ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


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Articolo pubblicato su IL MATTINO
(Sezione:        Pag.     )
Martedì, 29 Novembre 2005

Pietro Craveri

  

 Le ragioni della grazia


 

In questa fase, il ruolo della magistratura è marginale. Per quanto sia stata molto criticata, una sentenza resta sempre una sentenza e la si deve rispettare. Giova però ripercorrere l'iter inusuale che ha avuto la vicenda. Sofri fu assolto in appello. La Suprema Corte ritenne di cassare la sentenza: nel secondo procedimento Sofri fu condannato e la sentenza passò poi in giudicato. La difesa, producendo nuovi elementi, riuscì a far riaprire il processo, cosa appunto inusuale, ma prova massima di garanzia.

La Corte di Appello di Milano ribadì comunque la condanna. Chiusa così la vicenda giudiziaria, si aprì una fase politico-istituzionale. Da più parti ci si rivolse al capo dello Stato per richiedere la grazia. Nacque una prima «impasse» procedurale. Sofri non aveva chiesto l’atto di clemenza, non essendosi mai ritenuto colpevole. Poiché il procedimento di grazia costituisce una facoltà attribuita al presidente della Repubblica, ma è istruito dal ministro di Grazia e Giustizia, che inoltre appone la controfirma quando il provvedimento viene emanato, il ministro Castelli dichiarò di non essere in grado di procedere. Ne è nato un conflitto di poteri tra il Quirinale e il governo (e nel merito entrerà la Corte costituzionale), avendo il presidente Ciampi mostrato la determinazione di concedere la grazia a Ovidio Bompressi, condannato anch’egli - come Sofri - nel processo per l’uccisione del commissario Luigi Calabresi.

Ora, con il ricovero di Sofri in ospedale, il problema si pone nuovamente e con ancora più forza. Ma quanto ci vuole nel nostro paese per dirimere casi di questo genere? La grazia è un istituto vecchio come il mondo. Esso non poggia sull'arbitrio, ma sull'equitas, che è quella forma di giustizia, presente nel diritto romano e ancor più rielaborata nel Medioevo e nell'età moderna, che tempera i rigori della legge quando eccezionalmente si ritenga che sia il caso. Per questo tale facoltà, per il suo carattere eccezionale e simbolico, è stata attribuita alla più alta carica dello Stato. Insomma, è sempre stata considerata un completamento necessario di qualsivoglia ordinamento giuridico, come il riconoscimento che la giustizia è solo terrena e richiede talvolta una riflessione in più. Ora, in Italia, siamo nella situazione che nessuno può esercitare questa facoltà. C'è anzi su ciò un braccio di ferro, perché ormai l'equazione inevitabile è: grazia uguale grazia a Sofri.

Il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, esponente di An, partito che ha guidato il fronte del no, ha rotto gli indugi e si è pronunciato in maniera responsabile per la grazia a Sofri. Per questo stupisce vedere che ancora oggi, con l’ex leader di Lc in un letto di ospedale, alcuni suoi colleghi - Storace e Gasparri tra gli altri - continuino ostinatamente a essere contrari alla chiusura della vicenda, mentre il ministro leghista di Giustizia, sibillinamente, dice soltanto: «Parlerò a suo tempo». Anche se un uomo dovesse morire, senza che su di lui si sia pronunciato quell’atto di clemenza che gran parte dell’opinione pubblica sembra volere e che lo stesso capo dello Stato mostra di voler esaminare, che cosa importa? L'Italia è fatta così, succede ben altro. Ma di questo passo può succedere davvero di peggio.


    

 

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