SOTTOSEGRETARIO DI STATO
AL MINISTERO DELL'INTERNO
Dipartimento della Pubblica Sicurezza


Interventi Pubblici

 

 

Bin Laden in Italia - Intervento del Sottosegretario all'Interno on. Alfredo Mantovano in occasione del convegno promosso dal Circolo di AN "Idee e valori",
a margine del volume di Magdi Allam - Bin Laden in Italia -

Lecce, 30 giugno 2003


 

Parlare di terrorismo islamico richiede anzitutto, più che un approfondimento del tema, un insieme di premesse, indispensabili per arrivare sulla soglia dell'argomento:

(a) Prima premessa: i movimenti religiosi hanno spesso cause e motivazioni religiose. E' un'affermazione ovvia? Non tanto. Il marxismo e la psicoanalisi hanno convinto generazioni di studiosi che i fenomeni che si presentano come religiosi costiuiscono in genere solo la maschera di fattori materiali. Friedrich Engels (1820-1895), il più stretto collaboratore di Karl Marx (1818-1883), spiegava nell' Antidühring (1878) che "ogni religione non è altro che il riflesso fantastico nella testa degli uomini di quelle potenze esterne che dominano la loro esistenza quotidiana". Citava come "potenze esterne reali" le "condizioni economiche" e i "mezzi di produzione". Ed è arcinoto che per Karl Marx la religione è una delle tante sovrastrutture, mentre ciò che conta realmente è la struttura, e cioè il sistema dei mezzi di produzione.

Così, alla luce di questi pregiudizi ideologici, per anni ci è stato spiegato che la Prima Crociata è stata non - come è avvenuto realmente - un grande movimento di fede teso a consentire ai pellegrini cristiani l'esercizio del culto nei luoghi santi, ma la conseguenza di un surplus demografico all'interno della nobiltà europea: nel senso che bisognava trovare qualcosa da fare ai figli cadetti delle famiglie nobili che erano in soprannumero. Allo stesso modo, ci è stato detto che la Riforma protestante rappresentava una lotta di classe della borghesia urbana contro la nobiltà rurale… e così via.

Gli storici hanno lentamente smantellato queste costruzioni ideologiche. Ma continua ad accadere che ogni qual volta un fenomeno sembra religioso, un riflesso condizionato, che deriva in gran parte dal marxismo, ci spinge subito a chiedere: dov'è il trucco? Di quale "struttura" economica reale la "sovrastruttura" asseritamente religiosa è la maschera o il prodotto? Quando poi si tratta di movimenti islamici, entra in gioco un altro fattore. Si afferma che chiamare "islamico" il terrorismo islamico non è politicamente corretto: si rischia di scatenare la reazione di oltre un miliardo di musulmani. Può anche darsi che i musulmani si arrabbino, ma questo non risolve la questione se il terrorismo sia o non sia effettivamente islamico.

La cultura si valuta secondo la sua capacità di rappresentare e spiegare la realtà. Spetta ai politici decidere poi che uso fare dell'informazione. Le scienze sociali possono aiutare, precisando - per es. - che non tutti i musulmani sono fondamentalisti e che non tutti i fondamentalisti islamici sono terroristi: molti musulmani oggi promuovono i loro ideali con mezzi non violenti. E i terroristi di Hamas (o di al-Qa'ida) sono fondamentalisti. Ma l'insieme resta incomprensibile se ci si ostina a considerare secondario quanto per loro è primario e cruciale, cioè la motivazione religiosa.

(b) Seconda premessa. Durante la Guerra fredda, tutto era ridotto alla domanda "Stai con i sovietici o con gli americani?". Si dice: la Guerra fredda è finita, e per questo è venuto meno il congelamento delle situazioni regionali; sono riemersi i conflitti locali che la Guerra fredda aveva nascosto, ma non risolto. Mi permetto di osservare che questi conflittihanno certamente componenti nazionali, etniche, politiche, economiche, ma molto spesso hanno anche un'importante componente religiosa. Il testo di Samuel Huntington sullo scontro di civiltà è più criticato che letto: ma è importante anche perché sottolinea il carattere centrale dell'aspetto religioso, e lo integra con un modello di scontro all'interno delle civiltà.

