ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su IL MATTINO
(Sezione:        Pag.     )
Domenica 17 Luglio 2005

ELENA ROMANAZZI

 

  

 Mantovano: «Più coordinamento nelle indagini»


 

Roma. «La sinistra prima di accusare il governo di debolezza farebbe meglio a guardare dalle sue parti». Il sottosegretario al ministero dell’Interno, Alfredo Mantovano, respinge la tesi avanzata da alcuni esponenti dell’opposizione circa l’isolamento di Beppe Pisanu. «Il dialogo tra i vari ministeri è in corso, il pacchetto di misure è in fase di preparazione, tutto quello che si poteva fare nell’immediato è stato fatto e in breve tempo le nuove norme verranno sottoposte al vaglio politico». Nessuna incertezza, nessuno scontro, ma solo «una attenta analisi della situazione e delle misure necessarie per rendere ancora più efficace il contrasto al terrorismo internazionale». E - aggiunge - «mi auguro che questo provvedimento possa recepire alcune proposte del pacchetto Napoli, quali il fermo amministrativo dei ciclomotori, l’effettiva espiazione delle pena e un maggiore rigore nella custodia cautelare».

Condivide il pacchetto antiterrorismo proposto da Pisanu?
«Certo. Alcune delle linee di intervento esposte dal ministro sono emerse nel corso del Comitato nazionale per la sicurezza pubblica».

Buone parte delle norme introducono modifiche al codice penale. Pensa che il Guardasigilli si sia sentito escluso dalla discussione?
«Se da chi lavora sul campo viene segnalato che è necessario modificare l’articolo 270 bis del codice penale, non è scandaloso che Pisanu ne abbia dato conto in Parlamento».

Sottosegretario cosa manca al pacchetto in discussione?
«È necessario un coordinamento sul fronte delle indagini. Se si pensa che per le inchieste sulle nuove Br lo scontro tra le Procure è finito in Cassazione, questo è l’esempio di come sul fronte del terrorismo internazionale occorra evitare perdite di tempo. In buona parte dell’Ue esistono delle apposite strutture. Nelle riunioni operative a volte noi ci presentiamo con quindici pubblici ministeri che non sono neanche d’accordo tra di loro, questo non depone bene».

Pensa alla superprocura o a una estensione della procura antimafia?
«La seconda ipotesi è di immediata fattibilità. A mio avviso la procura antimafia dovrebbe avere una sezione autonoma a cui corrispondano altre sezioni in sede distrettuale. È necessario però che i pm antiterrorismo abbiano come interlocutori giudici specializzati per evitare il ripetersi di decisioni svincolate dalla realtà. Ci sono giudici di processi di terrorismo che non sanno qual’è la differenza tra guerrigliero e terrorista o escludono il carattere terroristico nei confronti di organizzazioni presenti in tutte le black list dell’Ue e dell’Onu. Non penso a giudici speciali ma specializzati nel loro settore».

I leghisti spingono per la chiusura delle frontiere. Lei che cosa ne pensa?
«L’Italia in passato ha sospeso in casi eccezionali l’applicazione del trattato. Se si pensa al Regno Unito, che non ha mai aderito al trattato, si comprende che il blocco non è servito. Occorre riflettere e affrontare semmai il nodo dei controlli alle frontiere per comprendere le principali modalità d’ingresso dei clandestini che non passano più per la via del mare. I centri di prima accoglienza devono essere realizzati in ogni regione e per i clandestini non ci deve essere nessuna alternativa all’espulsione».

È stato affrontato il capitolo risorse?
«È la priorità. Senza euro in tasca qualsiasi modifica alla normativa attuale non basta. Servono fondi per pagare le informazioni, per dotare l’apparato di intelligence di strutture adeguate per le intercettazioni, servono traduttori e bisogna moltiplicare i corsi di arabo per le nostre forze dell’ordine».


    

 

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