ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


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Articolo pubblicato su IL MATTINO
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Martedì 14 giugno 2005

CLAUDIO SARDO

 

  

 Il premier insiste ma la crisi di An impone a Fini di dire no al listone


 

Roma. Pier Ferdinando Casini e Francesco Rutelli. Nessun dubbio che siano in cima alla lista dei vincitori. Secondi soltanto al cardinale Camillo Ruini, grande regista della scelta astensionista e della prima storica vittoria della Chiesa in una battaglia referendaria. A questo punto, ipotizzare scenari neo-centristi è facile come fare due più due. Ma sarebbero scenari virtuali. Che oggi vivono per lo più come incubi o come spauracchi. Certo, di indizi «centristi» continua ad essere disseminato l’intero campo della politica. Il governatore di Bankitalia Antonio Fazio - anche lui cattolico disciplinato e dunque astenuto nei referendum - ha avuto proprio ieri un lungo incontro con il presidente della Camera. E il leader di Confindustria Luca di Montezemolo, dopo aver lanciato nei giorni scorsi segnali di apprezzamento a Rutelli, ha sferrato un attacco inatteso ai Ds contestando ai referendum «un etichetta partitica». Tuttavia, l’ipotesi di una ricomposizione dei due centri è sicuramente fuori dall’orizzonte del 2006. Lo stesso Bruno Tabacci, che ha rotto il tabù dicendosi favorevole ad un partito di Casini e Rutelli, ha collocato il progetto nella prossima legislatura, dopo un ritorno al proporzionale. E, comunque, gli interessati hanno smentito decisamente.

Intanto, il primo effetto del referendum nei due schieramenti sembra essere quello di un allontamento dei «partiti unici». Nella Cdl Silvio Berlusconi insisterà. A partire dal convegno di oggi, nella sede de il Tempo, dove è previsto un suo intervento. Ma la bandiera del partito «nuovo» e unitario del centrodestra è ormai per il premier più uno strumento di battaglia politica che non un progetto realistico. Al massimo Berlusconi sembra in grado di ottenere dall’Udc e da An un patto federativo, fermo restando che i tre simboli saranno separati nella scheda elettorale. L’Udc, a questo punto, ha tutto l’interesse a marcare la sua identità e capitalizzare il credito conquistato. Nel congresso di luglio Marco Follini dirà sì ad un partito «nuovo» ancorato al Ppe. Ma Berlusconi ha già fatto sapere che la gabbia è troppo stretta. In un Ppe italiano Pier Ferdinando Casini sarebbe il successore designato. Il Cavaliere sa che la linea moderata gli porta più frutti («in queste settimane - ha confidato ai suoi - Forza Italia è cresciuta di due punti e la Cdl ha ridotto a tre punti il distacco dal centrosinistra»). Tuttavia, vuole intestare questa linea a se stesso e non assegnare all’Udc una primazia. Peraltro, la crisi che il referendum ha aperto a destra è la pietra tombale della lista unitaria. Gianfranco Fini, ieri, ha provato a tamponare la falla, smentendo l’intenzione di dimettersi da presidente del partito.

Gianni Alemanno, però, l’ha subito preso in contropiede e si è dimesso da vicepresidente. Per la prima volta dopo più un decennio, si manifesta una leadership alternativa a Fini. Nella Destra sociale nessuno si illude che Alemanno diventi, a breve, qualcosa di più del capo dell’opposizione interna. Ma tra i suoi collaboratori molti scommettono su un allargamento dei dissidenti: da Publio Fiori ad Alfredo Mantovano, da Teodoro Buontempo a Gustavo Selva. E, quel che più conta per la Cdl, considerano invalicabile il confine del partito unico. Se Fini accettasse l’offerta di Berlusconi, la scissione diventerebbe inevitabile. «Diciamo no ad un partito agnostico, che non si pronuncia sui temi etici - spiega Carmelo Briguglio, vicino ad Alemanno - Un partito di destra non può avere dubbi sulla difesa della vita e della famiglia. Non a caso il 90% dei nostri elettori ha praticato l’astensione attiva». La polemica è solo agli inizi.

Ma per Fini è chiaro che la linea di difesa passa per il no (almeno in questa fase) al partito unico. Nel centrosinistra Rutelli aveva già deciso di dire no alla lista unitaria dell’Ulivo. L’esito del referendum gli dà maggior forza nel sostenere che c’è un’area cattolica e riformista, distinta e diversa dalla sinistra storica. E che, nei numeri, è assolutamente indispensabile per la vittoria dell’Unione. Il nodo che Rutelli deve sciogliere a breve riguarda, però, il tentativo di compromesso di Piero Fassino: dar vita comunque alla lista dell’Ulivo in alcune circoscrizioni, come prova dell’impegno per la Federazione. Il no di Rutelli aprirebbe la porta alla scissione della Margherita e ad una guerra nucleare nella coalizione, il cui esito è difficile da prevedere. La Margherita metterebbe apertamente in discussione la leadership di Prodi, ma potrebbe trovarsi di fronte ad una più salda alleanza tra prodiani e Ds. Ora, comunque, dopo la sconfitta nel referendum, anche la sinistra ha un motivo in più per evitare lo scontro, che avrebbe alti costi di credibilità con l’opinione pubblica.


    

 

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