SOTTOSEGRETARIO DI STATO
AL MINISTERO DELL'INTERNO
Dipartimento della Pubblica Sicurezza


Interventi Pubblici

 

 

 


Conferenza internazionale - sul tema:
POVERTA'-IMMIGRAZIONE-SCHIAVITU'

Chisinau (Repubblica di Moldova) 30 Aprile 2003 -
Intervento del Sottosegretario di Stato del Ministero dell'Interno, On. Alfredo Mantovano


 

Autorità, Signore, Signori,

porto il saluto del Governo italiano e del Ministro dell'Interno - On.le Pisanu -, che ho l'onore di rappresentare, agli organizzatori del Convegno e ai colleghi del Governo della repubblica di Moldova, i quali, con questa iniziativa, offrono l'opportunità per uno scambio di informazioni e di valutazioni sul tema della tratta degli esseri umani, e sugli strumenti di prevenzione e di contrasto verso un traffico così crudelmente lesivo della dignità umana. Per questo ho accolto con piacere l'invito di Don Oreste Benzi a prendere parte a questa Conferenza internazionale.

L'Italia è stata la prima nazione al mondo ad aver adottato una normativa - quella che ruota attorno all'art.18 della legge sull'Immigrazione e alle disposizioni di attuazione ad essa connesse - che costituisce al momento la risposta più concreta fornita da uno Stato democratico al fenomeno criminale della tratta. In base a questa disposizione, quando nel corso di indagini siano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento verso uno straniero, ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità - sempre che i pericoli derivino dal tentativo di sottrarsi all'organizzazione criminale o dalle dichiarazioni rese nel corso delle indagini -, viene rilasciato uno speciale permesso di soggiorno che consente di fruire della protezione e dell'assistenza sociale. Credo che non sia superfluo ricordare la differenza profonda esistente fra "tratta" e "traffico" di esseri umani: spesso vengono considerate fattispecie similari, se non addirittura sovrapponibili. E invece la diversità c'è: quando ci si riferisce al "traffico" di persone - in inglese, "smuggling" - è lo stesso straniero che agisce, pagando il proprio trafficante per entrare clandestinamente in uno Stato che non è il suo.

Nella tratta, invece - cui corrisponde il termine di "traffiking" - lo straniero è una vittima: contro la propria volontà, dopo essere stato ingannato, spesso con false promesse di lavoro o matrimonio, o addirittura dopo aver subito un rapimento, viene condotto in un Paese straniero, dove, con minacce, maltrattamenti, violenze e con la sottrazione di ogni documento personale, viene costretto a prostituirsi, ovvero a lavorare in condizioni di schiavitù, o a subire altre forme di sfruttamento.

Non è un caso se per questo crimine - sicuramente uno dei delitti più efferati, che colpisce sempre più frequentemente i minori - si è tornati a parlare di schiavitù. Con l'art. 18 della legge nazionale sull'immigrazione l'Italia offre alle vittime l'opportunità di essere protette e assistite, e prima ancora di essere liberate dallo stato di dipendenza e schiavitù; al tempo stesso pone in essere uno strumento essenziale per un'efficace lotta ai trafficanti, grazie alle informazioni fornite dalle vittime, indispensabili per le indagini.

I risultati ottenuti in Italia con l'applicazione di tale norma - che oggi viene studiata in sede di Unione europea e anche negli Stati Uniti - sono stati e sono molto incoraggianti; il numero dei permessi di soggiorno rilasciati a favore delle vittime di tratta, che evidenziano l'emersione del fenomeno, sono stati, in poco più di quattro anni, complessivamente 2.494 (alla fine del 1998 erano complessivamente appena 74, e poi sono gradualmente cresciuti). Alla data del 31 dicembre 2002 ben 851 persone avevano in corso di validità un permesso di soggiorno a tale titolo: di esse, 132 provengono dalla Repubblica di Moldova. Si tratta della terza nazionalità per consistenza quantitativa, dopo la Nigeria (238 permessi in corso) e la Romania (150).

