ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su Panorama
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Venerdì 18 novembre 2005

di Tino Oldani e Renzo Rosati

VERSO LE ELEZIONI - BILANCIO DEL GOVERNO

 

 «Tutte le riforme che ho fatto»

Dal 2001 a oggi le nuove leggi sono state 500 e le modifiche strutturali 24. In mezzo tagli fiscali, divieto di fumo, patente a punti, flessibilità del lavoro... E ancora l'impegno di Berlusconi non è finito.


 

Ce n'è per tutti, di tutte le età. Per i bebè c'è il bonus da 1.000 euro. Agli alunni di prima elementare si insegnano nuove materie come inglese e informatica. Grazie alla legge Biagi i giovani trovano più rapidamente un lavoro e la disoccupazione è diminuita dal 10,4 al 7,5 per cento. Il servizio di leva non c'è più. Per i quasi sessantenni che rinviano la pensione c'è un bonus esentasse pari al 33 per cento della busta paga.

Nei locali pubblici è proibito fumare. Sulle strade, grazie alla patente a punti, ci sono migliaia di vittime in meno. Decine di cantieri rallentano oggi la circolazione per renderla più fluida domani, quando le grandi opere saranno completate. Il numero dei computer nelle scuole è in linea con l'Europa. Contributi vari hanno agevolato l'acquisto del pc per i sedicenni, l'accesso alla banda larga per i navigatori del web e la diffusione dei decoder per il digitale terrestre. Gli sbarchi dei clandestini si sono quasi dimezzati. Il numero dei delitti è diminuito. E più di 1 milione di italiani sono usciti dalla povertà.

Non è tutto, ma basta per dare un'idea dei temi che il premier Silvio Berlusconi ricorderà agli italiani in vista delle elezioni politiche 2006. «Abbiamo realizzato l'85 per cento del Contratto con gli italiani e gettato le basi di una grande modernizzazione del Paese» dice il premier a Panorama. «Il tutto senza un solo suggerimento concreto e costruttivo della sinistra. Anzi, tutto il bene che abbiamo fatto si è scontrato ogni volta con la sua opposizione violenta».

Ora, quali e quante leggi del centrodestra l'Unione di Romano Prodi si riprometta di abolire in caso di vittoria elettorale, nessuno è in grado di dirlo. Ma se «l'ossessione di cancellare le leggi del centrodestra», come l'ha definita Sergio Romano in un editoriale, terrà banco nel centrosinistra, il lavoro in Parlamento si annuncia imponente. Dal 2001 in poi il governo Berlusconi ha varato circa 600 provvedimenti, 500 dei quali approvati dalle Camere, mentre gli altri sono in dirittura d'arrivo. E nelle 500 leggi che, a giudizio del premier, «hanno cambiato in meglio l'Italia», sono comprese 24 grandi riforme strutturali. Vediamo in sintesi quelle che hanno cambiato la vita degli italiani in modo significativo.

Riforma fiscale. All'inizio del 2001 la pressione fiscale (tasse più contributi) era del 42,8 per cento del Pil. A fine 2005 scenderà al 41. Poco più di 24 miliardi di euro, dei quali hanno beneficiato praticamente tutti i 38,3 milioni di contribuenti: in media 627 euro l'anno a testa di risparmio. Il dato tiene conto anche del maggiore aggravio delle imposte regionali e comunali. Il primo modulo di riduzione dell'Irpef nel 2003 ha prodotto benefici per 5,5 miliardi a favore di 28,6 milioni di contribuenti a reddito medio-basso e, grazie alla no-tax area, 13,2 milioni di cittadini non pagano più le tasse; il secondo modulo del 2005 ha coinvolto 15,6 milioni di contribuenti, in parte già beneficiati dal primo sgravio.

La riforma 2005, che ha ridotto le aliquote anche per i redditi sopra i 100 mila euro, è stata accusata dall'Ulivo di essere a favore dei ricchi. In realtà il maggiore risparmio si è concentrato per le fasce fra 15 e 35 mila euro. Combinando i due sgravi 2003 e 2005, i tagli più consistenti hanno riguardato i redditi da 15 mila euro (55 per cento di risparmio fiscale), seguiti da quelli da 20 mila euro (22 per cento di risparmi) e da 25 mila euro (14 per cento).

«Avremmo voluto fare di più e non è stato possibile mantenere l'impegno di giungere a due sole aliquote, del 23 e 33 per cento» dice il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. «Ma ci siamo trovati in piena stagnazione e siamo orgogliosi di non aver messo le mani nelle tasche dei contribuenti. E una riforma fiscale completa ha bisogno di 10 anni di tempo». Fra i primi atti del governo ci fu l'abolizione dell'imposta sulle successioni e donazioni oltre 150 mila euro (al di sotto era già esente), che l'ala sinistra dell'Unione vorrebbe ripristinare sui grandi patrimoni.

