ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su la Repubblica - Bari
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Venerdì 19 luglio 2002

DAL NOSTRO INVIATO PAOLO BERIZZI

Martina benedice il festival "Il mondo adesso ci guarda"


martina franca - Importante è il prima. Cioè il prima della prima. Quando i vecchietti immobili davanti alla barbieria di Elio, piazza Roma, di fronte c'è il palazzo Ducale dove i tecnici montano le scene, dicono semplicemente così. Alberobello ha i trulli. Castellana ha le grotte. Martina ha il festival. Lo dicono in dialetto e la cosa deve molto divertire Michiyo e Hiroko, due giapponesine di Tokyo che dei vecchietti in canottiera e maniche corte filmerebbero anche i pensieri, magari fumettandoli come nei cartoon.

Posano giulive, Michiyo e Hiroko, stringendo in palmo di mano inseparabili videocamere bonsai. E il pieghevole col programma del festival, certo. «Mangiato olecchiette, vedele spettacolo stasela». Risata. Posa. Clic: filmino. Poi alzano al cielo gli occhi mandorlati, guardano i nuvoloni che sono enormi borracce gonfie di rabbia allo stato liquido. Quando gli dici che in ventotto anni di festival ha piovuto una sola volta era il '99 e turisti americani piansero perché saltò «Ippolito ed Aricia»; quando gli spieghi che in questa Italia matta come il Giappone siam pronti a bombardare le nuvole per far piovere ridono ancora di più, le melomani del sol levante.

Ti chiedi: rideranno perché capiscono, o è solo la gioia di essere qui in Valle d'Itria? Certo ridono piano, che dentro il palazzo, nel meraviglioso atrio pronto ad accogliere scialli gioielli sindaci sottosegretari, là dentro, s'odono tocchi lievi di violino, e tappetini di trombone: arriva dall'alto, la musica. Prove. Prove individuali. Non si dovrebbe, il giorno della prima, ma qualcuno svicola, sua sponte, e intanto in sartoria cuciono gli abiti addosso alle comparse. Studenti delle elementari, delle medie, del liceo: centoventi euro a opera. «Buongiorno, questa sera, se non piove, andrà in scena la gioia di vivere». Lui si chiama Marco Gandini, vaga somiglianza con Bruce Willis. E' il regista di «Le due contesse» e «Il duello comico», qui rivisitate con tocco che molti, entusiasti, in attesa del giudizio della critica, definiscono «pazzariello». Trattasi di commedie per musica di Giovanni Paisiello, tarantino, «un omaggio alla nostra Puglia dice il neo sindaco di Martina, l'avvocato Leonardo Conserva, qui da venti giorni l'anno scorso facemmo Piccinni, cioè Bari, quest'anno tocca a Taranto».

Peccato che annotano in sala stampa e francamente non se l'aspettavano da Taranto arriveranno in pochi. Tra questi non ci sarà Rossana Di Bello, che di Taranto è giusto il sindaco. «Ha mandato un telegramma: impegni di lavoro». Mugugni, diplomazia. Che nemmeno Conserva abbia gradito si capisce, ma lui si accontenta. Del resto a inaugurare, ieri sera, c'era il sottosegretario Alfredo Mantovano, e i vertici della magistratura, e i prefetti di Bari e Taranto, e il presidente della provincia Rana più manciata di sindaci della zona. Domenica saliranno quassù il ministro della cultura Urbani e il presidente della regione Fitto. «Spetta a lui, a Fitto, la palma del migliore» dice ancora Conserva. In che senso? «Si è dato da fare per valorizzare questo festival che adesso è davvero internazionale». Tradotto significa questo. A metà anni Novanta il «Valle d'Itria» barcollava. Pochi soldi, molti debiti. Adesso il festival è sano, sanissimo. Più quaranta per cento di presenze lo scorso anno. Alberghi che scoppiano, il centro storico trasformato in un enorme bad and breakfast barocco. E chi lo ammazza più.

