SOTTOSEGRETARIO DI STATO
AL MINISTERO DELL'INTERNO
Dipartimento della Pubblica Sicurezza


Interventi Pubblici

 

 

Intervento del Sottosegretario all'Interno on. Alfredo Mantovano

al Convegno di Studio su "Diritti umani, libertà fondamentali e nuove schiavitù" per il 40° Anniversario della Fondazione del Club Soroptimist di Bari


Bari, 10 maggio 2003


 

Ringrazio il Soroptimist International per l'invito e formulo i migliori auguri per il 40° Anniversario della fondazione. Entro subito in argomento, prendendo spunto da quel dato positivo per il nostro Paese, che è stato così ben descritto dal Consigliere Cataldo Motta. L'Italia è stata la prima nazione al mondo ad aver adottato una buona normativa in materia, quella che ruota attorno all'art. 18 della Legge sull'immigrazione del 1998: non ho alcuna difficoltà a riconoscere ai ministri dell'epoca, Turco e Napolitano, il merito dell'innovazione. Dopo di che, pagato il pedaggio del copyright, spero di poter proseguire nella esposizione, anche perché sono convinto che la continuità istituzionale vada al di là degli schieramenti.

La distinzione tra tratta e immigrazione clandestina non ha confini netti; fra le due realtà esistono dei collegamenti, ma vi è pure un dato oggettivo di differenza: la volontarietà dell'atto. Lo straniero che vuole entrare clandestinamente in Europa o in Italia si affida alla criminalità; la persona vittima della tratta non agisce, nella gran parte dei casi, di sua volontà. Mi è capitato, qualche mese fa, di partecipare ad una delle periodiche riunioni del Consiglio dei Ministri della Giustizia e degli Affari Interni in sede europea, e di ascoltare il Commissario europeo Antonio Vittorino auspicare il varo di una risoluzione europea, a cui si sta lavorando, che formalizzi un meccanismo di protezione della vittima della tratta che collabori con le forze di polizia: la struttura del meccanismo era esattamente quello dell'art. 18 della Legge sull'immigrazione. Anche negli Stati Uniti stanno studiando qualcosa del genere.

I risultati ottenuti in Italia sono stati e sono molto incoraggianti: mi permetto di aggiornare il dato fornito dal Cons. Motta; il numero dei permessi di soggiorno rilasciati a favore delle vittime della tratta è pari, in poco più di quatto anni, complessivamente a 2494 unità e, alla data del 31.12.2002 (ultimo dato disponibile), 851 persone avevano in corso di validità un permesso di soggiorno a tale titolo. Questo non significa che le altre vittime sono state mandate indietro: dopo un certo tempo, si realizza la conversione del permesso di soggiorno per protezione nel permesso di soggiorno per studio o per lavoro, e c'è anche un'altra strada, cui farò riferimento tra un attimo. Nella graduatoria dei permessi rilasciati - parlo dei programmi in corso - al primo posto c'è la Nigeria (238 permessi), al secondo posto la Romania (150), e al terzo posto la Moldavia (132).

Per vincere il terrore che spesso caratterizza la situazione di questi nuovi schiavi, la nostra normativa non esige necessariamente la denuncia formale del trafficante da parte della vittima; alla vittima si chiede soltanto di fornire le informazioni di cui è a conoscenza, perché queste informazioni sono necessarie per colpire il fenomeno criminale. In ogni Questura è stato individuato un Funzionario referente, che si occupa specificamente dei permessi di soggiorno in base all'art. 18, e c'è un canale privilegiato per queste pratiche; c'è pure un elevato grado di collaborazione, dopo qualche difficoltà iniziale, tra le istituzioni interessate e gli organismi di volontariato che operano sul territorio.

