SOTTOSEGRETARIO DI STATO
AL MINISTERO DELL'INTERNO
Dipartimento della Pubblica Sicurezza


Interventi Pubblici

 

 

Intervento del Sottosegretario all'Interno
on. Alfredo Mantovano in occasione del Convegno "Far vincere le idee", a margine del libro di Marcello Veneziani "La sconfitta delle idee" -

Martina Franca, 3 agosto 2003


 

Ringrazio gli organizzatori della serata, in particolare Matteo Pizzigallo e Pietro Andrea Annicelli. Li ringrazio in particolare non tanto per avermi fatto parlare tra Pier Franco Bruni e Marcello Veneziani (il che mi farà sfigurare), ma per avermi consentito di tornare nella splendida città di Martina, e per avermi fatto conoscere questo chiostro straordinario. Mi chiedevo, mentre ascoltavo gli altri relatori: ma se queste pietre potessero parlare, se gli affreschi avessero voce, di quante idee ascoltate direbbero, di quanti dialoghi riferirebbero, di quali approfondimenti di cui sono stati testimoni ci aggiornerebbero?

Non sono soltanto le persone ad avere l'anima; a modo loro hanno l'anima anche le nazioni e le città. Non è l'anima ultraterrena che incontra Dio dopo il distacco dal corpo; è un'anima terrena, che sopravvive alle contingenze e vive nella storia: se Martina Franca riesce a essere protagonista nel mondo con un evento come il Festival della Valle d'Itria - che, come ricorda Paolo Isotta, non è secondo neanche al Festival di Salisburgo -, è perché, insieme con la bravura e la capacità del prof. Punzi e dei suoi collaboratori, lo sorregge l'anima di questa città.

Vengo al tema della serata. Per dire che il libro non è solo qualcosa da leggere, ma è qualcuno che ti fa pensare e col quale dialogare: col libro non si instaura mai un rapporto passivo, ma uno scambio attivo e positivo. Questa sera ovviamente non tenterò di recensire il volume di Veneziani, ma di riferirvi qualche personale annotazione apposta a margine delle pagine del libro, frutto di quel dialogo con lo scritto cui facevo riferimento: annotazioni che avranno un taglio più politico che culturale. Sulla scena del convegno ognuno è chiamato a recitare una parte, e credo di non potermi sottrarre da quella che deriva dal mio ruolo.

Riflettendo sul libro, emergono vari fattori alla base della possibile sconfitta delle idee. Adopero l'aggettivo possibile perché un tema interessante di approfondimento potrebbe essere quello di capire se ci si trova di fronte a una sconfitta provvisoria o definitiva: all'aver perso una o più battaglie o all'aver perso la guerra. Tra questi fattori provo a indicarne tre, certamente significativi:

  • il mutato scenario internazionale;
  • l'ideologia tecnocratica;
  • la trasversalità della sconfitta.

  • Lo scenario internazionale; il contesto storico. Viene in considerazione per lo meno sotto un duplice aspetto: per il post 1989 e per il post 11 settembre 2001. Ci sono per lo meno 2 profili di attenzione:

    - nel 1989 è crollato il socialcomunismo, sono crollati i suoi miti, è crollata la sua ideologia (miti e ideologie erano in realtà già morti prima della caduta del Muro). Questo non vuol dire, come scriveva Francis Fukujama proprio in quel periodo, che la storia sia finita. Vuol dire piuttosto che è scomparsa l'analisi binaria bianco-nero tipica del mondo ideologico precedente al 1989. Vuol dire, ancora, che ci si deve rimboccare le maniche, perché è necessario uno sforzo maggiore di comprensione;

    - l'11 settembre 2001 ha reso ancora più evidente il crollo della cappa ideologica artificiale: sono emerse etnie, organizzazioni politiche con base fortemente religiosa, uomini portatori di visioni del mondo alternative a quella occidentale. È emerso quello che ha descritto (non auspicato) Samuel Huntington (ne "Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale"). Anche sotto questo profilo è necessario un supplemento di studio e di attenzione.

