SOTTOSEGRETARIO DI STATO
AL MINISTERO DELL'INTERNO
Dipartimento della Pubblica Sicurezza


Interventi Pubblici

 

 

Intervento del Sottosegretario all'Interno on. Alfredo Mantovano alla Scuola di perfezionamento delle forze di polizia:

"Immigrazione: primo bilancio della Legge 189/2002 e del Semestre di Presidenza Italiana dell'Unione Europea"

Roma, 17 dicembre 2003


 

Ringrazio il Gen. Siazzu, i frequentatori della Scuola e le autorità presenti. Cercherò di riportare in sintesi le linee guida della legge 189 del 2002 e dell'azione di Governo in cui questo intervento riformatore si è inserito. L'azione di governo ha a sua volta conosciuto una intensificazione di iniziative soprattutto negli ultimi sei mesi, coincisi con la Presidenza del Consiglio dell'Unione Europea. Ovviamente tratterò aspetti di carattere generale e politici perché in sala più di uno, e molto meglio di me, potrebbe approfondire gli aspetti tecnici.

La prima linea guida delle modifiche apportate, risponde, per riprendere una terminologia che si sta facendo strada in sede europea, al principio di condizionalità. Tenere conto di questo principio significa convincersi che il profilo più importante per affrontare in generale il tema dell'immigrazione, non soltanto nell'aspetto patologico dell'immigrazione clandestina, ma pure nella sua dimensione di quadro, privilegia i rapporti con i paesi di origine o di transito. Li privilegia nelle relazioni bilaterali ma anche e soprattutto (e questo è stato uno sforzo che l'Italia, in particolare il Ministro Pisanu, hanno sostenuto nel semestre di Presidenza italiana dell'Unione Europea) nei rapporti fra l'Unione nel suo insieme e i singoli Paesi di provenienza. Del principio di condizionalità vi è traccia già nel primo articolo della legge 189: al comma 2 si dice testualmente che "nella elaborazione, nella eventuale revisione dei programmi bilaterali di cooperazione e di aiuto per lo sviluppo, il Governo tiene conto anche della collaborazione prestata dai Paesi interessati alla prevenzione dei flussi migratori legali, al contrasto delle organizzazioni criminali, agli accordi di riammissione, agli accordi giudiziali", e così via. Questa terminologia non è vincolante, deterministica, ma è condizionante; si ritrova esattamente negli stessi termini nelle conclusioni del Vertice europeo di Siviglia sull'immigrazione del giugno 2002. Ci sono state molte critiche quando questo passaggio è venuto all'esame del Parlamento, ma il quadro europeo si sta orientando con decisione in questa direzione, e un riscontro più concreto di questo "tener conto" si rintraccia anche nell'art. 17 comma 1, lettera a), della stessa legge: nello stabilire le quote, nei decreti sui flussi d'ingresso, si possono prevedere restrizioni numeriche all'ingresso di lavoratori di Stati che non collaborano adeguatamente nel contrasto all'immigrazione clandestina, in particolare nella riammissione dei propri cittadini destinatari di provvedimenti di rimpatrio. Questa norma tollera una lettura non in termini meramente negativi, di sanzione, bensì pure una positiva, perché nel "tener conto" ai fini della inclusione in quote privilegiate nei decreti flussi vale a maggior ragione l'ipotesi di comportamenti positivi di collaborazione. Se ne è avuta conferma nei decreti flussi del 2002-2003 e anche in quello per il 2004, che hanno dato dei segnali concreti allorché hanno previsto migliaia di nuovi ingressi regolari per quote privilegiate, alcune delle quali sono state riservate per la prima volta a Paesi che hanno mostrato di recente una collaborazione attiva su questo fronte; ne cito due, particolarmente significativi per le ragioni che dirò tra qualche istante: l'Egitto e lo Sri Lanka. In passato queste quote privilegiate erano riservate esclusivamente a Tunisia, Marocco e Albania.