Non ci riteniamo paghi del lavoro svolto sinora; Daniela ha ricordato prima, opportunamente, il disegno di legge sulla tratta che è all'esame, in questo momento, alla Camera dei Deputati. Questo disegno di legge è un ulteriore tassello del mosaico della prevenzione e del contrasto, ed è importante perché realizza un incremento delle sanzioni penali; benché di principio personalmente abbia qualche perplessità sull'utilità dell'inasprimento delle pene, devo osservare che su questo fronte le sanzioni penali sono troppo basse, e soprattutto producono l'effetto di vedere lo schiavista in libertà a distanza di qualche settimana o di qualche mese dalla denuncia. Tra gli elementi positivi del disegno di legge c'è anche l'estensione dei programmi di protezione in senso proprio, che si applicheranno non solo ai collaboratori di giustizia ma anche ai testimoni di giustizia, e quindi anche alle vittime da tratta che vorranno collaborare. In più, viene istituito un fondo per le misure anti-tratta, che servirà a finanziare i programmi di assistenza e di protezione sociale di cui all'at. 18 del T.U. sull'immigrazione; questo consentirà di trovare, senza le attuali difficoltà, fonti di finanziamento per i singoli programmi.

Ma prima ancora che tutto questo diventi legge, è già operativo da due anni un progetto del ministero dell'Interno, volto ad assicurare il ritorno volontario ed assistito della ex vittima nel Paese di origine. Pur essendo importanti le garanzie di piena integrazione per chi denuncia la tratta e resta in Italia con la conversione del permesso di soggiorno in un permesso per lavoro o per studio, credo che sia altrettanto importante favorire chi non può o non vuole rimanere in Italia, nella necessaria cornice di sicurezza. Si parla di rimpatrio volontario e assistito e di reintegrazione perché ci sono misure che consentono, nei limiti in cui è possibile e non alle condizioni che si possono realizzare in Italia, il ritorno di chi ha denunciato. E' in atto una collaborazione tra il ministero dell'Interno e l'OIM, l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni che, a sua volta, è collegata con altre organizzazioni di volontariato. L'OIM segnala al ministero la persona-vittima che vuole tornare al suo paese, ed elabora la scheda che contiene le informazioni necessarie ai fini dell'autorizzazione: la biografia, la descrizione del caso, le notizie giudiziarie, la verifica della effettiva volontà di rimpatrio e di inserimento lavorativo. L'interessato sottoscrive per accettazione il programma e la dichiarazione di disponibilità alla futura collaborazione ai fini di giustizia, pena la sospensione del programma.

Il programma prevede due borse-lavoro appositamente dilazionate nel tempo, di cui fruire nel Paese di provenienza: il fatto di interrompere il programma, quindi, non è un mero venir meno alla parola data, ma è qualcosa che ha conseguenze molto concrete. In base alle informazioni fornite, accertati i requisiti che la legge prevede perché qualcuno possa essere considerato vittima della tratta, il Ministro dell'Interno autorizza il rimpatrio, informando le Questure competenti, quindi si cerca di seguire gli sviluppi nel Paese di origine con dei focal point curati dall'OIM. Con questo progetto, nel 2002 sono state rimpatriate nel Paese di origine 80 vittime di tratta, cioè il numero massimo che era stato previsto in via sperimentale. Di queste 80 persone, 24 sono ora in Romania, 12 in Ucraina, 11 in Moldova, 8 in Bulgaria e così via. Altre 80 vittime sono in corso di rimpatrio nel 2003. Vorrei rilevare che non c'è un legame stretto tra questo programma e l'art. 18 del t.u. immigrazione: c'è connessione ma non coincidenza, perché degli 80 rimpatri realizzati nel 2002, solo 7 erano in possesso in precedenza di permesso di soggiorno in base all'art. 18.

Questo che cosa significa? Significa che il programma sta consentendo di mettere a disposizione un ulteriore strumento di collaborazione con le forze di polizia e con l'autorità giudiziaria, che si affianca a quello, già efficace, dell'art. 18. Di questi 80 casi sperimentali di rimpatrio assistito nel 2002, 67 hanno presentato una formale denuncia (la percentuale è elevatissima); negli altri 13 casi le persone interessate non hanno sottoscritto la denuncia, ma hanno fornito informazioni significative, e questo consente loro di fruire delle borse-lavoro. Tutto ciò ha fatto ottenere risultati importanti e ha assicurato all'Autorità Giudiziaria un elevato numero di trafficanti e di sfruttatori.