  • L'ideologica tecnocratica: cioè, in definitiva, la convinzione diffusa in base alla quale il denaro è la misura di tutte le cose. Non è un caso l'enfasi data all'euro: il primo atto realmente significativo di unificazione europea è stato la moneta. L'Europa oggi parte concretamente dall'unificazione monetaria, e non da valori fondanti, conformi alla sua tradizione. Non è un caso, in parallelo, l'incapacità di inserire nella Costituzione europea che sta per essere varata il minimo riferimento a principi o a idee: perfino il cenno alle radici cristiane ha scandalizzato a tal punto da essere messo da parte.

    Tutto ciò fa emergere con chiarezza un'ideologia che, pur non dichiarata esplicitamente, tuttavia esiste e ha influenza: l'ideologia tecnocratica. Il denaro può apparire un fattore neutro, ma non lo è: se è idolatrato non è più semplicemente un mezzo. La neutralità non esiste in natura: e quando qualcuno impartisce lezioni da una cattedra dichiaratamente super partes, bisogna aumentare la capacità di discernimento e chiedergli, o chiedersi, a quale ideologia fa riferimento.

    Le radici dell'ideologia tecnocratica sono remote: risalgono a Saint-Simon (fine '700 - inizi '800) e ad August Comte (prima metà '800). Ma esistono due antecedenti illustri: Cartesio e Galileo. Se per il primo vale ciò che è misurabile, per Galileo (nel Dialogo dei massimi sistemi) bisogna misurare il misurabile, e rendere misurabile ciò che non lo è (il che, paradossalmente se si pensa al mito di Galileo, è un buon fondamento della violenza ideologica).

    Nell'ottica tecnocratica la politica non funziona perché non usa i metodi delle scienze esatte. Non funziona perché si ostina ad affidare le decisioni a persone che non hanno competenza (cioè non sono dei tecnici). Ciò che è misurabile - in quest'ottica - è buono e reale, ciò che non lo è rientra nell'irrazionale, ed è da combattere. Non si tratta di pensierini in libertà, ma di convinzioni così diffuse da produrre effetti concreti: è difficile dimenticare che gli anni 90 della storia italiana hanno fatto assistere a non marginali esperimenti di "governi tecnici", con prefetti al vertice del Viminale e generali dell'esercito al vertice del ministero della Difesa… La conseguenza in termini di "sconfitta idee" è evidente: la scienza ha per oggetto tutto ciò che è quantità e può essere misurato, non ciò che è qualità. E se tutto ciò che è qualità va combattuto, chi ne fa le spese sono i giudizi di valore e i principi morali. Ovviamente questo non vuol dire disprezzo per finanza, l'economia, o le scienze. Vuol dire invece desiderio di rispetto per le gerarchie, in base alle quali la morale giudica la politica e la politica guida l'economia e la finanza. Mi occupo ogni tanto di immigrazione: guai se le scelte su questo fronte - ma gli esempi si potrebbero moltiplicare - fossero determinate esclusivamente dalle scienze che più direttamente hanno a che fare con questo settore, e quindi dalla statistica o dalla demografia. Esse sono importantissime per far comprendere che cosa accade e per porre i problemi nella loro esatta dimensione: ma è la politica che è chiamata a decidere quanti stranieri possono entrare regolarmente; in base a indici non solo statistici o demografici, il numero può essere maggiore o minore della mera differenza fra il numero annuale dei decessi e dei nuovi nati.