Questo aspetto è di particolare importanza, perché la collaborazione a monte è certamente la più efficace, quella che evita tragedie, quella che consente di raggiungere risultati più concreti, e di muoversi anche nella prospettiva di una integrazione reale; si parla a proposito di immigrazione di un certo ritardo culturale, e quindi anche politico, dell'Italia nell'affrontare questo tema a fronte di una esperienza più consolidata di Paesi come il Regno Unito e la Francia: personalmente dissento da questa valutazione, perché l'esperienza del Regno Unito, della Francia, dei Paesi che hanno una storia in qualche modo analoga é totalmente diversa rispetto alla dimensione del fenomeno in Italia. Lì vi era una comunità anche culturale, prima ancora che politica, consolidata nel bene e nel male da un passato coloniale; qui ci si trova di fronte a provenienze di extracomunitari le più diverse e le più disparate, nei confronti delle quali è veramente difficile trovare dei comuni denominatori. Anzi, la concentrazione di esperienze che l'Italia ha avuto negli ultimi quindici anni le consente di avanzare in sede europea soluzioni che al tempo stesso sono innovative ed equilibrate, evitano e temperano alcune proposte che vengono da altri Paesi, e che - se fossero applicate - non contribuirebbero a circoscrivere le tragedie che si consumano in mare. Voglio dire che non è il contrasto in mare l'elemento risolutivo del quadro, ma è lo sforzo politicamente impegnativo per impedire, grazie alla collaborazione del Paese d'origine o di transito, che il natante a rischio prenda il largo. Proprio perché si è privilegiato questo tipo di lavoro, si è verificato negli ultimi due anni, come tutti sanno, un significativo mutamento nelle rotte della clandestinità. Il canale d'Otranto è praticamente chiuso all'immigrazione clandestina; dalla fine di agosto del 2002 non c'è stato un solo gommone che sia giunto sulle coste pugliesi: il che non significa che tutti i problemi siano risolti, né significa che non arrivi qualcosa di illecito dall'altra sponda dell'Adriatico. Significa che vi è un rispetto di accordi che erano stati sottoscritti da tempo; i numeri parlano da sé, perché i clandestini intercettati in Puglia nei primi undici mesi di quest'anno sono stati 137, erano stati 3363 nei primi undici mesi del 2002 e 8244 nei primi undici mesi del 2001. Quindi non è azzardato dire che la rotta del canale d'Otranto è praticamente chiusa.

Discorso simile va fatto a proposito delle coste calabresi, che non sono state interessate dai gommoni, bensì, negli anni passati, soprattutto dalle carrette del mare che partivano dalla Turchia o transitavano dal canale di Suez: grosse imbarcazioni con 800, o 1000, o più persone a bordo; anche qui i numeri parlano da sé, se è vero che nei primi undici mesi del 2003 i clandestini intercettati in Calabria sono stati 177, mentre erano stati 2117 nello stesso periodo del 2002 e 6093 nello stesso periodo del 2001. La collaborazione da parte di paesi come la Turchia, l'Egitto e lo Sri Lanka consente di registrare questo risultato estremamente positivo. Il punto debole continua ad essere la Sicilia, le sue coste meridionali, le isole di Pantelleria e soprattutto Lampedusa. Ma anche sulle coste meridionali della Sicilia si registra un calo; mi rendo conto che esporre dei numeri è poco significativo nel momento in cui anche nel 2003 ci sono state tante tragedie del mare. Però i numeri servono ad avere una visione d'insieme del fenomeno; i clandestini rintracciati in Sicilia nei primi undici mesi del 2003 sono stati 13899 a fronte dei 17032 dello stesso periodo del 2002. Devo dire, non per forzare i dati, che poiché la maggior parte dei clandestini che giungono in Sicilia arrivano in realtà a Pantelleria e a Lampedusa, il dato registrato corrisponde grosso modo a quello reale, mentre invece il dato ufficiale che si riferiva alla Puglia e alla Calabria presentava dei margini e delle distanze rispetto a quello reale: con coste lunghe e frastagliate - quali quelle delle due regioni - tanti sfuggivano alla registrazione; seguendo questo tipo di ragionamento, non mi sembra fuori luogo affermare che vi è un calo complessivo superiore rispetto al dato numerico fornito in queste rilevazioni.