Dopo la fine della Guerra fredda è emerso come problema fondamentale, che sta dietro a numerose crisi regionali, la questione del rapporto fra religione e politica, e - più ampiamente - fra religione e realtà secolari, fra religione e cultura. La dottrina sociale della Chiesa, i testi del Concilio Vaticano II, e una serie ininterrotta di documenti pontifici ed ecclesiali, fino a quello recentissimo della Congregazione per la dottrina della fede, presentato nel gennaio 2003, descrivono la corretta impostazione corretta del rapporto tra sfera religiosa e sfera politica, indicandole come certamente autonome e distinte, ma né radicalmente separate, né totalmente fuse.

So che rischio di annoiare. Ma è tutto terribilmente complesso. Per questo confido sulla Vs. pazienza. Per semplificare una realtà che è oggettivamente difficile, si può affermare che all'interno di ciascuna civiltà, sul tema dei rapporti tra religione e cultura, si confrontano laicismo, fondamentalismo e laicità. Questo vale in termini generali; in un secondo momento, proveremo ad applicare queste categorie alla realtà dell'Islam.

A un estremo c'è il laicismo. Per il laicista, tra fede e cultura ci deve essere una separazione totale: una sorta di muraglia cinese che nega al credente il diritto di far diventare la sua fede cultura e di giudicare la cultura, quindi anche la politica, alla luce della fede (Giovanni Polo II, in un memorabile discorso, ricordava che una fede che non diventa cultura non è fedelmente vissuta).

All'estremo opposto c'è il fondamentalismo. Per il fondamentalista fede e cultura, e fede e politica, coincidono fino a fondersi: ogni modo di produzione della cultura che non parta esplicitamente dalla fede, ogni politica che non sia religiosa in modo diretto e senza mediazioni sarà considerata necessariamente sospetta, se non demoniaca.

Per l'uomo religioso non fondamentalista, per la nostra tradizione Occidentale e cristiana tra fede e cultura non c'è separazione: c'è distinzione, nel senso che la cultura, come la politica e come tutte le realtà terrene e secolari, hanno una sfera di autonomia che va gelosamente difesa, pur potendo e dovendo essere giudicata alla luce della fede e della morale. Per fare un esempio che può apparire banale: non è il vescovo che decide di un piano regolatore, né dal Vangelo può ricavarsi il tipo di destinazione urbanistica di un'area; ma se il piano regolatore esclude di principio per il territorio di una intera città la presenza di qualsiasi edificio di culto, il vescovo ha il dovere di intervenire, e il cristiano che fa politica ha il dovere di ascoltarlo. Questa è una posizione di sana "laicità", che non coincide con il laicismo: non è la laïcité à la française di cui ci parlano i nostri vicini d'Oltralpe; in questo senso il francese laïcitéandrebbe tradotto più che con laicità con "laicismo".

(c) Terza premessa. Proviamo ad applicare queste categorie, con tutte le difficoltà di adattamento, a una particolare civiltà, che è quella islamica: un laicista islamico non assomiglia necessariamente a un laicista occidentale. Il laicista occidentale è sostanzialmente ateo, mentre il laicista musulmano - se non vuole perdere del tutto il contatto con la maggioranza della popolazione - dovrà mantenere un linguaggio in qualche modo religioso, nello stesso momento in cui opera, come ogni laicista, per eliminare le radici sociali della religione. Ovviamente è difficile che nel mondo islamico emerga una posizione laica, ma non laicista.

Nell'Islam il conflitto più visibile è quindi quello fra laicisti e fondamentalisti; mi permetto di ricordare che termini come "laicità" o "laicismo" sono di difficile traduzione in lingua araba, non appartengono al lessico dell'islam, e restano tentativi di esprimere in un linguaggio occidentale categorie e comportamenti pratici che assumono nel mondo islamico connotati diversi rispetto all'Occidente. Qual è il risvolto politico immediato del conflitto, all'interno del mondo islamico, fra laicisti e fondamentalisti? I fondamentalisti sono per l'universalismo dell'appartenenza a un'unica comunità islamica (l'antico califfato da ricomporre); i laicisti avanzano l'idea dello Stato-nazione, e li troviamo quindi principalmente nelle fila delle varie correnti nazionaliste. Talora i laicisti interni all'Islam imputano alla religione l'arretratezza economica e sociale dei paesi a maggioranza islamica; li troviamo quindi anche nelle correnti moderniste, che in passato sono giunte al potere politico nei due paesi dove anche l'influsso delle massonerie occidentali è stato più vivo e organizzato, cioè la Turchia e l'Iran della dinastia Pahlevi.