C'è da auspicare che l'impianto normativo italiano, e la sua traduzione in atti amministrativi, siano recepiti dagli altri Stati interessati al fenomeno, in modo che vi sia ovunque questa particolare attenzione all'integrazione sociale: a fronte di una legislazione e di un sistema istituzionale che risponde bene in Italia, le organizzazioni criminali si stanno spostando su altri paesi, per esempio in Germania e in Francia, che hanno normative diverse. Ma se apparteniamo tutti alla medesima Unione Europea, dovremmo ricordarcene non soltanto quando si tratta di stabilire il prezzo dei cavolfiori o lo spessore delle pizze, bensì pure quando si tratta di affrontare temi centrali per la difesa della persona. Il Governo italiano sta realizzando con i Governi di Albania, Romania, Ucraina, Moldova, un progetto finalizzato ad ottenere in ciascuna di queste nazioni una serie di attività che facilitano l'assistenza e la reintegrazione della vittima e la protezione dei familiari. Abbiamo già finanziato ed è partito da qualche giorno un progetto di prevenzione in Moldavia. Sulla strada che collega l'aeroporto moldavo alla capitale Chisinau sono già stati installati dei grandi cartelloni di sei metri per tre che indicano i siti e i numeri di telefono a cui rivolgersi quando si hanno problemi di questo tipo; è già disponibile e viene trasmesso dalle televisioni della Moldova (peraltro in mezzo a programmi pornografici, e quindi non con perfetta coerenza!), uno spot che va nella stessa direzione.

È necessario dire con estrema onestà che quello che può fare un singolo Stato, per quanto dotato di legislazione e di capacità operative avanzate, rappresenta soltanto un contributo alla soluzione del problema, non è la soluzione del problema. L'Italia non ha realizzato solo quello che ho elencato prima: nell'ultimo decreto flussi per l'ingresso di regolari in Italia ha aperto una quota privilegiata di 500 unità alla Moldavia, ed io ho fatto presente ai nostri amici Moldavi che nei prossimi anni questi 500 possono diventare 1000-2000 o possono anche ridursi a zero, sulla base della loro risposta in questo ambito. La regolarizzazione in corso sta interessando un gran numero di cittadini moldavi che fanno un lavoro del tutto onesto; ma la tratta, oggi, è una guerra; ci si trova di fronte ad organizzazioni criminali che, in certi casi, hanno strutture ed anche strumenti operativi militari. Se da un lato del fronte sono schierate le organizzazioni criminali, dall'altro dovrebbero essere schierati gli Stati, le istituzioni sovranazionali, ma anche ciascuno di noi. Adopero il termine "dovrebbero" perché ancora non è così. Dieci giorni fa sono stato in Moldavia: questo Paese è un esempio, forse il più significativo, delle difficoltà di impostare, per lo meno in tempi rapidi, un discorso serio con gli Stati di provenienza. Il tempo dirà se i buoni propositi scambiati con i colleghi del governo Moldavo si tradurranno in fatti concreti, e soprattutto se si avvierà una più concreta collaborazione su questo fronte specifico.