La rotta prevalente oggi è quella che attraversa i confini meridionali della Libia con varie provenienze e poi si riversa sulle coste libiche, e in parte anche su quelle tunisine. Non utilizza nel tratto finale gommoni, ma pescherecci che si prestano a questo tipo di traversata; sono in corso da tempo contatti bilaterali di diplomazie, il Ministro Pisanu ha incontrato il Leader libico nel mese di luglio, e qualche riscontro concreto c'è stato, perché si segnala, proprio a seguito di quell'incontro e dei primi accordi intrapresi sia pure in modo informale, un calo di partenze dalle coste libiche. Il lavoro è però tutt'altro che agevole per una serie di circostanze: prima fra tutte, ma non l'unica, la permanenza dell'embargo dell'Unione Europea, che resiste nonostante la revoca dell'embargo da parte dell'ONU; come tutti sanno, un accordo di collaborazione ha bisogno per reggersi anche di beni materiali (in questo caso motovedette, elicotteri ecc.), che non si possono cedere alla Libia in presenza di questa preclusione. Notizie positive provengono dall'Egitto, grazie alla collaborazione instaurata a partire da una bozza di accordo che è stata sottoscritta con le autorità del Cairo nel maggio del 2002, e che ha consentito di inviare al Cairo, e più in particolare sul canale di Suez, un nostro ufficiale di collegamento: è un colonnello della Guardia di finanza, che è lì già da oltre un anno, per fornire uno scambio di informazioni in tempo reale. Il dato più significativo e la conseguenza più rilevante di questo accordo è costituita dal fatto che in più di una circostanza, tre se non ricordo male, le autorità egiziane hanno fermato prima dell'ingresso nel Canale delle imbarcazioni cariche di clandestini, e le nostre forze di polizia hanno mandato sul posto dei voli charter che hanno fatto salire a bordo i clandestini e li hanno riaccompagnati nei paesi di origine (soprattutto nello Sri Lanka). E' una sorta di difesa avanzata, che presenta costi minori rispetto a tollerare il passaggio delle navi e a far sì che entrino nel Mediterraneo, e quindi arrivino in Italia, con tutti i problemi conseguenti. È già accaduto tre volte e ha fatto diminuire notevolmente la frequenza su quel tipo di rotta.

La politica dei flussi si è raccordata in modo stretto con quella del contrasto, per far sì che ci sia un binario parallelo tra la repressione e l'integrazione; sono stati sottoscritti nuovi accordi: vorrei segnalare in modo particolare quelli, oltre che con Malta e Cipro, con la Moldavia e con lo Sri Lanka; quest'ultimo si sta rivelando particolarmente efficace, col riconoscimento alle autorità cingalesi delle quote privilegiate sia per il 2002 che per il 2003. Si è ottenuto in cambio un controllo molto stretto in partenza, che ha abbattuto notevolmente l'arrivo di clandestini da quello Stato.

La seconda linea guida dell'intervento legislativo è il raccordo stretto tra il permesso di soggiorno e il contratto di lavoro. Anche su questo aspetto, come tutti ricorderanno, la discussione in Parlamento è stata molto animata, ma anche in questo caso l'Italia ha anticipato un orientamento sul quale l'Unione europea si sta definitivamente attestando, sulla base dei lavori preparatori della direttiva che ormai pendono da oltre due anni, in materia di ingresso regolare; l'ingresso regolare in questa proposta di direttiva viene collegato strettamente con un contratto di lavoro. Non vi è stata, a differenza delle critiche ascoltate dentro e fuori il Parlamento durante l'esame della legge, nessuna equiparazione dell'extracomunitario a una merce: l'extracomunitario ha delle prospettive di lavoro che sono diversificate; può esserci l'intenzione di permanere nel nostro territorio limitatamente a una parte dell'anno per svolgere un lavoro stagionale, che può anche essere ripetuto nel corso degli anni: la legge viene incontro a questa periodicità di soggiorno breve sul nostro territorio allorché il comma 3 ter dell'articolo 5 prevede la possibilità di permessi di soggiorno triennali per chi svolga ogni anno lavori stagionali. Questo semplifica la vita all'extracomunitario e al personale delle questure. Può esservi una prospettiva di lavoro a tempo determinato: un anno e poi si torna nel paese d'origine; può esservi, infine, una prospettiva di lavoro tendenzialmente a tempo indeterminato: in tal caso il permesso di soggiorno è per due anni, ed è rinnovabile se continua il lavoro per arrivare ai sei anni. Decorsi sei anni, può essere richiesta la carta di soggiorno. Nella legge è stata peraltro confermata, sia pure con una contrazione temporale, la possibilità che in caso di perdita del lavoro si possa rimanere sul territorio nazionale per un periodo di sei mesi per trovare un altro lavoro. Vi è ancora qualche nostalgico dell'istituto dello sponsor, che la legge ha abolito: tale abolizione è però avvenuta sulla base di una valutazione obiettiva di dati; l'ultimo decreto relativo agli sponsor, che risale all'aprile del 2001, aveva consentito l'utilizzo degli sponsor per 15 mila extracomunitari, ma aveva fatto registrare il 60 per cento di richieste da parte di garanti stranieri; questo non ha portato ad una valutazione automaticamente negativa, ma è stato considerato con attenzione perché ha aperto ipotesi e scenari che per ragioni obiettive non lasciavano tranquilli. Si è abolito l'istituto dello sponsor, immaginando percorsi che valorizzino una integrazione effettiva: per questo l'articolo 19 della legge, che ha modificato l'articolo 23 del Testo Unico, ha previsto dei titoli di prelazione; nell'ambito di programmi approvati, organizzazioni sindacali, organizzazioni di categoria, associazioni di volontariato, Regioni ed enti territoriali possono attivare programmi di istruzione e di formazione professionale nei Paesi di origine: la frequentazione di questi corsi rappresenta titolo di prelazione per l'ingresso in Italia. Questa norma tende a favorire l'ingresso in Italia di extracomunitari già con una formazione di base e con qualche nozione rudimentale della nostra lingua e del nostro diritto: il che dà garanzie superiori rispetto a quelle che poteva fornire uno sponsor, soprattutto se in larga parte dei casi era extracomunitario.

