SOTTOSEGRETARIO DI STATO
AL MINISTERO DELL'INTERNO
Dipartimento della Pubblica Sicurezza


Interventi Pubblici

 

 

Intervento del Sottosegretario all'Interno on. Alfredo Mantovano

alla presentazione del libro di Angelo Vescovi - "La cura che viene da dentro"

Palazzo Marini (Roma), 28 aprile 2005


 

Il libro del professor Vescovi – La cura che viene da dentro - ha due meriti non trascurabili: 1) è scritto molto bene; 2) è un testo rigorosamente scientifico. Dire che è scritto bene non è un semplice atto di cortesia, dovuto al fatto che è presente l'Autore. Confesso di aver sempre avuto difficoltà nell'approccio con materie come biologia, fisica, chimica: al liceo le imparavo a memoria confidando nella clemenza della corte, cioè dell ’insegnante. Rendo questa confessione per sottolineare il pregiudizio col quale ho iniziato la lettura del libro. Il pregiudizio si è però dissolto dopo le prime righe; il testo è così scorrevole che si fa leggere da tutti: Vescovi, con la competenza e con l'esperienza che si ritrova, avrebbe potuto elaborare un testo per studi universitari, o per approfondimenti specialisti. Invece, pubblicando con una casa editrice di grande diffusione (Mondadori), prende le mosse dall'ignoranza della materia da parte del lettore. Sembra quasi che si accomodi davanti a lui e, senza farlo sentire a disagio, lo accompagni per mano nel viaggio virtuale in un settore difficilissimo. Con questo non voglio sminuire la portata scientifica del libro e dire che è una sorta di bignami delle staminali: è ben più di un testo di divulgazione, e proprio per questo è pregevole.

Tra i pregi formali segnalo l'autoironia: che è qualcosa che assomiglia molto al coraggio di don Abbondio: se non ce l'hai è difficile procurartelo. Per uno scienziato degno di questo nome la capacità di ironizzare su sé stessi è un elemento rassicurante: significa che chi interviene professionalmente all'origine della vita è animato nella sua ricerca da umiltà, cioè da profondo rispetto per la realtà. E questo introduce alla seconda ragione per la quale lo scritto è utile e importante: la sua rigorosa scientificità. Noi tutti continuiamo a essere condizionati, anche se non ce ne rendiamo conto fino in fondo, da alcuni dei dogmi ideologici che hanno imperversato nel secolo scorso nelle scuole e nelle università. Nella 11^ tesi su Feuerbach Karl Marx afferma: “I filosofi hanno soltanto diversamente ‘interpretato’ il mondo, ma si tratta di ’trasformarlo’ ”. Compito della “nuova” scienza non è dunque conoscere, ma modificare la realtà: il ribaltamento marxista è dalla intelligenza alla costruzione della realtà. “Voi non potete eliminare la filosofia senza realizzarla”, aggiunge Marx nella Filosofia del diritto; e, ancora, nella Miseria della filosofia: “la storia, tutta intera, non è che una trasformazione continua della natura umana”.

La storia si è data carico di dimostrare quanto siano tragiche le traduzioni in concreto di queste posizioni ideologiche, e del rispetto che merita la realtà per ciò che essa è e non per come vorremmo trasformarla. Conoscere la realtà, nel caso di specie, vuol dire anzitutto capire che cosa sono le cellule staminali, quali potenzialità posseggono, le differenze fra staminali prelevate da adulto e staminali prelevate da embrioni; trasformare la realtà significa sostenere dogmaticamente che sono utilizzabili solo o in prevalenza le staminali embrionali, e che la ricerca va finanziata soprattutto in quella direzione. Chi, qualche decennio fa, si sforzava di leggere Marx senza entusiasmi e senza pregiudizi coglieva subito che quel sistema ideologico non era realista e che non avrebbe potuto reggere alla prova dei fatti perché contro natura. E però il comunismo ha dilagato per tanto tempo, sostenuto da passioni profonde e con l'ausilio di guide che eufemisticamente potrebbero definirsi "pragmatiche". Oggi l'ideologia di chi vuole disporre della vita o della dignità altrui, solo perché immagina di intervenire nelle fasi più vulnerabili dell'esistenza, non si basa sulla verità dell'essere umano; ma la diffusione di questa ideologia prosegue e proseguirà, perché è mossa non dalla logica, bensì da forti passioni e da interessi consistenti: la legittimazione ideologica serve, perché chiude il cerchio che consente di agire indisturbati. Per questo è importante che le onde dell'ideologia siano fronteggiate non da richiami fideistici, o, al contrario, ideologici, bensì dagli scogli della realtà: quella realtà che nel testo di Vescovi è descritta nella sua oggettività, senza sconti, senza deviazioni, in modo rigoroso. Alla fine chi decide di non tenerne conto deve avere l'onestà intellettuale di dichiararlo. Anche perché ci troviamo di fronte a dei paradossi, di cui molti di noi hanno quotidiana esperienza, e che proprio per questo vorrei segnalare:

