ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su IL MESSAGGERO
(Sezione:     Pag.    )
Venerdì 19 luglio 2002

di GIUSEPPE MARTINA

I PARENTI

Lacrime e rabbia: «Dovete prenderli»


ROMA - Di là tombe scoperchiate, lapidi distrutte e qua, oltre il nastro biancorosso e lo sbarramento di poliziotti, gente che freme, che piange, che se la prende anche con i giornalisti. Sono passate le due del pomeriggio e, sotto il sole che cuoce, i familiari dei cittadini ebrei sepolti al Verano, aspettano di avere notizie. «Appena ho saputo sono venuta di corsa — dice una donna, con le lacrime agli occhi — voglio andare a controllare se hanno fatto qualcosa anche alla tomba di mio padre. Devono farmi passare, devono farlo». Non ci sono cifre precise, anche se si cerca di fare una prima conta su quanti siano i loculi profanati: si dice 37, poi 50, poi 70. Un gruppetto di parenti si accalca attorno al fogliettino con alcuni nomi appeso sul muro di cinta del Verano, ci sono le famiglie Sonnino, Anticoli, Di Porto, Piperno, è un elenco che col passare dei minuti, inevitabilmente, si allungherà. Verso le 15,30 cominciano ad arrivare le prime personalità politiche, il sindaco Veltroni con il prefetto Del Mese in testa. «E’ un atto barbaro che non ci intimorisce ma dovete prenderli», sibila il portavoce della comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, rivolto al sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano.

In giro si respira rabbia e indignazione. «E’ una infamia prendersela con i morti», aggiunge il presidente, Leone Paserman. Poi, verso le 16, quando la polizia scientifica ha concluso gli accertamenti, anche i familiari vengono lasciati liberi di addentrarsi nell’area devastata. Ci sono colonne abbattute, c’è un busto decapitato. «Non avevano il diritto di farci questo, i responsabili sono delle bestie», piange una donna appoggiata alle spalle del marito, davanti al "monumentino" dove riposa Riccardo Pesetti, la cui lapide è stata distrutta a colpi di piccone. C’è un’incontrollabile tensione. «Sono stati gli arabi — grida un’altra donna — ma la colpa è anche di voi giornalisti che alimentate l’odio contro gli ebrei». Rabbia e dolore, tutto sommato poche parole. Resta in silenzio, scuotendo soltanto il capo, un uomo che guarda dentro la cappella della famiglia Levi, anch’essa devastata: al posto dei vasi con i fiori, ora, ci sono solo pietre, detriti. Quell’uomo non ha molta voglia di parlare. «Non dovevano farci questo — si lascia andare, alla fine — proprio nel giorno che per gli ebrei è giorno di lutto e di astinenza».


vedi i precedenti interventi