Il terzo cardine della riforma è l'effettività delle espulsioni; bisogna dire che da questo punto di vista l'azione di governo aveva visto incrementare le espulsioni effettive sia nel 2001 che nel 2002; raccogliendo delle indicazioni proveniente dai tecnici, è stato aumentato il periodo di permanenza nei centri, da 30 giorni (20 più 10), a 60 (30 più 30),per avere tempo per l'identificazione della nazionalità del clandestino. I dati relativi ai primi undici mesi del 2003 fanno registrare in numeri assoluti un decremento di espulsioni: ciò perché vi è un decremento di arrivi; in percentuale le espulsioni salgono, in assoluto sono di meno perché vi è un numero inferiore di clandestini che arriva in Italia, quindi vi è un duplice dato positivo rispetto al passato.

I primi mesi di applicazione della legge non mancano di mostrare problemi concreti su vari fronti. Mi fermo a quelli relativi alle espulsioni. Viene previsto dalla legge l'arresto in flagranza e il giudizio per direttissima nell'ipotesi in cui, una volta decorso inutilmente il termine per l'identificazione, lo straniero riceve l'intimazione ad allontanarsi dal territorio nazionale e non la rispetta; in questo caso l'inottemperanza all'intimazione integra un reato che viene punito con la pena da sei mesi a un anno di arresto, e per questo reato vi è l'arresto in flagranza e il giudizio per direttissima. Il problema sorge per il fatto che non sempre la convalida dell'arresto, spesso per difficoltà oggettive, riesce ad essere realizzata nel termine previsto di 48 ore: scaduto questo termine, l'extracomunitario viene rimesso in libertà, e non sempre il raccordo tra autorità giudiziaria e autorità di polizia consente l'immediato intervento dell'autorità di polizia. D'altra parte, il limite di pena è troppo basso per fare immaginare un'ordinanza di custodia cautelare, ammesso che esistano le altre condizioni per un provvedimento cautelare; questo è un punto sul quale, se si ipotizza a breve-medio termine una riflessione di insieme sulla prima applicazione di questa legge, sarà opportuno valutare se intervenire concretamente.

Vi è poi, e questo è un ulteriore elemento dell'intervento riformatore, un maggior rigore nei confronti dei trafficanti di uomini; più disposizioni vanno in questa direzione: fra esse ricordo la norma contenuta nel comma 3 dell'articolo 11 della legge 189, cioè quella che per i delitti connessi all'immigrazione prevede una diminuente fino alla metà nei confronti dell'imputato che si adopera per impedire che l'attività delittuosa comporti conseguenze ulteriori, o aiuta concretamente le autorità di polizia e l'autorità giudiziaria a raccogliere gli elementi di prova decisivi per ricostruire i fatti. È una norma che potrebbe consentire, tenendo conto anche delle condizioni in cui avvengono certi sbarchi, di ricostruire il quadro dell'organizzazione criminale di riferimento. Sta dando utilità concreta e significativa quella disposizione così contestata nel momento in cui la legge è stata discussa in Parlamento, relativa alle cosiddette impronte digitali. Nella prima fase di applicazione della legge, e soprattutto di applicazione della regolarizzazione, sono stati oltre 700 mila i soggetti a cui sono stati effettuati rilievi fotodattiloscopici, e più di un caso il confronto con ciò che era contenuto nelle banche dati ha consentito di individuare i colpevoli di reati significativi che avevano identità diverse e false.