Scuola e università. Ottanta anni dopo la riforma Gentile del 1924, il ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti, ha interamente ridisegnato il mondo della scuola, dalle primarie all'università, fino alla ricerca. Un pacchetto di riforme che tocca circa 9 milioni di studenti. Con un obiettivo preciso: consentire ai giovani diplomati di affrontare il mondo del lavoro conoscendo almeno due lingue e le tecnologie informatiche.

Le innovazioni sono numerose. L'obbligo scolastico-formativo è stato elevato a 18 anni, con una durata di 12 anni (con l'Ulivo era di 9). Inglese e informatica obbligatori fino dalla prima elementare. Ingresso anticipato e facoltativo alla scuola dell'infanzia e a quella elementare. Doppio canale formativo nelle superiori, con la possibilità di scegliere (e di cambiare idea) tra studio e formazione professionale. Alternanza scuola-lavoro dopo i 15 anni. Obbligo della laurea specialistica per chi vuole insegnare.

La riforma Moratti è stata contestata dagli studenti in piazza. L'accusa: impoverimento della scuola pubblica, troppe risorse a quella privata. Le cifre dicono il contrario: dal 2001 al 2005 la spesa statale per l'istruzione è salita del 13,7 per cento, passando da 35,7 a 40,6 miliardi di euro. Il personale docente è pagato meglio (147 euro di aumento medio mensile). E meno precario: 90 mila nuove assunzioni e immissioni in ruolo tra il 2001 e il 2004, più altre 58 mila nel 2005.
Sarà il tempo a dire se anche la riforma dell'università, sottratta alle baronie locali e collegata al mondo delle imprese, e quella della ricerca daranno risultati altrettanto positivi. Per Michele Salvati, prodiano doc, la riforma è addirittura troppo timida: una voce controcorrente nel coro dell'opposizione.

Legge Biagi sul lavoro. Il centrodestra ha ereditato dall'Ulivo un tasso di disoccupazione del 10,4 per cento, di cui il 18,8 al Sud. Nel secondo semestre 2005 la percentuale è scesa al 7,5, il 14,1 nel Mezzogiorno. In valori assoluti si tratta di 600 mila disoccupati in meno, in maggioranza (356 mila) donne. Non solo, negli stessi cinque anni i posti di lavoro sono aumentati di un milione 589 mila. E, per sfatare una leggenda molto gettonata da parte del centrosinistra, ben 1 milione 250 mila hanno conquistato un contratto da dipendente a tempo indeterminato, altri 138 mila un contratto di lavoro autonomo. Solo 201 mila un contratto a termine. Di tutti questi rapporti, solo 20 mila sono a tempo parziale.

Insomma, pur con l'introduzione della legge Biagi sulla flessibilità del mercato del lavoro, il precariato dal 2000 al 2005 è aumentato dello 0,1 per cento, attestandosi al 12,4 per cento contro l'87,6 dei posti fissi; mentre il lavoro a tempo parziale si è ridotto dello 0,9 per cento.
«Ma ancora più importante» sottolinea il sottosegretario al Welfare, Maurizio Sacconi «è che nei nostri cinque anni con una crescita media del Pil dell'1,2 per cento l'occupazione è aumentata dell'1,9. Mentre nei cinque anni precedenti con una crescita dell'1,9 l'Ulivo aveva aumentato i posti di lavoro dello 0,4». Risultato: il Rapporto sull'occupazione appena presentato dall'Unione Europea segnala il «caso Italia» come un «fenomeno di studio».

Riforma delle pensioni. Territorio minato per tutti i governi. Eppure, per la prima volta è stata varata una riforma strutturale con l'innalzamento a 60 anni dell'età per la pensione di anzianità (61 dal 2010). Certo, la legge entra in vigore dal 1° gennaio 2008 e molti hanno parlato per questo di riforma fasulla. Ma nel frattempo il bonus per chi vuole restare al lavoro (la corresponsione in busta paga dell'equivalente netto del 33 per cento di contributi) ha registrato domande crescenti. Le richieste erano 14.113 nell'ottobre 2004, sono state 49.991 nell'ottobre 2005, senza un mese di flessione. Gli effetti? Dice Sacconi: «Per la prima volta in 40 anni il fondo pensioni Inps è andato in attivo per 5 miliardi di euro».

Salute, fumo e farmaci. Nell'ultima puntata di Rockpolitik il comico Maurizio Crozza ha ironizzato sugli ospedali in deficit e la mancanza di siringhe: «Ci faremo le iniezioni con la presa scart?». Ignorava, come tanti, che in quattro anni il governo ha aumentato la spesa sanitaria di oltre il 40 per cento, portandola da 64 a 90 miliardi di euro l'anno. Poiché questo incremento di spesa ha influito non poco nello sforamento dei parametri di Maastricht, il governo non l'ha mai sbandierato come un successo. Ma il miglioramento del servizio sanitario italiano è stato riconosciuto dalle maggiori agenzie europee, mentre Business week afferma che «un'accettabile copertura sanitaria» anche per gli extracomunitari colloca l'Italia tra i paesi a minore rischio banlieue.