In Italia il Ministero dell'Interno ha cominciato a muoversi in questa direzione ancora prima dell'inserimento di quella disposizione nell'ordinamento, verso la fine del 1995, allorché - di fronte a episodi di vittime di tratta che, dopo anni di schiavitù, avevano trovato il coraggio di denunciare il proprio sfruttatore e/o trafficante - si era posta la questione delle iniziative da adottare per incoraggiare chi intendeva uscire dalla prostituzione "forzata" e dalla schiavitù.

La legislazione allora in vigore prevedeva per quelle poche donne coraggiose, al termine del procedimento giudiziario, l'espulsione e il rimpatrio nello Stato di origine, poiché quasi mai esse erano in possesso di un regolare permesso di soggiorno. Ciò costituiva un condizionamento pesantemente negativo: all'epoca le vittime di tratta erano prevalentemente albanesi; il rimpatrio in Albania era ordinariamente seguito dall' allontanamento dalla famiglia di provenienza perché colpite dal marchio incancellabile di aver esercitato la prostituzione, non importa se in quanto costrette. Ed è ovvio che questo scoraggiava qualsiasi collaborazione con le autorità. La prospettiva del rientro obbligatorio in patria, il più delle volte in condizioni di povertà e di emarginazione, sommata alla paura di ritorsioni, induceva le vittime a trincerarsi nel silenzio. Il silenzio e la paura rendono difficile perseguire gli autori del reato e rendono problematico individuare la stessa esistenza del reato, in tal modo favorendone oggettivamente la realizzazione.

A questo punto, anche sulla base di indicazioni fornite dalle stesse vittime di tratta, il Ministero dell'Interno italiano avanzò l'ipotesi di concedere alle vittime che si rivolgevano all'Autorità giudiziaria o di polizia, un permesso di soggiorno temporaneo della durata di uno o due anni, durante i quali, col sostegno di organizzazioni di volontariato e/o degli enti locali, potesse realizzarsi il loro recupero e la loro integrazione sociale in Italia. Queste sollecitazioni furono successivamente raccolte dalle forze politiche (e sostenute dalle parlamentari dei differenti schieramenti): accogliendo l'iniziativa del Ministero dell'Interno, furono stabiliti i requisiti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, nonché la conseguente disciplina di assistenza e di integrazione in favore della vittima.

Per vincere il terrore che spesso caratterizza la situazione di questi nuovi schiavi, la nostra normativa prevede - sempre per iniziativa del Ministero dell'Interno - la possibilità che il percorso di libertà prescinda dalla denuncia "formale" del trafficante da parte della vittima: alla vittima si chiede solo di offrire le informazioni di cui è a conoscenza, che però sono indispensabili per colpire il fenomeno criminale.

Al fine di facilitare la concreta applicazione della normativa, si sono aggiunte misure di carattere amministrativo: come l'istituzione in ogni Questura di un "funzionario referente", che si occupa con competenza dei permessi di soggiorno ex art. 18, e la creazione di un "canale privilegiato" riservato a questa categoria di pratiche. Si è inoltre creato un elevato grado di collaborazione sia tra le Amministrazioni centrali e periferiche dello Stato interessate alla materia, sia tra queste e gli Enti, le Associazioni e gli Organismi di volontariato che operano sul territorio per la realizzazione dei programmi di integrazione sociale delle vittime.

Non ci riteniamo paghi del lavoro svolto finora. Il Governo italiano ha di recente inviato al Parlamento per l'esame e per l'approvazione un disegno di legge contenente ulteriori misure ritenute indispensabili per combattere la tratta di persone e la riduzione in schiavitù. Il disegno di legge è prossimo all'approvazione, e introduce, fra l'altro, misure di maggior rigore per reprimere i colpevoli, limitando la concessione di attenuanti. Uno dei problemi aperti con la normativa attualmente in vigore, concernente i reati connessi alla tratta, è costituito dal fatto che le riduzioni di pena applicabili consentono spesso ai trafficanti condannati di essere rimessi in libertà dopo un periodo troppo limitato di reclusione. La nuova normativa prevede un maggior grado di certezza della pena da espiare: ciò dovrebbe contribuire a far sì che un numero ancora maggiore di vittime manifesti il proprio stato e denunci i propri sfruttatori.