Ultimo aspetto della legge è quello relativo alla disciplina del diritto di asilo. Il Parlamento ha iniziato ad occuparsi della materia in modo organico, nel senso che vi era una pausa nell'iter di alcune proposte di iniziativa parlamentare, in qualche misura sollecitata dal Governo, che aveva chiesto di attendere la conclusione del semestre italiano per verificare l'approvazione in sede europea delle direttive sull'asilo. Questo per evitare di varare una legge non coincidente con le direttive in discussione. Poiché queste direttive non sono state approvate nel semestre, non c'è ragione per fermare l'ulteriore corso della legge; l'iter è ripreso, sono stati presentati degli emendamenti, e il loro numero elevato non deve far immaginare manovre ostruzionistiche: al contrario, nella Commissione affari costituzionali della Camera vi è un clima positivo e costruttivo. Il numero elevato di emendamenti dipende dal numero di articoli sui quali si interviene e dall'obiettiva complessità e articolazione della materia. Nel frattempo, nella legge 189 sono stati inseriti due articoli che hanno l'obiettivo circoscritto di impedire l'uso strumentale della richiesta di asilo. Viene introdotta una procedura più celere (il che non significa sommaria o superficiale): sono istituite al posto dell'unica commissione centrale che in questo momento esamina le domande di asilo, delle commissioni territoriali (7, complessivamente), ciascuna delle quali esaminerà la sua parte di domande. Le commissioni territoriali saranno integrate anche dalla presenza di un rappresentante dell'Alto Commissariato ONU per i profughi e i rifugiati: è una presenza che valutiamo importante e preziosa, per il rigore e il contributo che finora l'ACNUR ha dato all'esame di questo tipo di domande.

Sui regolamenti, si è sbloccata una stasi che dipendeva da fattori terzi: la Conferenza unificata Stato - Regioni - Enti territoriali non aveva manifestato un gradimento straordinario nei confronti dell'ultima legge finanziaria, e aveva bloccato i lavori della Conferenza per un po' di tempo, a prescindere dal merito dei vari provvedimenti al suo esame. La scorsa settimana questo blocco si è sciolto, abbiamo ricevuto un bel parere negativo; ma questo significa che comunque i regolamenti andranno all'esame del Consiglio di Stato, e quindi, dopo un nuovo vaglio del Consiglio dei Ministri, dovrebbero essere pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale.