1) di fronte al luogo comune secondo cui difendere la vita umana in ogni momento dell’esistenza sarebbe un discorso confessionale, ci sono credenti che sostengono che l'umanità del concepito non è un dogma che si ricava dal catechismo, ma è un dato obiettivo che può essere osservato col microscopio (fino a una certa data) e con l'ecografo a partire da una certa data. E ci sono laicisti di professione, per i quali Dio e l’anima non sono mai esistiti, i quali ribattono, in proposito citando San Tommaso d'Aquino, che l'essere umano può ritenersi tale solo nel momento in cui l'anima si unisce al corpo!

2) ci sono progressisti che, come ha rilevato Giuliano Ferrara, giudicano criminale una politica economica che con disprezzo definiscono darwiniana, perché - dicono - seleziona il forte; odiano il far west e amano le regole se si tratta di televisione, di antitrust o di regolarità dei libri contabili; idoleggiano la solidarietà verso il più debole come forma suprema di responsabilità sociale verso l'altro. Ma quando vengono in discussione questioni di bioetica le parti si rovesciano. Il progressista diventa darwiniano, seleziona il robusto a scapito del fragile, difende una salute materiale e individuale intesa in senso lato, come completo benessere fisiopsichico, scorporata dalla salute sociale, approva il far west delle regole, accetta la riduzione a cosa dell'origine della vita ed esalta il diritto di possesso di questa cosa.

La scientificità del libro aiuta a vincere questi paradossi. E, con essi, a fugare ipotetici complessi di inferiorità. Sulle pagine dei quotidiani più importanti e dei rotocalchi si susseguono prese di posizione di sedicenti scienziati e di artisti/e pronti ad affermazioni tranchant a favore dei 4 sì ai referendum sulla procreazione artificiale. Oggi il prof. Veronesi riempie della propria immagine due pagine di Magazine e ieri la Repubblica presentava un appello di 100 di questi – lo ripeto - sedicenti scienziati; adopero il “sedicenti” perché oggi sul Foglio Giuliano Ferrara li qualifica in realtà "barbari". Volendo dare ragione a chi sostiene che io sia un pericoloso reazionario, ricordo che Joseph De Maistre usa il termine “barbari” non in senso obbligatoriamente spregiativo: i “barbari”, secondo De Maistre, compaiono ai confini di ogni civiltà e hanno di fronte a sé l’ alternativa di diventare “civili” o, rifiutando quel nucleo essenziale di precetti – il diritto naturale – che connota ogni convivenza che voglia dirsi civile, di arretrare a “selvaggi”. E’ stato così per i barbari del Tardo Impero; è sempre così, in scala, per ogni essere umano che viene al mondo. Questo per concludere che i sostenitori della selezione eugenetica e del congelamento della vita piuttosto meritano la qualifica di “selvaggi”.