In particolare, la nuova legge riformula gli articoli del codice penale relativi alla riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.), alla tratta e al commercio degli schiavi (art. 601 c.p.), all'alienazione e acquisto di schiavi (art. 602 c.p.): con questo da un lato si ridefiniscono in senso più moderno e aderente alla realtà i concetti di schiavitù e servitù, in coerenza con gli atti internazionali adottati in materia, dall'altro, introducendo il reato di tratta delle persone, si prevede l'incriminazione non solo quando le vittime sono soggetti che vengono trafficati allo scopo di essere ridotti in schiavitù o servitù, ma anche quando già versano in una condizione di assoggettamento. La pena detentiva è quella della reclusione da 8 a 20 anni, con un aumento nel caso di associazione a delinquere finalizzato al traffico di persone o alla riduzione in servitù o schiavitù.

Sarà inoltre rafforzata l'attività di prevenzione, con campagne di informazione nei Paesi di provenienza e corsi di addestramento mirato per gli appartenenti alle Forze di polizia, e di tutela delle vittime: viene istituito un apposito Fondo per le misure anti-tratta destinato al finanziamento dei programmi di assistenza e di protezione sociale di cui all'art. 18 della legge sull'immigrazione, e uno speciale programma di assistenza per assicurare in via transitoria alle vittime adeguate condizioni di vita.

Prima ancora che tutto questo diventi legge, è già operativo il Progetto del Ministero dell'Interno volto ad assicurare il ritorno volontario assistito e la reintegrazione nel paese di origine delle vittime della tratta, che si sta attualmente realizzando in collaborazione con l'O.I.M.-Organizzazione internazionale per le Migrazioni. Il Progetto, la cui prima annualità si è conclusa alla fine dello scorso anno e la cui seconda annualità è già iniziata, nasce dalla volontà di dare attuazione al "Protocollo aggiuntivo" alla Convenzione ONU contro il crimine organizzato transnazionale, firmata a Palermo nel dicembre del 2000. L'art. 8 del Protocollo precisa che ogni Stato membro deve farsi carico di rimpatriare la vittima di tratta che lo desidera nel paese di origine o di residenza, "senza ingiustificato o irragionevole ritardo".

In sintesi, il Progetto viene realizzato in tal modo:

- l'OIM segnala al Ministero la vittima che vuole ritornare nel suo Paese, ed elabora la scheda contenente le informazioni necessarie ai fini dell'autorizzazione (biografia; descrizione del caso; informazioni giudiziarie; verifica della volontà di rimpatrio e di inserimento lavorativo); la vittima sottoscrive per accettazione il programma, dichiarandosi disponibile alla futura collaborazione ai fini di giustizia, pena la sospensione del programma, che prevede due borse-lavoro appositamente dilazionate nel tempo;

- in base alle informazioni fornite, accertati i requisiti che la legge prevede per essere individuata quale vittima di tratta, il Ministero dell'Interno autorizza il rimpatrio, informando contestualmente le Questure competenti;

- come previsto dal Progetto, alla fine del processo di reintegrazione della vittima l'OIM, con rapporti semestrali, presenta una scheda sugli esiti del programma, predisposta dal Focal Point dell'OIM operante nel Paese d'origine, che ha avuto in cura il caso.