Il quadro è completato da quella operazione che si è avviata nel mese di novembre del 2002 e che si è chiamata regolarizzazione. Essa ha avuto come fonti normative l'articolo 33 della legge 189/02 con riferimento al lavoro domestico o di assistenza di carattere medico, e il decreto legge 195/02 con riferimento al lavoro subordinato in senso lato. Perdonerete se per l'ennesima volta sottolineo la differenza sostanziale che esiste tra regolarizzazione e sanatoria. Le sanatorie del passato si limitavano a prendere in considerazione la presenza sul territorio nazionale a una certa data e riguardavano i disoccupati, garantendo loro soltanto le iscrizioni alle liste di collocamento. La regolarizzazione non si è limitata a questo, ma ha richiesto un rapporto di lavoro reale, che è stato fatto emergere con una domanda che è stata presentata non dall'extracomunitario ma dal suo datore di lavoro. Il rapporto di lavoro è stato formalizzato in un contratto di lavoro con un salario regolare: a esso si è collegata la regolarizzazione contributiva, l'assistenza sanitaria, e un contesto di sicurezza, perché a ciascuno sono stati effettuati i rilievi fotodattiloscopici. Le più ottimistiche previsioni della vigilia facevano immaginare non più di 400 mila domande di regolarizzazione: sono state invece ben 705 mila! Pur in presenza di una serie di problemi nella fase iniziale, determinati sia dalla quantità delle domande sia dalla oggettiva difficoltà di leggere alcune delle istanze (qualcuna era stata compilata con caratteri cirillici e qualche altra prescindendo dalle caselle che consentono la lettura ottica), si sono poi superati questi scogli, e oggi, con una punta di orgoglio che riguarda tutte le amministrazioni dello Stato che hanno collaborato per la riuscita di questa operazione, possiamo dire che la regolarizzazione è alle nostre spalle: su 705 mila domande presentate i procedimenti conclusi sono circa 640 mila; la stragrande maggioranza si riferiscono a contratti già definiti, mentre una esigua minoranza di persone che hanno perso il lavoro hanno avuto il permesso di soggiorno temporaneo per trovarne un altro. Le istanze respinte per le ragioni più varie sono una percentuale ridottissima rispetto all'insieme: siamo all'incirca sui 25 mila rigetti. Tutto questo è stato fatto in un anno, senza file al momento della presentazione della domanda (in virtù della convezione con Poste Italiane, che ha consentito di distribuire le istanze sull'intero territorio nazionale attraverso i 14 mila uffici postali, qualcosa di più rispetto alle 103 Questure), e senza file anche al momento della formalizzazione; tutti sono stati ben lieti di essere convocati in Prefettura, a giorno e a orario fisso, e di avere, sempre in Prefettura, in una sola occasione definito i vari adempimenti: non soltanto la sottoscrizione del contratto di lavoro, ma pure, come si diceva, la regolarizzazione contributiva, sanitaria e fiscale. L'ultima sanatoria era durata due anni e mezzo con 250 mila domande, lasciando una coda di 35 mila pratiche inevase; l'attuale regolarizzazione, con un carico di 705 mila domande e con un lavoro molto più impegnativo, si è conclusa in un anno. Il Governo è grato a tutti coloro che hanno profuso ogni sforzo perché questa operazione riuscisse al meglio, e il fatto che non si parli più di regolarizzazione mi sembra estremamente positivo: se se ne parlasse sarebbe solamente in chiave critica, da parte dell'opposizione e dei mass media, per cui conviene accontentarsi del silenzio. Numerose sono le sfide nell'immediato futuro: conclusa la sanatoria, comincia la stagione dei rinnovi dei permessi di soggiorno. Tutti coloro che hanno definito un contratto e hanno avuto un permesso di soggiorno, lo hanno avuto per un anno: a partire da novembre - dicembre 2003 cominciano già a scadere i primi permessi di soggiorno. La regolarizzazione, inoltre, ha riguardato chi aveva un posto di lavoro, non le loro famiglie: si pone il problema dei ricongiungimenti familiari, che saranno più o meno ampli in base al nucleo familiare di ciascun lavoratore. Avranno comunque un'estensione notevolissima, visto che ci sono 650 mila lavoratori regolarizzati: sta partendo quindi un lavoro nuovo, altrettanto impegnativo rispetto a quello che è alle spalle, tale da richiedere una serie di misure perché il sistema vada a pieno regime.

E' poi necessario continuare sulla strada degli accordi bilaterali, e ottenere un livello di coinvolgimento più ampio dei paesi di provenienza o di transito. Sul coordinamento in mare, siamo nella fase di attuazione del decreto interministeriale da parte della nuova Direzione dell'immigrazione presso il Dipartimento di pubblica sicurezza, con la previsione della ripartizione per zone tra la Guardia di finanza e le unità della Marina militare. L'esperienza dirà, su questi come su altri terreni, su quali punti intervenire e quali disposizioni modificare ulteriormente; intanto queste disposizioni vanno pienamente attuate, considerando che con l'immigrazione avremo a che fare non solo nei prossimi anni, ma nei prossimi decenni, e che le modalità di approccio sono non quelle di un insieme di fotografie istantanee, ma quelle di un lungometraggio. Armiamoci di pazienza e di attenzione alla realtà, per far sì che l'azione del Governo, del Parlamento, e delle Amministrazioni coinvolte sia la più adeguata possibile. Un'azione che continuerà a muoversi approfondendo la dimensione europea.