Ma quelli di Repubblica o di Magazine non sono i primi appelli: un altro, con firme illustri, dal Nobel Rita Levi Montalcini al prof. Carlo Flamigni, uscito sempre su la Repubblica nel dicembre 2003 (mentre era alle battute finali l’approvazione di quella che sarebbe stata la legge 40), rivendicava "il diritto delle cittadine e dei cittadini di formare una famiglia secondo i loro valori" e "il diritto si essere liberi di scegliere se avere o non avere figli, quanti averne, quando averli e come averli" (la sottolineatura è nel testo). Tralascio le preposizioni “se quanti e quando” e mi fermo sul "come" : vuol dire logicamente considerare una persona - il concepito, il bambino, il figlio - oggetto e non soggetto di diritti, e quindi fare in modo che il prodotto finale contenga tutti gli optional desiderati e programmati.

Il che per un verso riflette una mentalità che si diffonde, per altro verso rappresenta il prodromo di ulteriori interventi manipolatori. Il figlio è sempre meno un dono che si desidera e che si attende in quanto tale, e sul quale, proprio perché dono, non si può vantare un diritto di proprietà, ed è invece sempre di più oggetto di rigorosa programmazione: se viene quando non lo si vuole viene soppresso, se invece non viene quando lo si desidera si utilizzano le tecniche di fecondazione artificiale, pretendendo che siano le più efficaci - e quindi le meno limitate - possibili. In un caso e nell'altro la considerazione del figlio equivale a quella di qualcosa che è nella materiale disponibilità del o dei genitori, piuttosto che di una persona, con una sua identità, con un suo progetto di vita che attende comprensione e aiuto nella realizzazione, e con il quale costituire la più elementare delle comunità.

Si è ormai consolidata una casistica giurisprudenziale di giudizi civili per risarcimento azionati da coppie, o da singole donne, che chiamano a responsabilità le strutture sanitarie nei casi di aborti non riusciti: una gestante si ricovera in una clinica o in un ospedale per interrompere la gravidanza, l'intervento non riesce, il sopravvissuto all'aborto nasce, e il genitore cita la Ausl o la clinica per danni. Il dramma è che queste domande ordinariamente sono accolte: in tal modo si stabilisce - per decisione del giudice - il principio secondo cui il figlio che viene alla luce rappresenta una fonte di danni da risarcire! E’ un orientamento così affermato che nel 1999 Giuffrè Editore dedicò al tema una corposa monografia: “Un bambino non voluto è un danno risarcibile?” (a cura di Antonino D’Angelo). E’ una esagerazione? Sono toni forzati? Vorrei ricordare che nell’agosto 2004, nel Regno Unito, la Human Fertilisation and Embriology Authority ha autorizzato un gruppo di scienziati dell'università di Newcastle a esperimenti di clonazione umana. Le direttive dell'Autorità prevedono che la sperimentazione avvenga a fini terapeutici e che gli embrioni clonati, da realizzare sostituendo i nuclei contenuti negli ovuli umani con altri prelevati dal tessuto della pelle di donatori adulti, siano distrutti prima del quattordicesimo giorno di età. Onore alla memoria di Aldous Huxley, che ha indovinato pure lo Stato al cui interno sarebbe avvenuta la produzione e la manipolazione degli embrioni umani! Proprio perché l'attenzione mediatica è concentrata in modo esclusivo sugli scopi benefici degli interventi prospettati, e non sulla natura dell'atto (si tratta di salvare vite umane, di reperire cellule staminali per guarire dal Parkinson o dall'Alzheimer) e qualifica chi pone perplessità come pesantemente condizionato dall'oscurantismo reazionario e clericale, il libro di Vescovi, con la sua rigorosa scientificità, dimostra come non vi sia stato fino a questo momento un solo caso clinico risolto con l’utilizzo delle staminali prelevate da embrione.