«In questi giorni i martinesi guadagnano quanto non guadagnano in tutto l'anno» gongola Massimo Barnaba assessore all'ecologia e alla pianificazione territoriale. «Sono testoni ma ospitali». Infatti ogni testone offre, si fa per dire, una casa ai turisti: stanze con bagno cieco che vanno via a un milione a settimana. Così, col gancio del festival, in un business che sposa lirica vendemmia e mercato immobiliare, si aprono consorzi e cooperative: e l'opera, l'opera che richiama gente da tutto il mondo fa vendere perché no ettolitri di vino, il bianco di Martina, e quintalate di cacioricotta. Un baritono coreano, l'altra sera, in un'osteria presa d'assalto dai quattrocento addetti ai lavori del festival, di cacioricotta ha riempito un tovagliolo. «Voleva farsi uno spuntino in camera» ride il violino Stefano Bianchi, da Firenze, orchestra regionale Toscana e teatro Regio di Parma, qui ogni anno da dieci anni. Ai corani, racconta uno che incorda il pianoforte, «volevamo dare mazzate: siamo musicisti ma il calcio lo guardiamo pure noi». La beffa ai mondiali, si capisce. I tenori non dimenticano. Nemmeno adesso che il festival sta per cominciare e la notte si troveranno tutti a bere primitivo nei localini davanti alla basilica di San Martino, capolavoro barocco circondato di gerani. I gerani. Qui a Martina, nella Martina storica, in questo labirinto di Arianna dalle pareti bianchissime che dorme fino alle cinque del pomeriggio, se ne vedono dappertutto: sui terrazzi, ai davanzali, sull'uscio delle case. Persino sulla strada. Guarda piazza Roma. Gerani. Intorno alla fontana che zampilla acqua e musica, dove uno stormo di norvegesi fa la danza della siccità a loro che gliene importa, tra una settimana ripartono e quel che conta è l'abbonamento acquistato via Internet. Uno è alto e biondo e ha due marsupi al collo, chissà cosa gli avranno raccontato della Puglia. Parla un buon italiano. Spiega: «Vorremmo ascoltare lirica anche di pomeriggio, sui marciapiedi no? Parigi, New Orleans. Musica. Ecco: Martina Franca è la città della musica. La musica più bella, quella che non muore mai».

Da piazza XX Settembre ci arrivi passando sotto un arco, è dietro al palazzo Ducale sbucano uno via l'altro i musicisti. Sono come ti immagini tutti i musicisti del mondo prima di un festival serio: camminano a testa mediamente bassa, portano in spalla piccole grandi rigide custodie e conservano in mano spartiti raccolti in faldoni. Vieni pure Tiziana, non è ancora la tua ora ma vuoi sentire l'aria che fa. Tiziana è Tiziana Portoghese, mezzosoprano, trentanni, viene da Bari. Canta nel Robert Bruce di Rossini, 21 e 23 luglio, in lingua francese. «Il bello di questo festival? Sono tutte opere poco conosciute. E se sei bravo puoi esplodere». Capitò anche a un certo Luciano Pavarotti, molti chili fa. «Era giovane e snello» ricorda Raffaele Montesano. «E Daniela Dessì ne vogliamo parlare? Quando passava faceva voltare tutti. Bellissima e brava». Passa il direttore artistico Sergio Segalini, «direttore ha chiamato tizio», «direttore la vogliono sul palco», «direttore è arrivata la conferma da New York»: lui è premuroso con chiunque e la sua testa pelata deve avere il dono dell'ubiquità. Stringe persino la mano alla coppia di sposi che si fanno immortalare all'ingresso di palazzo Ducale, cadillac bianca, auguri, e «venite stasera».

Loro possono. Altri no. Giuseppe per dire da ventotto anni ascolta il festival da lontano, anzi da vicino: sta fuori dal palazzo, sulla piazza dove il pomeriggio gioca a carte coi nonnini del borgo. «Costa troppo, magari mi facessero entrare una sera. Quelli della mia età settanta l'opera la masticano. Mi da emozioni, anche se rimango qui fuori seduto sulla panchina». Ogni tanto Giuseppe si spinge anche giù in fondo al paese, in piazza Garibaldi, vicino al chiostro di San Domenico (a proposito: è bellissimo ma è conciato maluccio, qualcuno si muova). Entra nella sede della società operaia, una specie di circolo dove uno paga un tot all'anno, non molto, e si garantisce un posto in cimitero. «Se ci piace il festival? Sì, però è diventata una cosa mondana. E la lirica non è mondana». Allora, ammettono con candore, «preferiamo vedere Corinne Clery». Arriverà a Martina il 9 agosto, Clery, per presentare assieme a Michele Cucuzza «Portici d'estate», rassegna di moda e spettacolo, premiati i migliori stilisti emergenti. A Palazzo Ducale si accendono le luci e arrivano le prime auto blu. Quelli che ci piace Corinne Clery chiudono il circolo e vanno a casa a piedi.


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