La Turchia e l'Iran dimostrano quanto sia falso l'argomento secondo cui per "disinnescare" il fondamentalismo islamico sarebbe sufficiente una capillare propaganda del laicismo, da affidare alle scuole e alle università; secondo questo luogo comune, con questo metodo i paesi a maggioranza islamica "si secolarizzerebbero proprio come l'Occidente". L'esperimento ha avuto un altro risultato. Per decenni in Turchia e in Iran (con differenze importanti, peraltro, fra l'uno e l'altro paese) le scuole e le università hanno propagandato in modo martellante il laicismo. L'esito è stato per l'Iran la rivoluzione islamica del 1979 e per la Turchia - non appena si è allentato il controllo dell'esercito sulle elezioni - l'ascesa elettorale dei fondamentalisti fino alla vittoria nelle elezioni del 2002, e alla formazione dell'attuale governo. Terminate le premesse, è necessario chiedersi se è possibile disegnare una mappa del fondamentalismo islamico in Italia. E, prima ancora: che cos'è il fondamentalismo islamico? Abbiamo già tentato di abbozzato una risposta. Ma è necessario andare oltre, senza trascurare un ulteriore particolare, che è importante: nell'Islam manca una struttura gerarchica; non vi è un Pontefice chiamato a dire la parola risolutiva; nessuno nell'ambito dell'Islam può arrogarsi il diritto di definire chi è dentro e chi è fuori dall'ortodossia; non esiste ortodossia nell'Islam, e non esiste nessuna autorità che possa definire ufficialmente chi è il musulmano "normale", per così dire, e chi è il fondamentalista.

Fondamentalismo è un termine usato con riferimento al mondo cristiano protestante, esteso all'Islam per analogia (come si vede, continuiamo a usare categorie occidentali per affrontare una realtà completamente diversa). Il fondamentalismo è percorso soprattutto da due correnti: quella neotradizionalista e quella radicale. La corrente neotradizionalista cerca di ricostruire una comunità autentica della fede separata dalla società pagana, a partire dal basso. Quando tutti gli individui risponderanno all'appello dell'autentico Islam sarà maturo il tempo per la conquista del potere politico. La seconda corrente, quella radicale, pensa invece questo processo a partire dall'alto, dalla sfera politica. Questa strategia tesa alla conquista del potere non avviene attraverso la predicazione ma attraverso il jihad.

In Europa, fuori dalla casa dell'Islam, i gruppi islamici possono seguire soltanto una strategia di tipo neotradizionalista (è inimmaginabile un golpe islamico in uno qualsiasi dei paesi dell'UE). In senso proprio, il fondamentalismo islamico nasce come specifico movimento fra la Prima e la Seconda guerra mondiale, nel 1928 in Egitto, anno della fondazione dei Fratelli Musulmani da parte di Hassan al-Banna, e nel 1941 nel subcontinente indiano. Affonda le sue radici nel movimento "salafita" (da salaf, i "pii antenati" cui si deve ritornare) del secolo XIX, che mirava a risollevare l'Islam dallo stato di decadenza nel quale era caduto.

Il movimento fondamentalista si pone tre obiettivi in sequenza: 1) l'applicazione della shari'a in ogni comunità islamica; 2) l'unificazione dei paesi a maggioranza islamica in un'unica realtà politico-religiosa nuovamente guidata da un califfo; 3) la ripresa da parte del califfato restaurato del sogno originario di un'islamizzazione del mondo intero.