Ministro per quasi quattro anni, Girolamo Sirchia aveva puntato, oltre che sull'aumento della spesa, sugli stili di vita e sulla prevenzione: è sua la legge del 2003 per la tutela dei non fumatori, che vieta di fumare nei locali pubblici. Il successore, Francesco Storace, ha spostato il tiro sugli aspetti strutturali. Il prezzo dei farmaci è stato bloccato fino al 2007, con l'obbligo per i farmacisti di suggerire medicinali equivalenti e meno costosi.

Due miliardi sono stati stanziati per ridurre drasticamente le liste d'attesa ospedaliere e ambulatoriali. Le risorse per la ricerca sono state aumentate da 185 a 285 milioni di euro, decisione che l'oncologo Umberto Veronesi, ex ministro della Salute di centrosinistra, ha pubblicamente elogiato. I contratti di lavoro per il comparto medico sono stati sbloccati, con un aumento medio mensile di 283 euro.

Meno clandestini. Nel 2000 vennero trovati in posizione irregolare 131.480 stranieri. Di questi 69.263 furono allontanati secondo varie modalità previste dalla legge Turco-Napolitano e 62.217 restarono in Italia: la stragrande maggioranza (61.528) per non aver risposto all'«intimazione del questore». Al 15 ottobre 2005 i clandestini sono scesi a 94.935; di questi 43.993 sono stati allontanati. Ma 2.354 sono stati arrestati perché recidivi mentre 1.352 occupano i centri di permanenza temporanea.

Sono i primi risultati della legge Bossi-Fini del settembre 2002. «In realtà» avverte il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano «nel 2001 ereditammo dai governi precedenti 800 mila clandestini e ne abbiamo regolarizzati 680 mila: la più grande operazione d'Europa. Da allora è però cambiata la tipologia degli immigrati irregolari: gli sbarchi sono cessati in Puglia e in Calabria, mentre proseguono in Sicilia. Oggi la stragrande maggioranza dei clandestini è costituita da gente dell'Est europeo che arriva con un visto di tre mesi e poi si ferma, come operaio o badante». Insomma, a detta del governo, un'immigrazione meno pericolosa per l'ordine pubblico.

Patente a punti. È un'innovazione che si deve alla tenacia del ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Pietro Lunardi, che non ha mai dimenticato un fratello morto in un incidente stradale. Anzitutto i dati certi. Nei primi due anni della patente a punti (1º luglio 2003 - 30 giugno 2005) sulle strade extraurbane vi sono stati 2 mila morti in meno, 50 mila feriti in meno, oltre 60 mila incidenti in meno. Dati incompleti, perché mancano quelli delle strade urbane che vengono comunicati all'Istat con grande ritardo. Lunardi calcola che i morti in meno, in due anni, siano in realtà 3 mila. Fino all'introduzione della patente a punti si registravano 7 mila morti l'anno per incidenti stradali, 350 mila feriti, 20 mila invalidi. Oggi, su 35 milioni di patentati, sono 13.500 quelli che hanno perso per intero i 20 punti. A fine luglio erano 13 milioni 300 mila i punti patente detratti.

Grandi opere. Nel contratto con gli italiani Silvio Berlusconi si era impegnato, entro la fine della legislatura, ad aprire i cantieri di almeno il 40 per cento degli investimenti previsti nel Piano decennale delle grandi opere: strade, autostrade, metropolitane, ferrovie, reti idriche e opere idrogeologiche per la difesa dalle alluvioni. Nonostante le difficoltà per reperire le risorse, il bilancio di Lunardi appare in linea con gli impegni.

Al 30 ottobre 2005 risultavano appaltate e cantierate opere per 37 miliardi di euro: risultato raggiunto in tre anni dopo l'approvazione della legge obiettivo che ha semplificato le procedure. Sempre al 30 ottobre gli interventi approvati dal Cipe assommavano a 68 miliardi, con una copertura certa di 43,1 miliardi. Nel complesso, un volano in grado di produrre una crescita di 5,5 punti del pil. Effetto che, per i primi tre anni, si è ridotto a 1,6 punti. «Se l'Italia non è andata in recessione, il merito è delle grandi opere» sostengono al ministero delle Infrastrutture.

Ecco l'elenco. È in corso il completamento dell'austostrada Palermo-Messina, promessa dal 1958. Sono aperti i primi cantieri del Mose per contrastare l'acqua alta a Venezia, progetto fermo da 37 anni. Si sono rimessi in moto i lavori per la variante di valico Firenze-Bologna, ferma dal 1982. Per il ponte sullo Stretto di Messina in ottobre è stato scelto il general contractor (Impregilo). In 11 grandi città sono in corso lavori per 121 chilometri di metropolitane, il doppio della rete esistente: i cantieri coprono 6,5 dei 15,3 miliardi previsti dal piano. Fino al 2001 la disponibilità era di appena 500 milioni di euro per quattro città (Torino, Milano, Roma e Napoli).


    

 

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