ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


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Articolo pubblicato su IL MESSAGGERO
(Sezione:     Pag.   )
Sabato 27 luglio 2002

ALFREDO MANTOVANO



«Testimoniare contro la mafia non è più un salto nel buio»


Le parole che adopera don Luigi Ciotti per ricordare, a pochi giorni dal decennale dell’uccisione di Paolo Borsellino e della sua scorta, un altro anniversario, quello della morte di Rita Atria, sono importanti. Meritano gratitudine, dal momento che nessun altro aveva pensato a lei in questa circostanza, e condivisione: condivisione nei fatti più che nei discorsi. Nel luglio 1992 le norme sui collaboratori di giustizia erano in via di formazione: dopo un lungo periodo di inerzia, il Parlamento si era reso conto della necessità di una adeguata protezione e di significativi benefici per chi, staccandosi dall’organizzazione criminale di appartenenza, ne svelava dall’interno i segreti, ne ricostruiva gli organigrammi, apriva piste investigative, indicava elementi importanti per catturare i latitanti.

Quel sistema, probabilmente per l’accelerazione della fase di approvazione, aveva però dei limiti: il primo era la mancata distinzione fra i collaboratori di giustizia - i cosiddetti "pentiti" - e i testimoni di giustizia; fra chi, cioè, al di là dei drammi interiori, aveva commesso delitti e puntava soprattutto ai premi derivanti dalla collaborazione, e chi, da persona onesta, doveva essere danneggiato il meno possibile per le dichiarazioni rese in ordine a gravi fatti criminali.

Col risultato che per troppo tempo i testimoni di giustizia sono stati considerati alla stregua dei "pentiti" da chi era preposto alla loro protezione, e quindi inevitabilmente dalla gente con cui avevano relazioni. E questo ha ferito la dignità dei testimoni ancora di più delle lacune e delle disfunzioni rivelate da un sistema di protezione messo in piedi da un momento all’altro. Nel marzo 2001, con voto unanime del Parlamento, la legge è cambiata. E’ stata fissata una linea di confine netta fra "pentiti" e testimoni. Nel Servizio centrale di protezione due divisioni, con personale diversificato, si occupano in modo distinto degli uni e degli altri. Più in generale è cresciuta la consapevolezza del ruolo decisivo che nel contrasto alla mafia possono svolgere i testimoni: non solo perché, dal punto di vista processuale, la loro parola è prova piena e, a differenza dei "pentiti", non ha necessità di riscontri. Ma anche perché la persona onesta che emerge da un contesto a forte presenza criminale e riferisce quello che sa, senza lucrare premi o benefici, ha uno straordinario valore: è l’esempio della non rassegnazione e del dovere civile esercitato al massimo grado.

Dall’8 ottobre 2001 presiedo la Commissione che, ricostituita in quella data dopo le ultime elezioni, si occupa dei programmi di protezione: dall’8 ottobre 2001 fino a oggi abbiamo ammesso alla protezione 19 nuovi testimoni (erano stati 10 dall’8.10.2000 al 25.7.2001; ma deve tenersi conto che le elezioni politiche avevano forzatamente rallentato l’attività della precedente Commissione).

Credo sia più significativo ricordare che, in applicazione delle nuove norme, stiamo individuando per ciascun testimone un percorso di ritorno alla vita "normale" che, nei limiti del possibile, riduca il disagio del trasferimento nella località protetta, faccia riprendere un’attività lavorativa simile a quella svolta prima dell’ingresso nel programma, eviti danni patrimoniali e traumi per la famiglia. Tutto questo viene definito ascoltando ciascun testimone: in questi mesi abbiamo effettuato 23 audizioni di testimoni. L’obiettivo è raggiungere una soluzione condivisa: non siamo parti contrapposte, ma segmenti della stessa realtà, chiamati a decidere ciò che è meglio, nel rispetto della legge. 27 testimoni sono usciti dal programma, e di questi 19 sono stati capitalizzati.

Questo non vuol dire che manchino le difficoltà; vuol dire che esistono le norme e la buona volontà. Credo sia superfluo aggiungere che concorrono a questa conclusione anche le nuove disposizioni, approvate nel 1999, sul racket, la cui applicazione avviene in tempi rapidi e con notevole efficacia da parte del Commissario del governo, e quelle, sempre risalenti al 1999, sul risarcimento delle vittime di mafia. Testimoniare in giudizio oggi non rappresenta un salto nel buio come poteva essere dieci anni fa; rappresenta una scelta impegnativa, rispetto alla quale lo Stato non è indifferente. Anche per questo dobbiamo tutti essere grati a chi non c’è più.

Alfredo Mantovano
Sottosegretario all’Interno
Presidente della Commissione centrale
per la definizione e l’applicazione delle speciali misure di protezione


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