Che cos'è la shari'a? Sul presupposto della fusione di religione e politica, la linea classica del diritto pubblico musulmano sostiene che un infedele (cioè un cristiano come noi) non può avere autorità e supremazia su un musulmano. Il mondo è diviso in due sezioni: paesi dell'Islam, che costituiscono un'unica monarchia islamica con a capo il califfo, e paesi di guerra, terre abitate e governate da infedeli. Non si tratta di una mera enunciazione teorica; la fine del califfato ha inferto una ferita profonda in questa prospettiva, ma la maggior parte degli studiosi dell'Islam sono concordi nel ritenere che la shari'a rappresenta tuttora una idealità irrinunciabile per i musulmani: per tutti i musulmani, non solo per alcune élite o gruppi di estremisti, ma anche per l'Islam diffuso, cioè sociologicamente maggioritario. In concreto, la shari'a prevede la legge del taglione in caso di omicidio volontario, la conciliazione con il versamento del prezzo di sangue in caso di omicidio involontario, la mano destra tagliata per il furto; per i recidivi il piede sinistro amputato, per il brigantaggio la morte o l'amputazione, per la fornicazione la lapidazione o la flagellazione, per l'uso delle bevande alcoliche la flagellazione; dulcis in fundo, per la conversione dall'Islam ad altra religione la condanna a morte.

I tre obiettivi appena elencati - l'applicazione della legge islamica (shari'a) in ogni comunità islamica; l'unificazione dei paesi a maggioranza islamica in un'unica realtà politico-religiosa nuovamente guidata da un califfo; la ripresa da parte del califfato restaurato del sogno dell'islamizzazione del mondo - definiscono il quadro dell'orizzonte del movimento fondamentalista all'interno dell'Islam. Gli osservatori esterni aggiungono spesso una quarta caratteristica: il fondamentalismo è un movimento di carattere populista, che diffida delle autorità costituite nei paesi islamici (colpevoli di non applicare integralmente la shari'a), teorizza la possibilità di rovesciarle con la forza, non ha simpatia neppure per gli ulama e gli altri "professionisti del sacro" che considera infeudati all'autorità costituita.

Non tutti i musulmani sono fondamentalisti. Lo dico non per consolare, ma per completare questa mia sommaria e inadeguata descrizione della realtà. Nel mondo islamico - per esprimersi sempre in modo assai schematico - esistono almeno tre correnti diverse dal fondamentalismo, che spesso sono sue avversarie:
- i nazionalisti: propugnano all'interno del mondo islamico Stati-nazione, di fatto distanti dal sogno del califfato;
- i conservatori: spesso sono d'accordo con i fondamentalisti sulla shari'a, ma sono da loro distinti perché ripudiano il populismo e rispettano le autorità costituite, sulla base del principio che molti mali sono tollerabili per evitare il male più grande, che è la guerra civile tra musulmani;
- i modernisti, che propongono l'adozione di modelli occidentali.

Secondo Magdi Allam in Italia prevarrebbe la componente modernista, che vivrebbe nella "(…) maggioranza silenziosa dei musulmani in Italia che sono sostanzialmente laici, che non frequentano abitualmente le moschee (…)", né aderiscono ad alcuna delle associazioni islamiche esistenti (tutte le citazioni senza diversa indicazione di fonte sono tratte dal volume di Allam Bin Laden in Italia).

Fatta questa premessa, la sua indagine però si concentra sul fondamentalismo. La ricerca di Magdi Allam si apre con un'intervista a Hamza Roberto Piccardo, segretario nazionale dell'Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia (UCOII), la più rappresentativa delle associazioni islamiche in Italia (pur all'interno di un quadro dove la grande maggioranza dei musulmani non aderisce ad alcuna associazione). L'UCOII non ha rapporti formali di affiliazione con i Fratelli Musulmani, ma di fatto è dominata da questa associazione, che rappresenta l'ala "neo-tradizionalista" del fondamentalismo.

Ma il volume riporta in appendice un inquietante discorso pronunciato da Yacine Ahmed Nacer, ex presidente dell'Associazione degli Studenti Islamici dell'Università di Algeri (condannato a cinque anni in primo grado il 22 marzo 2002 al processo di Napoli contro esponenti del GIA, il Gruppo Islamico Armato algerino); il sermone è stato pronunciato il 5 ottobre 2001, all'indomani dei fatti dell'11 settembre, nella moschea di Corso Lucci a Napoli. Nel sermone il dirigente fondamentalista algerino afferma fra l'altro: "Qualcuno potrebbe contestare dicendo: ma come? Uccidere delle persone nell'interesse della gente? Sì, perché no? Questo rientra in ciò che ci è stato rivelato. E chi ce lo ha rivelato è Dio, non un comune mortale".

