ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su IL MATTINO
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Martedì 9 luglio 2002

DARIO DEL PORTO

Fabbrocino libero
Il Pg chiede gli atti:«Voglio spiegazioni»




La procura generale si occuperà del caso aperto con il ritorno in libertà di Mario Fabbrocino, l’uomo considerato l’ultimo padrino di camorra. Afferma infatti il pg Vincenzo Galgano: «Assumerò informazioni presso la procura e presso l’organo giudicante sulle ragioni che hanno determinato la scarcerazione disposta dalla nona sezione penale del Tribunale per decorrenza dei termini di custodia cautelare». Questa iniziativa, spiega il magistrato che ricopre la massima autorità requirente del distretto, gerarchicamente sovraordinata alla procura della Repubblica, è dettata dall’esigenza di «valutare rilievi disciplinari nelle condotte omissive eventualmente ravvisabili nella vicenda. Naturalmente - precisa Galgano - potrebbe anche non emergere alcuna omissione, però è necessaria una spiegazione».

La storia è ormai nota. Pur dopo una condanna a otto anni di reclusione per droga, Fabbrocino ha potuto lasciare il carcere: la sentenza, emessa con rito abbreviato, è giunta dopo la scadenza dei nove mesi fissati come limite massimo in questa fase del procedimento. Il padrino era stato arrestato a San Martin, in Argentina, nel novembre del 1997, dopo nove anni di latitanza, ed era stato estradato, sia pure solo per alcuni dei reati che gli vengono contestati, nel marzo del 2001. La notizia della scarcerazione per decorrenza dei termini è stata accolta con amarezza e incredulità negli ambienti investigativi. Non sono mancate le polemiche politiche. Il presidente della commissione Antimafia, Roberto Centaro, ha chiamato in causa il nostro sistema legislativo, mentre il sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano, ha criticato la magistratura. Il deputato diessino Giuseppe Lumia ha parlato di «scandalo».

Ieri sono intervenuti i rappresentanti delle forze dell’ordine. Il segretario nazionale dell’Associazione funzionari di polizia, Giovanni Aliquò, è caustico: «Questa serie di scarcerazioni eccellenti è sconcertante, anche perché contraddice nei fatti gli impegni che a parole tutti hanno assunto per per migliorare la qualità della vita e il rispetto della Giustizia in Italia. Non si può vanificare in questo modo il lavoro di poliziotti che hanno speso tante energie per catturare latitanti del livello di Mario Fabbrocino. E aggiungo: non so quali misure siano state adottate per evitare un’altra latitanza di Fabbrocino. So però che questi provvedimenti hanno un costo. E allora - sostiene provocatoriamente Aliquò - se dovessero emergere negligenze in questa vicenda, gli eventuali responsabili dovrebbero farsi carico di queste spese».

Un altro sindacato di polizia, il Lisipo, attraverso il segretario nazionale, Antonio De Lieto, invita lo Stato «ad avere il coraggio di adottare misure eccezionali per Napoli come ha fatto in passato contro il terrorismo. Da più parti - prosegue il segretario del Lisipo - si tenta di accreditare una presenza criminale in diminuzione e si tenta di dare un’immagine della città più rassicurante. Ma la triste realtà è sotto gli occhi di tutti e i napoletani la conoscono bene perché gli effetti negativi si ripercuotono quotidianamente su di loro». L’episodio che ha per protagonista Mario Fabbrocino riporta all’attenzione delle cronache anche i problemi strutturali che gravano sulla macchina giudiziaria italiana. E su questo argomento il procuratore generale Galgano ha le idee chiarissime: «Oggi il processo è diventato estremamente problematico e incontra lungo il suo cammino ostacoli insormontabili. Più ancora che burocratico, definirei il nostro rito penale macchinoso». Per chiarire questo concetto il pg ricorre a un esempio: «È come se tra una Lambretta e una Vespa il legislatore avesse scelto la prima, più elegante ma meno agile e veloce». Il procuratore generale di Napoli, che agli inizi degli anni Novanta ha rivestito anche le funzioni di presidente di una sezione di Corte d’Assise, non pensa però ad un ritorno al vecchio codice di procedura penale: «Questo lo escluderei - spiega - piuttosto va ricordato che esistono in altri Paesi sistemi processuali che pur nel rispetto di tutti i principi garantiscono maggiore efficienza».

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