (Direzione Dip. Dipendenze Reg. Veneto): «Un cambiamento è necessario, adesso al Centro e al Sud è un disastro. Naturalmente poi ogni regione applicherà la legge in base alle sue esigenze e alla sua organizzazione. Le persone devono capire che si parte da evidenze scientifiche. Le droghe non possono essere divise in leggere e pesanti, tutte sono uguali e nocive. Il proibire non deve essere visto come lesivo dei diritti e della libertà della persona. Così come si dice che i grassi fanno male dobbiamo dire che le droghe fanno male. Non può essere un diritto usarle».

IGNAZIO MARCOZZI ROZZI (presidente dell’Agenzia Tossicodipendenze del Comune di Roma): «Oggetto della legge annunciata da Fini è un attacco alla riduzione del danno. Non distinguere cannabis ed eroina significa incentivare il narcotraffico e dare un’informazione sbagliata ai giovani. Vuol dire far sparire la cannabis e facilitare droghe leganti e uncinanti come la cocaina e l’Lsd. D’altra parte sono certo che la legge avrà un iter lungo e dovrà fare i conti con la comunità scientifica e politica internazionale. Siamo tutti d’accordo che bisogna impedire il consumo ma non si può trasformare in reato ciò che reato non è».

MARCO TOSI (Direzione Generale Famiglia e Solidarietà Sociale, Regione Lombardia): «Abbiamo forse il migliore sistema d’Europa per le dipendenze. Sicuramente degli Usa. Dobbiamo migliorare — e lo stiamo facendo, magari non tutte le Regioni con la stessa marcia — implementando i dipartimenti e l’integrazione dei SerT sul territorio. Non dimentichiamo che questi ultimi sono la finestra sul cambiamento del mercato e dei consumatori. Solo un mix sempre più stretto e avanzato tra pubblico e privato con ampie deleghe alle Regioni consentirà di progredire sulla strada giusta».

GRAZIA ZUFFA (docente di psicologia delle Tossicodipendenze, univ. Firenze): «Mentre la Spagna depenalizza uso e consumo personale, il Portogallo depenalizza la detenzione, la Francia vuol togliere le sanzioni pesanti per il consumo, la Gran Bretagna depenalizza il consumo di canapa, la Grecia incrementa le politiche di riduzione del danno, l’Italia vuole ripristinare l’arresto per chi "fuma lo spinello" e togliere di mezzo gli interventi di riduzione del danno per i tossicodipendenti».


 

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