  • la trasversalità della sconfitta delle idee. Secondo Veneziani questa sconfitta interessa alla medesima maniera sia la Destra che la Sinistra. Mi permetto di dissentire: anche se qualche uomo sedicente di Destra lavora attivamente per dare nei fatti piena ragione a Veneziani, oso ritenere che la sconfitta delle idee sia strutturalmente propria della Sinistra e interessi la Destra solo congiunturalmente. Ricordo un sofferto articolo di qualche anno fa di Miriam Mafai su la Repubblica, allorché paragonava il partito dei DS a una sorta di supermarket con stand diversificati, non legati da un filo unitario, ciascuno dei quali forniva un prodotto in grado di allettare un segmento di mercato; è il trionfo del relativismo e l'annullamento di ogni idea dotata di radicamento. Nel centrodestra non mancano i fattori inquinanti, della cui presenza non è il caso di meravigliarsi: il sistema bipolare impone schieramenti ampi, che finiscono col costituire dei megacontenitori. L'importante è esserne consapevoli, e lavorare perché nel contenitore non manchino le idee e i valori: i quali vanno salvati dalle onde del libertarismo e del filoanarchismo, ma anche dalla convinzione che per fare buona politica basta e avanza la buona amministrazione: condivido in pieno la critica di Veneziani a questa convinzione, profondamente errata, che dappertutto - anche in Puglia (dando per scontato che l'amministrazione ci sia, e che sia perfino buona: il che spesso è da dimostrare) - sta producendo danni gravi. Tra i fattori inquinanti non trascurerei, in certi casi, una estrema disinvoltura nei comportamenti quotidiani: dettati dal rendere l'amministrazione ancora più buona…?

* * *

Detto questo, non è detto tutto. Il saggista può limitarsi a operare un'analisi; il politico, se ha un minimo di rispetto per sé stesso e per il ruolo che svolge, deve far seguire all'analisi la terapia. Deve, per non far coincidere la propria funzione con una disperata lotta di sopravvivenza sulla scena. A mio avviso, per la terapia vanno tenuti in considerazione, fra gli altri, per lo meno tre profili:

  • il contesto storico nel quale viviamo;
  • la centralità dell'uomo e delle sue scelte;
  • la necessità di adeguare le strutture operative della politica, a cominciare dai partiti.

  • - il contesto storico nel quale viviamo, lo scenario. Anche se per qualcuno sarà solo "caso", mi sia permesso il richiamo alla Provvidenza: che dispone gli eventi e le persone che ne sono protagoniste per congiunzioni e consonanze, in un modo tale che è veramente arduo immaginare occasionale.

    Vado per cenni: attualmente alla guida della nazione più forte del globo vi è un uomo di destra, non esattamente come la intendiamo in Italia, ma certamente lontanissimo dalle suggestioni liberal del suo predecessore: un uomo che non si vergogna di dichiarare in pubblico di trarre la propria forza dalla preghiera, che fonda la sua azione politica sul rispetto del diritto naturale, e che non si limita alle enunciazioni teoriche, come confermano le sue decisioni in materia di bioetica. Attualmente alla guida dell'Italia vi è un imprenditore che ha costruito la propria fortuna sul lavoro e che non si è mai vergognato di dichiararsi fieramente anticomunista, senza complessi di inferiorità. Del governo italiano è seconda componente un partito - Alleanza nazionale - che scandisce a chiare lettere la propria matrice politica e culturale di destra.

    Spero che non suoni irriguardoso aggiungere un ulteriore tassello, qualitativamente rilevante, se pur collocato su un piano del tutto diverso rispetto ai precedenti. Il 14 novembre 2002 un Uomo anziano e curvo è entrato a Montecitorio e lì ha parlato "ben consapevole del forte significato della presenza del Successore di Pietro nel Parlamento italiano", per la prima volta nella storia. Quel giorno il Pontefice, con voce rotta dalla fatica, confermando un magistero iniziato 25 anni prima, ha tracciato il percorso ideale e operativo per la rinascita, spirituale, morale e materiale della nostra nazione e, attraverso di essa, per l'intera Europa (solo gli stupidi ricordano quell'intervento come il "discorso dell'indulto per i detenuti"). Non è una congiunzione astrale: è un insieme di circostanze che non è esagerato definire storiche. La visione del mondo racchiusa da queste coordinate religiose, culturali e politiche è il compendio di ciò che la sinistra odia in maniera viscerale.