La moschea di Corso Lucci a Napoli aderisce all'UCOII. Naturalmente, i dirigenti dell'UCOII possono sempre affermare che, così come nell'Islam in generale, così nemmeno nell'UCOII, e neppure nella moschea di Corso Lucci a Napoli c'è una struttura gerarchica chiara, e Yacine Ahmed Nacer è salito sul pulpito il 5 ottobre 2001 più o meno per caso, in assenza di altre persone che sarebbero state deputate al sermone. La trascrizione del sermone è stata registrata da una troupe della trasmissione Sciuscià, curata da Michele Santoro, naturalmente con il pieno consenso dei dirigenti della moschea, consapevoli che attraverso la televisione il sermone avrebbe avuto una risonanza nazionale.

Da Napoli a Torino. Avrete certamente sentito parlare dell'imam Bouriqui Bouchta, che controlla tre moschee cittadine: Piazza della Repubblica, Via Baretti e Via Saluzzo - e tre macellerie halal, il quale fa riferimento alla galassia del fondamentalismo radicale in Marocco. Bouchta definisce "'la guida spirituale' dei musulmani di Torino" il predicatore egiziano Mohamed Ebid Abdel Aal, detto Aboufalah, ripetutamente ospite di Bouchta a Torino e ricercato in Egitto per le stragi del 1997 a Luxor (58 morti) e all'Hotel Europa del Cairo. Bouchta nella sostanza non nega che nelle sue moschee torinesi siano stati reclutati militanti per il jihad in Bosnia, in Afghanistan e in Cecenia. Il reclutamento è avvenuto per conto dell' organizzazione terroristica di Osama bin Laden, al-Qa'ida. A Guantanamo gli Stati Uniti mantengono in detenzione due "torinesi", fra cui il marocchino Mohamed Aouzar che "(…) era stato arruolato proprio nella moschea di Bouchta a Porta Palazzo (…) dopo aver ascoltato i sermoni dell'imam egiziano Mohamed Ebid Abdel Aal (…)". Bouchta afferma però che "Osama bin Laden è innocente (…)" per gli attentati dell'11 settembre.

Diversa è la posizione di due personaggi che vivono a Torino e si sono resi noti grazie a ripetute apparizioni sulle televisioni nazionali, Umm Yahya Aisha Barbara Farina e il marito AbdulQadir FadlAllah Mamour, già imam della moschea di Carmagnola (Torino), ora chiusa, e indagato per una serie di attività economiche che sarebbero andate a beneficio di al-Qa'ida. Barbara si presenta come convinta propagandista del velo e della poligamia. Barbara e AbdulQadir sono di fatto (se non, forse, di diritto) "(…) gli ambasciatori di Osama bin Laden e dei Taliban afgani in Italia". È difficile valutare quale seguito godano esattamente a Torino e altrove, ma l'ex-imam di Carmagnola è sospettato di essersi trovato al centro di un giro vertiginoso di finanziamenti internazionali; egli stesso dichiara di avere partecipato all'invio dall'Italia di "almeno 2.000 persone" che sono andate ad addestrarsi "nei campi di sheikh Osama, che Dio lo conservi".

Molti (tra cui lo stesso AbdulQadir) hanno combattuto in Bosnia, e di questi "il 60 per cento è tornato in Italia. L'altro 40 per cento è andato in Afghanistan, in Cecenia, hanno continuato il loro jihad, alcuni sono andati in Algeria, in Palestina".

Le due ultime interviste del libro di Allam, che potrebbero sembrare marginali, si rivelano invece - lette nel contesto di tutto il volume - di effetto piuttosto dirompente: riguardano Adel Smith e Abdul Hadi Massimo Palazzi. Adel Smith dirige a Ofena (L'Aquila) un partito politico denominato Unione dei Musulmani d'Italia. Smith è noto per la sua partecipazione il 5 novembre 2001 alla trasmissione televisiva Porta a porta, quando definì tra l'altro il crocefisso cattolico "un cadavere in miniatura", e per lo scontro in diretta nella sede di una emittente televisiva veronese con esponenti di Forza nuova. Abdul Hadi Massimo Palazzi è segretario a Roma dell'Associazione Musulmani Italiani: ha presentato una delle domande di Intesa al governo italiano ed è filoisraeliano. Entrambi sono regolarmente ridicolizzati, su Internet e altrove, come esponenti di associazioni microscopiche che riescono tutt'al più a ingannare giornalisti confusi dai nomi apparentemente "ufficiali" delle loro organizzazioni.