L'Italia si è molto impegnata nel semestre e probabilmente i frutti di questo impegno non si stanno cogliendo per intero oggi: si coglieranno nei prossimi semestri con altre presidenze. E' stato fatto un lavoro istruttorio imponente, che ha consentito di sciogliere tanti nodi dal punto di vista tecnico: pur se l'istruttoria tecnica non è tutto, è molto nel momento in cui poi si affrontano le discussioni sul piano politico. Per la regolazione dei flussi legali alla Commissione ci è stato affidato in questo semestre il compito di elaborare uno studio per una politica di quote annuali europee, e questo è un punto politicamente significativo: non sfugge a nessuno che in un accordo con un paese di provenienza o di transito il peso che può avere un partner come l'Italia, o la Germania, o il Regno Unito, e il peso che può avere l'Unione europea nel suo insieme è incomparabilmente diverso. Sono stati approvati due regolamenti, relativi all'inserimento di elementi biometrici nei visti e nei permessi di soggiorno, mentre un terzo provvedimento sui passaporti è in via di elaborazione, e si è concordato di adottare le impronte digitali e il riconoscimento facciale con parametri di base. Dicevo del lavoro istruttorio che è stato fatto, e che ha riguardato in particolare la direttiva sull'ingresso di soggiorno di extracomunitari per motivi di lavoro (ne facevo cenno prima): la proposta è stata presentata dalla Commissione da oltre due anni, e la stessa Commissione oggi, sulla base del lavoro tecnico svolto, è in grado di prendere decisioni più adeguate sul seguito dell'iniziativa. Sono stati fatti dei passi in avanti sulla gestione integrata delle frontiere esterne con l'attivazione di una Common Unit composta dagli esperti delle frontiere; sono stati definiti anche i nuovi centri per il coordinamento del programma operativo per il controllo delle frontiere marittime proposto dall'Italia. Sull'asilo, su quelle direttive che attendeva anche il Parlamento italiano, la presidenza italiana ha consentito di ridurre le riserve sul testo originariamente proposto da 239 a 37: gran parte del lavoro è stato svolto, e l'auspicio è che entro il maggio del 2004 (questa era la scadenza posta dal Consiglio di Tampere) tali direttive possano essere varate. Al di là del formale rispetto delle scadenze, le direttive sull'asilo sono importantissime per una ragione oggettiva e sostanziale: l'Europa continua ad essere guardata come meta di tanti perseguitati a vario titolo, e quindi è indispensabile avere strumenti giuridici per discernere la persecuzione effettiva da quella virtuale o evocata in chiave strumentale; il singolo Stato dell'Unione può ben dotarsi di una legislazione sull'asilo, ma non sarà mai una legislazione perfettamente sovrapponibile a quella di uno Stato europeo confinante, e in questa materia sarebbe negativo consolidare sistemi giuridici diversi, perché dalla differenza dei sistemi può derivare una diversità dei luoghi prescelti quanto a destinazione. L'omogeneità dal punto di vista giuridico è indispensabile perché da parte dell'Europa ci sia una risposta univoca rispetto a questo tipo di esigenza.

Concludo dicendo che sul contrasto all'immigrazione clandestina sono state approvate due decisioni importanti, che facilitano la collaborazione degli Stati membri sia quanto all'espulsione sia nell'organizzazione di voli congiunti per il rimpatrio dei clandestini. E' stato approvato il regolamento sulla creazione di una rete di funzionari di collegamento incaricati dell'immigrazione; un importante accordo è stato raggiunto anche sulla direttiva per il rilascio del permesso di soggiorno alle vittime della tratta di esseri umani che collaborano con le autorità competenti; da questo punto di vista abbiamo potuto utilizzare le esperienze positive che in Italia sono state fatte in applicazione dell'articolo 18 della legge sull'immigrazione, il cui meccanismo è servito per l'elaborazione di questo documento dell'Unione europea. Vorrei ricordare infine la Conferenza dei Ministri dell'Interno sul dialogo religioso che si è svolta a Roma il 30 e 31 ottobre, che ha portato all'approvazione di una dichiarazione sul dialogo interreligioso: è un elemento che va nella direzione della integrazione, e quindi di una politica di immigrazione più seria, più organica, e di prospettiva. L'Italia può essere ben orgogliosa di aver promosso attraverso il nostro Ministro dell'interno una iniziativa così importante, che ha avuto, anche simbolicamente, passaggi molto efficaci, a cominciare dalla udienza del Santo Padre.

Quanto è stato fatto in questi due anni e mezzo costituisce non un punto di arrivo, ma semplicemente un punto di partenza di ciò che, speriamo meglio e con l'aiuto di tutti, si può fare nel resto della legislatura. Colgo l'occasione per fare a tutti non solo gli auguri di buon lavoro ma anche di buone feste natalizie.

 

 

altri interventi