    Da circa un mese il capo del governo italiano di centrodestra è diventato presidente dell'Unione Europea. Questo significa, non solo simbolicamente, che la guida del Vecchio e del Nuovo continente è omogenea, ed è di destra: ci si meraviglia se ciò scatena polemiche, a cominciare da quella dell'eurodeputato socialdemocratico Schultz? Se fossimo lodati dalla sinistra, dovremmo chiederci in che cosa sbagliamo. Il problema da porsi è piuttosto un altro: ed è quello di capire se di tutto questo siamo consapevoli fino in fondo all'interno del centrodestra. Se gli elettori, non costretti da nessuno, due anni fa hanno dato un mandato ampio a un governo di destra e non di sinistra, è perché, come dichiarerebbe monsieur de la Palisse, faccia una politica di destra. Da questo punto di vista, vi è sicuramente molto da fare …

  • la centralità dell'uomo e gli uomini del centrodestra. Le idee possono essere molte e brillanti, ma se sono lasciate a se stesse fanno poca strada. Gli scrittori non sono gli attori principali della diffusione delle idee. La trasmissione delle idee tramite lo scritto ha una importanza secondaria: uno legge dopo che qualcuno gli ha parlato. In una delle lettere che San Paolo inviava alle comunità cristiane che aveva contribuito a costituire, ha una espressione che non può lasciare indifferenti: "la nostra lettera siete voi", scrive rivolgendosi ai fedeli (2 Corinzi 3, 2), a conferma della prevalenza del rapporto umano su quello dello scritto (che pure l'Apostolo non riteneva marginale). E' falsa la tesi secondo la quale le opere di Rousseau e di Voltaire, progressivamente diffuse in Francia, hanno provocato la rivoluzione detta francese. La rivoluzione è scoppiata dopo una pluridecennale, febbrile e crescente opera di propaganda condotta dai club di attivisti radicali, come ha magistralmente descritto Augustin Cochin. Uomini che parlavano ad altri uomini. Senza questo lavoro uomo su uomo, le idee - anche se ci sono - non hanno efficacia concreta.

    Per questo incontri come quello di stasera sono importanti per la politica, e non solo per la politica. Per questo serve riscoprire il gusto della conversazione e del confronto, non fini a sé stessi. Per questo è indispensabile che si formino uomini disposti, come ricorda Ezra Pound, a correre qualche rischio per le proprie idee. All'indomani della rivoluzione in Francia, Joseph de Maistre (che cito volentieri sperando di meritare anche stasera l'etichetta di reazionario) riceveva le considerazioni sconfortate di un amico che, come spesso capita nei dialoghi fra appassionati di politica, erano piene di amarezza sulla situazione dell'epoca e sulle prospettive per la Francia dopo le devastazioni che aveva subito. E de Maistre, dopo avergli ricordato che il fondamento di tutte le costituzioni politiche sono gli uomini, gli chiedeva "forse che non esistono più uomini oggi in Francia?" . Stasera a Martina Franca potremmo rivolgerci la medesima domanda, con tutti gli adattamenti del caso: forse che non esistono più uomini a Martina, in Puglia, in Italia, in Europa? Uomini che vogliono dare seguito coerente alle proprie idee, e che concordano con Ezra Pound quando ammonisce che "se un uomo non è disposto a correre qualche rischio per le sue idee, o non vale niente lui o non valgono niente le sue idee".