Magdi Allam conferma che l'Unione dei Musulmani d'Italia, che vanta di avere cinquemila membri, ne ha probabilmente soltanto due - Smith e il fidato Abdul Haqq Massimo Zucchi - più "una decina di simpatizzanti albanesi"; sul numero dei seguaci di Palazzi l'autore non si impegna, ma lascia intendere che neppure loro sono numerosi. Eppure secondo Allam né Smith né Palazzi vanno ridotte a figure semplicemente folkloristiche: l'estremismo anticristiano di Smith appare perfino bizzarro; ma Hamza Roberto Piccardo, segretario nazionale dell'UCOII, afferma che "la struttura di riferimento dei militanti islamici radicali [in Italia] è il partito islamico di Adel Smith, a cui fanno capo Bouchta e gli 'afghani' [cioè i musulmani residenti in Italia che si sono addestrati in Afghanistan]".

Perché mai il suo segretario nazionale dell'UCOII eleva "il partito islamico di Adel Smith" addirittura a "struttura di riferimento dei militanti islamici radicali" in Italia? C'è qualcosa che non convince: se Smith è semplicemente un millantatore senza seguaci, perché Piccardo ne offre una evidente sopravvalutazione, finendo (così sembrerebbe a prima vista) per fare il suo gioco?

L'intervista che Magdi Allam fa ad Abdul Hadi Massimo Palazzi offre elementi per una possibile risposta. Interrogato sul perché si offrano in pasto ai media italiani personaggi come Umm Yahya Aisha Barbara Farina (la moglie, come abbiamo visto, dell'ex-imam di Carmagnola) e Adel Smith, Palazzi risponde: "(…) penso che ci sia qualcosa di più grosso sotto tutto questo. Cioè che in realtà questo disegno di copertura, questo disegno di mandare allo sbaraglio Barbara Farina che porta il burqa in Italia, Adel Smith che scrive le lettere al papa, questi elementi tutto sommato con seri problemi psicologici ma comunque non pericolosi, e fare passare loro per il pericolo, significa coprire quelli che in realtà sono emissari di strutture terroristiche potentissime e che hanno a disposizione grosse coperture".

Non mancano i nomi e cognomi: per Palazzi la struttura potente che, mandando allo sbaraglio gli Smith e le Farina, cerca di accreditarsi come "moderata" è quella ispirata ai "Fratelli Musulmani", che - sia pure con modalità diverse da al-Qa'ida - sono accusati di "promuovere il terrorismo", cioè l'UCOII. Mi limito a registrare questa come una ipotesi, in quanto tale da sottoporre a tutte le possibili verifiche. Se però tale ipotesi fosse fondata, sembrerebbe di trovarsi di fronte a una tipica strategia rivoluzionaria, secondo la quale l'estremista crea artificialmente un ultra-estremista alla sua sinistra che gli permette di presentarsi, falsamente, come "moderato". Trattandosi della maggiore organizzazione islamica italiana che tratta con il governo in vista di un'Intesa, anche la semplice ipotesi di un "moderatismo" fasullo e costruito ad arte va esaminata con attenzione, così come i sermoni pronunciati in una sua moschea di fronte alle telecamere della RAI in cui alla domanda "Uccidere delle persone nell'interesse della gente?" si risponde con brutale franchezza: "Sì, perché no?". E tutto questo anche a prescindere da altre considerazioni, strettamente giuridiche, che rendono un'Intesa con questa o altre organizzazioni islamiche assai difficile.