Ma non è soltanto un testo oggettivo. Permette anche di porre le basi scientifiche per rimettere a posto il rapporto tra fini e mezzi: muovendo dal presupposto che un essere umano non può mai costituire mezzo per altri esseri umani. Il più grande genetista del XX secolo, Jerome Lejeune, era solito ricordare una storia concreta, che rende il discorso meglio di qualsiasi disquisizione teorica: mezzo secolo fa il dottor Thiersch, esecutore di aborti negli U.S.A., ebbe l'idea di applicare alla sua pratica l'effetto tossico dell'aminopterina, un elemento chimico che inibisce il metabolismo dell'acido folico. In questo modo bloccava la divisione delle cellule: poiché le cellule dell'embrione si dividono attivamente, l'uso di quella sostanza doveva secondo Thiersch uccidere infallibilmente il bambino nel ventre della madre. L'infallibilità non fu così completa, perché l'effetto letale dell'applicazione fu immediato per alcuni feti, ma per altri la morte arrivò dopo qualche tempo, a seguito di gravi anomalie al sistema nervoso, dalla spina bifida all'anencefalia. Trent'anni dopo due medici di differente impostazione rispetto a Thiersch, Smithells e Lawrence, scoprirono che l'acido folico somministrato alla madre, in dosi particolari e controllate, all'inizio della gravidanza protegge i bambini proprio contro quelle stesse malformazioni del sistema nervoso centrale derivate da un uso distorto della sostanza.

Perché richiamavo il rapporto fra mezzo e fine? Perché se il fine perseguito da Thiersch fosse stato la lotta contro una malattia e non l'aggressione in utero dei nascituri, probabilmente la profilassi della spina bifida o dell'idrocefalia sarebbe arrivata con tre decenni di anticipo, e decine di migliaia di bambini in tutto il mondo ne avrebbero tratto giovamento. E' azzardato applicare questa logica al tema del quale parliamo? E sperare che la ricerca si indirizzi alla vita o alla limitazione dei rischi provocati da certe cure contro la sterilità?

Il libro è bello dalla prima all’ultima parola. Ma sono stato toccato da una pagina, in particolare: è quella in cui spiega come, in un laboratorio di Calgary, in Canada, dove lavorava come giovanissimo ricercatore, egli ha commesso l’”errore madornale che (…) ha permesso di isolare le staminali cerebrali da un cervello adulto”. Riporto dal libro: “Ho preparato l’ occorrente, ho cominciato la procedura che prevede la miscelazione del groviglio di cellule e matrice tissutale con dei terreni (brodi) di coltura, in strati ordinati. Solo che in quel laboratorio canadese lo strumento per la stratificazione era difettoso. Appena ho pigiato il pulsante di avvio, invece di stratificare brodo, cellule e matrice, ho mescolato il tutto. Sono diventato paonazzo. Weiss, il capo, non ha detto nulla, ma (…) se avesse potuto strozzarmi l’avrebbe fatto. Ormai la frittata era fatta, tutto quel prezioso materiale era perso. O forse no. Spreco per spreco, prima di buttarlo forse si poteva fare un ultimo tentativo, lasciamo “cuocere” il tutto per alcuni minuti in provetta, hop suggerito, poi lo trasferiamo, matrice tissutale compresa, nei pozzetti di coltura. (…) Credeteci o no, ha funzionato alla perfezione! Per anni questo rimase un trucco per coltivare le cellule staminali cerebrali adulte fuori dall’organismo. Il metodo ora è cambiato in meglio, ma ditemi voi se non è stata fortuna sfacciata”.

Fortuna sfacciata o quella firma che siamo abituati a chiamare “caso” perché non ci va di riconoscere il Mittente? E’ certo che viene in mente quello che diceva Luis Pasteur: la fortuna favorisce soltanto gli spiriti preparati. Mi permetto di chiosare: la più adeguata preparazione dello spirito consiste nell'avere la volontà di conseguire un fine. Ieri, con l'appello dei 100 sedicenti scienziati, si è avuto l’ennesimo saggio di che cosa produce l'ideologia. Oggi, sfogliando le pagine del libro di Angelo Vescovi, comprendiamo che spesso i fatti saltano agli occhi solo se siamo animati dalla volontà di cercarli senza prevenzione; e comprendiamo che i passi avanti nella ricerca saranno tanto più significativi quanto più si orienteranno verso la dignità dell'uomo, qualunque sia l'età della sua esistenza in vita.

 

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