    Guai a impostare un'azione politica che trascuri quest'aspetto essenziale: che ritenga più importanti le ricerche di mercato, le tessere, le trame, le buone relazioni con le lobby, e lasci da parte l'uomo, le sue idee, la sua formazione, pensando che si tratti di astruserie o di perdite di tempo. La Sacra Scrittura è maestra anche su questo piano. Nel dialogo fra Dio e Abramo, Dio mette a conoscenza Abramo dell'intenzione di distruggere Sodoma e Gomorra (Gen, 18, 16 ss). Abramo tenta di intercedere e gli dice: "Davvero sterminerai il giusto con l'empio? Forse ci sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano?" Ricevuta l'assicurazione da Dio che, per riguardo a quei cinquanta giusti avrebbe perdonato l'intera città, Abramo va avanti: e se ce ne fossero 45, 40, 30, 20, o soltanto 10? La risposta di Dio è la medesima: "Non la distruggerò per riguardo a quei dieci" . Ma non se ne trovarono né 50, né 45, né 30, né 20, e neanche 10; e le due città furono distrutte. Quanto è importante l'uomo giusto per le sorti della comunità di cui fa parte! Questa pagina scritturale è terribile per la sorte di annientamento che prospetta alle civiltà che rinnegano i valori scritti nella natura dell'uomo: è una pagina che si è dolorosamente riletta tante volte, soprattutto nel XX secolo, di fronte alle rovine del socialcomunismo realizzato. Ma è altrettanto confortante per chi ritiene che la centralità dell'uomo e la coerenza con i principi costituiscano non soltanto il punto di partenza, ma pure la strategia per chiunque voglia fare politica.

  • i partiti. Una parte della battaglia politica condotta dai partiti vecchio stampo è passata da tempo nelle mani di lobby aventi come obiettivo la persuasione del cittadino a una certa visione del mondo. La politica intesa in senso assoluto non esiste più ed è ritornata la politica "limitata". Politica "limitata" non significa però mera amministrazione dell'esistente. La politica ha un suo statuto almeno fino a quando esistono decisioni e scelte da operare.

    Si impone un ripensamento della forma partito. E' necessaria una realtà organizzata, che fra un turno elettorale e l'altro si rapporti con la realtà sociale e con i gruppi di pressione. Che veicoli la propria cultura politica ai militanti, con una adeguata formazione, e la diffonda nel corpo sociale. Che abbia come contenuti pochi capisaldi, attorno ai quali far ruotare le scelte quotidiane, nei vari livelli istituzionali, dal Parlamento europeo a quello italiano, dalle amministrazioni centrali a quelle periferiche, dalle Regioni agli enti territoriali: l'uomo, da tutelare a partire dal concepimento e fino alla morte naturale (con tutto quello che ne discende, per es., in termini di difesa della sicurezza personale e di assistenza sanitaria); la famiglia e i corpi sociali intermedi (con annessi e connessi, per es., in termini di adeguamento del carico fiscale alle esigenze e alla composizione dei singoli nuclei famigliari, oltre che in tema di libertà di educazione); la libertà di iniziativa economica, contro ogni invadenza statalista o parastatalista; la garanzia della libertà religiosa…

Il discorso rischia di andare troppo oltre, e invece ragioni di tempo impongono di fermarlo. Se è vero che la sconfitta delle idee è inesorabilmente la sconfitta dell'uomo, la sfida è di affrontare la lunga guerra di trincea coincidente con l'impegno politico avendo come obiettivo che le idee - quelle giuste - tornino a vincere.

Il crepuscolo non è necessariamente il momento in cui il sole tramonta; può essere anche il momento in cui sorge: la penombra e la scarsa dimestichezza con i segni cardinali, cioè con le radici del nostro agire, può farci confondere. Nessuno può pretendere di vedere gli esiti del proprio lavoro: questo vale in assoluto. Vale anche e soprattutto sul terreno della politica. Non avevano l'ansia del risultato i nostri antenati i quali, trovandosi alle ultime battute dell'impero Romano, lavoravano intensamente senza che nessuno gli avesse mostrato in una sfera di cristallo che il mondo che avevano alle spalle, grazie al loro impegno e all'aiuto della Provvidenza, era già qualcos'altro, stava per diventare il germe della civiltà cristiana medievale: assomigliava a un inizio più che a una fine. Per far vincere le idee va recuperata quella consapevolezza storica e umana.

 

Alfredo Mantovano

 

altri interventi