Per concludere. Allam sostiene che, "a partire dagli anni Settanta e per circa un ventennio, la politica di Aldo Moro [1916-1978], Giulio Andreotti e Bettino Craxi [1934-2000] nei confronti del terrorismo mediorientale si può riassumere nel detto: 'vivi e lascia vivere'. Di fatto i nostri 007 concludevano con i Servizi segreti di sanguinari regimi arabi, degli accordi sottobanco, discutibili sul piano etico e politico ma efficaci su quello della sicurezza, salvaguardando grosso modo l'incolumità dell'Italia e degli italiani in cambio di una certa tolleranza dell'attività logistica dei loro terroristi sul nostro territorio".

Ma la situazione è cambiata. Come scrive lo stesso Allam, "è finita la tregua fra l'Italia e il movimento integralista islamico": non solo perché il secondo governo Berlusconi, sostenendo la guerra internazionale dichiarata dagli Stati Uniti al terrorismo, non concede più alle organizzazioni terroriste islamiche l'uso dell'Italia come base logistica, ma anche perché - secondo l'autore - il terrorismo islamico ha subito una "privatizzazione", non è più guidato da governi ma da un'organizzazione privata come al-Qa'ida, che conclude pochi patti e ancor meno ne rispetta.

I fondamentalisti islamici, abituati al ragionamento giuridico, sostengono che tra l'Italia e il fondamentalismo ci fosse un Aqd al aman, un vero e proprio contratto, che ora è stato violato. "Dopo l'11 settembre - dice al Sirri - l'atteggiamento italiano è cambiato, ha adottato la politica americana, contraddicendo le regole della propria sicurezza interna. Il Aqd al aman è stato violato dall'Italia". Le conseguenze, secondo lo stesso al Sirri, non si faranno attendere: "Se io come musulmano mi sento represso e vedo che l'Italia si allea con gli americani, la considero un nemico dell'islam. In origine l'Italia non era un obiettivo, è il suo allineamento con l'America che ha cambiato la situazione. Se l'Italia tornerà a essere neutrale, la situazione di nuovo cambierà". Se si tiene conto che, come scrive Magdi Allam, "nessuno nasconde più né smentisce il fatto che in Italia risiedano centinaia, forse migliaia, di mujahidin addestrati alle armi in Bosnia, Afghanistan e in altre terre di jihad", le prospettive non sono rassicuranti.

Sorge comunque una domanda: chi ci assicura che il "contratto" fra l'Italia e il terrorismo islamico sia stato rispettato dalla controparte fin quando è stato in vigore? E chi ci dice che la presenza in Italia per decenni di terroristi ospitati e protetti dai servizi di sicurezza non possa contribuire a gettare qualche luce sui misteri della Prima Repubblica?

Di fronte a situazioni così gravi e complesse non ci sono soluzioni ad horas. Certamente, fra le ipotesi di soluzione di ordine generale si collocano "una seria ed efficiente politica di integrazione degli immigrati", e anche "favorire l'affermazione di un islam tollerante, nella prospettiva di una pacifica convivenza con tutti i musulmani". Ma tutto questo rischia di ridursi a un semplice appello ai buoni sentimenti, o a slogan in una situazione che richiede ben altri rimedi.

Di fronte al terrorismo, è necessaria anzitutto una seria attività di polizia e di intelligence. E' in corso da tempo, utilizzando anche strumenti normativi più adeguati. Di fronte al fondamentalismo, è certo giusto ricordare che non tutti i musulmani presenti in Italia sono fondamentalisti: lo sono, invece - in vari stati e gradi di fondamentalismo, che non vanno confusi tra loro - i dirigenti di molte delle realtà associative, grandi e piccole. Lo sviluppo di un islam italiano non fondamentalista difficilmente potrà passare per associazioni che fanno capo alle grandi centrali del fondamentalismo internazionale: potrà semmai nascere, in forme nuove e in gran parte da inventare, dall'interno di quella "maggioranza silenziosa" dei musulmani italiani che, per il momento, non si riconosce in nessuna associazione.

La presenza in Italia di centinaia e forse migliaia di militanti del fondamentalismo radicale addestrati militarmente, i rapporti complessi e ambigui fra le diverse anime del fondamentalismo islamico italiano, è l'ennesima conferma che anche in Italia, come in tutto il mondo, dopo l'11 settembre 2001 davvero nulla è più come era prima.

 

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