Nel frattempo, non si possono negare alcuni dati oggettivi: la Repubblica Moldova, nell'aprile del 2001, ha approvato una Legge, la n. 100.15, che all'art. 29 prevede che una persona, un cittadino moldavo, possa cambiare le proprie generalità, fatta salva la data di nascita, ad libitum, con una semplice richiesta all'ufficio dell'anagrafe e con un'istruttoria che dura non più di due mesi. Una graziosa interprete che mi ha accompagnato in questo viaggio, persona veramente onesta, che ha una altrettanto onesta remunerazione come interprete, aveva con sé tre passaporti, tutti regolari, tutti a sé intestati, e ciascuno con un nome diverso: il suo, quello del marito e quello dei genitori. Avrei desiderato che ci fosse stata stamattina fra noi la relatrice moldava, per chiederle: qual è lo scopo di una legge del genere? Sono in grado di darmi una risposta, pur se maliziosa, però avrei gradito conoscere la risposta da parte di chi proviene da quella nazione. Costituisce un altro dato oggettivo che, nell'import-export, le rimesse dell'emigrazione della Moldova sono più del 60% di ciò che entra nel Paese: provenienti da un qualsiasi tipo di immigrazione, regolare o irregolare, e da qualsiasi tipo di lavoro, dalla collaborazione familiare alla prostituzione. A ciò si aggiunge un fiorente turismo sessuale, modello cubano, dal quale deriva denaro in quantità per alberghi e ristoranti, e per le donne moldove che, volontariamente o per costrizione, esercitano la prostituzione.

La Moldavia è un paese poverissimo, più povero dell'Albania; il reddito medio pro-capite annuo è di 400 $. E' un paese nel quale ho visto dei bambini dormire nei cartoni, all'interno dei parchi della capitale, ma mi hanno spiegato che d'inverno gli stessi bambini, poiché si arriva a temperature di -27°, dormono sotto i tombini. Gli stessi tombini, essendoci le elezioni tra qualche giorno, sono stati sigillati, mi auguro dopo aver fatto uscire i bambini. Ecco, in un paese del genere può anche essere conveniente, come ho apertamente detto al mio collega moldavo, a breve termine non contrastare un fenomeno che, comunque, porta introiti; ma se ragioniamo in termini di guerra, il respiro dev'essere a medio o lungo termine: nella guerra conta la strategia, mentre per la singola battaglia ci si può accontentare della tattica. Un'economia che si fondi su queste basi non regge, non ha basi, poggia su pilastri marci e drogati; un'economia che ruota attorno a questi traffici non ha futuro perché distrugge la sua gioventù, che comunque va all'estero, senza lasciare un ricambio; si impongono dunque delle scelte coraggiose per la Moldavia, come per la Romania, come per la Nigeria e per tanti altri paesi. Il governo italiano è disponibile a favorire questo coraggio, perché non è vero quello che dice Don Abbondio, "nessuno nasce coraggioso", è vero invece che ciascuno cerca di darsi coraggio se ha delle ragioni per averlo.

Noi italiani abbiamo una ragione in più rispetto a quelle già esposte per incrementare l'impegno in questa direzione: nell'albergo di Chisinau dove alloggiavo, oltre a segnali evidenti di un certo antico mestiere, praticato intensivamente, c'erano segnali altrettanto evidenti della presenza di clienti italiani andati lì appositamente. Se le istituzioni italiane collaborano per sconfiggere questa vergogna, alcuni nostri connazionali collaborano al mantenimento di questa vergogna; lì e qui, perché il discorso vale anche qui. Sono convinto che il programma di protezione sociale per le vittime sia essenziale, e, senza cercare le solite scorciatoie giudiziarie, mi chiedo se l'avvio di un procedimento penale per concorso in sfruttamento di minore, non possa - a prescindere da quale sia poi l'esito del processo - ipotizzarsi per un cliente italiano che in Italia ha contatti con una persona che è evidentissimamente minore ed è evidentissimamente straniera. I programmi di reintegrazione sociale sono validi per chi ha tutte le ragioni per essere reintegrato; in altri casi, altri strumenti consentirebbero di affiancare i primi e di ottenere qualche risultato interessante.

Per concludere: quello che l'Italia sta facendo in questo momento è molto, però forse non è ancora sufficiente, perché fino a quando questo fenomeno avrà simili proporzioni, penso che molti, e in qualche modo tutti, dovrebbero avere difficoltà a dormire sereni la notte.

Vi ringrazio.

 

 

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