ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su IL MESSAGGERO
(Sezione:        Pag.     )
Lunedì 4 Luglio 2005

di BARBARA JERKOV

  

 An salva l’unità, Fini si scusa: sul referendum errore di metodo


 

ROMA - Niente opposizione interna per An, niente sfiducia al leader. Di pace però non è proprio il caso di parlare. Tregua armata, piuttosto. «Perché fra undici mesi si vota, e non è il momento di dividersi adesso», come ammonisce Fini.

L’assemblea nazionale di via della Scrofa si è conclusa ieri dopo un giorno e mezzo di dibattito al calor bianco, approvando con soli cinque voti contrari (su 450) la relazione del leader. Praticamente, l’unanimità. Rientra così in extremis la ribellione dell’area cattolico-sociale che fa capo ad Alemanno, Storace e Mantovano. Trovando all’ultimo istante quella mediazione che l’altra notte era saltata, su un ordine del giorno che viene sottoscritto da tutte le componenti di via della Scrofa (tutte, per la prima volta) e che Fini è costretto ad accettare e mettere ai voti (solo quattro i contrari), sebbene vi sia scritto tra l’altro che la legge 40 non si tocca, le candidature non le decide più lui da solo ma la direzione collegiale del partito, l’identità di An è quella nata a Fiuggi e quella resta.

Il leader avrebbe preferito chiudere con la sua replica, un’oretta scarsa di intervento che ben poco concedeva in concreto (resta la nomina di Matteoli a responsabile dell’organizzazione, resta l’abolizione d’imperio delle correnti), se non una simbolica autocritica sulla decisione di lasciare libertà di coscienza ai referendum («è stato un errore foriero di molti problemi per il modo , dovevamo giungere alla stessa conclusione solo dopo aver riunito un organismo del partito») e mea culpa con i suoi colonnelli per gli accenti sprezzanti dell’altro giorno: «Se ho offeso qualcuno nella mia relazione chiedo scusa».

Abbandonate le sferzate di sabato, quando aveva definito le correnti «una metastasi» per An, Fini sembra un altro. Nella sua replica ricorre a toni affettuosi, teneri perfino. Giura e spergiura che lui alla sua «comunità» è legato dalle ragioni dell’amicizia prima ancora che da quelle della politica. «Credetemi», sussurra dalla tribuna, «per me è un’autentica sofferenza non poter essere con voi nelle varie iniziative di partito a causa dei miei tanti impegni di governo, ma ho ritenuto mio compito impegnarmi al meglio come ministro degli Esteri per far fare bella figura all’Italia e ad An». Giusto stasera, per dire, sarà in Brasile. «Ecco», confida, «ho già fatto sapere al nostro ambasciatore che con il presidente Lula intendo parlare dell’impunità di cui godono in quel paese alcuni assassini». La platea accaldata apprezza il riferimento ad Achille Lollo, responsabile della strage di Primavalle.

E ancora. Chiama i suoi colonnelli uno per uno - Storace, Alemanno, Gasparri...-, cita interi passi dei loro interventi per far vedere con quanta attenzione li ha ascoltati. «Non siamo un partito di plastica e la mia gratitudine verso il partito», assicura, «è ben ferma, non immagino per me un futuro politico al di fuori di una comunità politica che mi ha dato più di quello che ho dato io». Quella faccenda delle metastasi, poi, è stata solo un infelice fraintendimento, l’ennesimo se vogliamo. «Le metastasi non sono le correnti e i capi correnti», dice, «è la degenerazione del meccanismo correntizio, di cui io sono il primo responsabile». Quanto al progetto, non rinnega lo slancio pronunciato sabato sul partito unico, Fini, ma anche qui sfuma, aggiusta, chiarisce: «Voglio radicare sempre di più An nella coalizione», spiega il vicepremier, «perché se c'è più destra nella coalizione il bipolarismo diventa davvero irreversibile. Voglio che nel prossimo futuro non si parli più del centrodestra col trattino». Le primarie? «Non sono la mia proposta», osserva, «in questa fase porre la questione della leadership di Berlusconi è sbagliato». Casini, continua il leader, ha fatto un'affermazione importante quando ha detto che il progetto di partito unitario non va archiviato: «La direzione di marcia è quella».

La conclusione è ecumenica: «Non c'è un presidente che non ha fiducia nel suo partito, non c'è un partito che non ha fiducia nel suo presidente». Fine delle ostilità, appunto. «Nessuno ha fatto passi indietro, abbiamo fatto tutti un passo avanti», chiosa il leader a fine giornata, dichiarando archiviate sfide e divisioni. «Le vivrei come una sconfitta personale e non irrilevante», giura Fini. Così come giura, un istante prima di montare in macchina e andarsene, di essere «molto soddisfatto per come si è superato un momento delicato».


    

 

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