ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su IL MESSAGGERO Giovedì 28 febbraio 2002

di GIOVANNI SABBATUCCI

PROVE DI GUERRA INCIVILE


 

LE BAGARRE, gli scambi di insulti, le risse sfiorate sono uno spettacolo poco edificante, ancorché non infrequente nella storia parlamentare italiana. Nel caso specifico della discussione alla Camera della legge sul conflitto di interessi era però difficile aspettarsi qualcosa di diverso: con una maggioranza che, constatata l'esiguità degli spazi di mediazione, decide di annullarli del tutto e di accaparrarsi l'intero piatto, arroccandosi sulla sua originaria (e discutibilissima) proposta; e con un'opposizione che, squassata da un'inedita contestazione di parte della sua stessa base, tutto può permettersi salvo un calo del livello di intransigenza su un tema così scottante.

Ce n'era dunque abbastanza per rendere incandescente il confronto. E non serviva certo che a far salire ulteriormente la tensione contribuissero gli echi sinistri della bomba "dimostrativa" esplosa martedì mattina nei pressi del Viminale. Anche qui, purtroppo, nulla di nuovo. La storia italiana recente è piena non solo di bombe misteriose, ma anche di liti poco producenti e poco dignitose a base di cui prodest? e di trame più o meno immaginarie (la novità sta semmai nella nuova figura retorica introdotta da Bossi: quella dei servizi segreti "deviati", ma a sinistra). Questa volta, però, è accaduto che il tema delle bombe (o meglio, delle incaute dichiarazioni del ministro della Giustizia circa i possibili legami fra terrorismo e contestazione di piazza) si è sovrapposto a quello del conflitto di interessi. Donde l'esasperazione dei toni che ha coinvolto anche il vicepresidente della Camera, costringendolo a interrompere la seduta, e ha poi provocato qualche segno di resipiscenza negli stessi protagonisti dello scontro.

Non è il caso, comunque, di farsi troppe illusioni. Quando il conflitto politico esce, sia pur verbalmente, dai confini del civile confronto e si trasforma in sistematica, reciproca delegittimazione, è fatale che in entrambi gli schieramenti prevalgano i fautori del gioco duro; e che i politici puri, i dialoganti, i ragionatori — non dirò i mediatori, perché non è detto che la mediazione sia sempre possibile e opportuna — vengano isolati, emarginati, costretti a farsi da parte (anche se sembra eccessivo parlare di "ostracismo" in riferimento a un prossimo viaggio americano di Massimo D'Alema), o indotti ad assumere anche loro vesti tribunizie che non gli si confanno: come è accaduto ieri mattina a un uomo solitamente pacato come l'onorevole Violante. E dire che i ragionatori non mancano, dall'una e dall'altra parte. Ne fanno fede alcune recenti dichiarazioni di Fini e di D'Alema. E lo testimonia, per chi vi ha assistito, il serrato ma civilissimo dibattito che è andato in onda martedì sera nella trasmissione televisiva di Ferrara e Lerner e che ha contrapposto l'attuale sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano, al suo predecessore nel governo dell'Ulivo, Massimo Brutti. Brutti ha fra l'altro negato (come già D'Alema nel confronto coi professori fiorentini) che in Italia vi sia oggi un regime. Mantovano ha escluso (lo ha fatto anche Fini in interviste apparse oggi) ogni rapporto di causa ed effetto tra i discorsi del Palavobis e la bomba di Roma; e ha dichiarato di non aver nulla in contrario a una diretta televisiva della manifestazione ulivista di sabato prossimo (parere che andrebbe subito girato ai responsabili della Tv di Stato). Entrambi hanno dato dimostrazione di come sia possibile confrontarsi duramente e mantenere il proprio punto senza ricorrere agli insulti o alle sparate ad effetto.

Sembrano, anzi sono, considerazioni banali. Ma occorrerà riproporle sino alla noia finché nella maggioranza prevarrà la propensione all'arroganza autoreferenziale e si farà sentire la tentazione di prendere tutto e subito, profittando dei rapporti di forza favorevoli in Parlamento, oltre che della lontananza delle prossime elezioni politiche. E finché l'opposizione, anziché preoccuparsi di predisporre le basi della sua rivincita elettorale, continuerà ad ascoltare le voci dei nostalgici, dei puri e dei protestatari per vocazione, che non hanno nulla da proporre, sul piano dei programmi, se non la patetica ricerca di una indefinibile identità perduta. Finché la vittoria degli avversari sarà considerata dall'una e dall'altra parte come una sciagura irrimediabile. Finché insomma l'alternanza al potere, sale di ogni vera democrazia, sarà vissuta e rappresentata come una simulazione, o meglio come una caricatura, della guerra civile.

vedi i precedenti interventi