L'esperienza maturata e i risultati ottenuti offrono spunti per gli Stati che intendano realizzare iniziative similari, come è già avvenuto in ambito europeo (basti pensare alla proposta di direttiva del Consiglio dell'Unione europea, tesa ad estendere la normativa italiana ai Paesi Membri dell'U.E.). Con questo Progetto nel 2002 sono state rimpatriate nel Paese di origine, con apposito programma di assistenza e reintegrazione sociale, 80 vittime di tratta: era il numero massimo previsto in via sperimentale dallo stesso progetto. Di esse, 24 in Romania, 12 in Ucraina, 11 in Moldova, 8 in Bulgaria, 5 in Polonia, 5 in Albania, 3 in Bielorussia, 3 nella Repubblica Federale di Jugoslavia, 3 in Slovacchia, 2 in Russia, 2 nella Repubblica Ceca, 1 in Estonia e 1 in Ungheria. I risultati generali, relativi alla prima annualità del Progetto, sono sintetizzati nelle schede allegate, facendo presente che la seconda annualità è appena iniziata.

Altre 80 vittime saranno rimpatriate nel 2003. Degli ottanta rimpatri realizzati nel 2002 soltanto 7 erano già in possesso in precedenza del permesso di soggiorno in base all'art. 18 della legge sull'immigrazione. Questo dato conferma una delle ipotesi di lavoro più significative avanzate in fase di elaborazione del Progetto: la possibilità che tale iniziativa divenga un ulteriore strumento in grado di far emergere il fenomeno della tratta, stimolando anche le vittime che non hanno interesse a restare in Italia (ma vogliono solo tornare quanto prima nel loro Paese di origine) a denunciare il loro status. Degli 80 casi sperimentali di rimpatrio assistito, 67 soggetti hanno sporto formale denuncia contro i propri trafficanti/sfruttatori. Nei restanti 13 casi la vittima, pur non avendo voluto sottoscrivere la denuncia, ha comunque fornito alle forze di polizia informazioni interessanti, insieme con l'impegno scritto della più ampia collaborazione anche dopo il rimpatrio: al rispetto di tale condizione è subordinata l'elargizione delle borse di studio previste dal progetto, che sono appositamente dilazionate nel tempo.

Tutto ciò ha consentito alle forze dell'ordine di catturare e di perseguire un elevato numero di trafficanti e sfruttatori, infliggendo duri colpi alle organizzazioni criminali che operano nel settore.

Mi permetto di formulare l'augurio che l'impianto normativo italiano in materia sia recepito dagli Stati interessati al fenomeno. Questo eviterà che alla criminalità sia sufficiente spostare queste turpi attività dall'Italia ad altri Paesi, la cui legislazione non preveda simili opportunità per le vittime di tratta: come purtroppo già si sta verificando. Il Governo italiano intende realizzare con i Governi di Albania, Romania, Ucraina e Moldova, un progetto finalizzato ad ottenere in ciascuna di queste nazioni una serie di attività volte a facilitare l'assistenza e la reintegrazione delle vittime di tratta, la protezione dei familiari, e a effettuare attività di informazione per la prevenzione del fenomeno attraverso appositi video.

Con questo Progetto si è completato l'arco delle possibilità offerte alla vittima che collabora. Riassuntivamente, esse sono le seguenti:

- l'opportunità di restare in Italia con un regolare permesso di soggiorno, usufruendo nel contempo degli specifici programmi di protezione e integrazione sociale;

- la possibilità di rientrare nel proprio paese in condizioni di garanzia e sicurezza e con l'assistenza di un "tutor" locale, che provveda alla sua reintegrazione, con l'assegnazione delle borse-lavoro previste;

- la protezione e l'assistenza, estesa anche ai familiari, che le stesse autorità locali del loro Paese offrono alle vittime di tratta, in una cornice di solidarietà e di sostegno che queste nuove "schiave" dell'era moderna meritano di ricevere.

Ringrazio per l'attenzione, formulando l'auspicio di una sempre più stretta collaborazione internazionale, e in particolare fra Repubblica di Moldova e Italia.

 

 

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