SOTTOSEGRETARIO DI STATO
AL MINISTERO DELL'INTERNO
Dipartimento della Pubblica Sicurezza


Interventi Pubblici

 




L'intervento di Alfredo Mantovano Coordinatore di Alleanza Nazionale per la Puglia al Coordinamento regionale di AN

Villa Romanazzi Carducci - Bari, 11 aprile 2005


 

Questo coordinamento è il primo momento di incontro regionale del partito dopo la morte del Pontefice: prima di avviare i lavori vorrei chiederVi un attimo di doveroso raccoglimento, qualcosa di diverso dal solito minuto di silenzio, ciascuno lo riempirà come ritiene. (…)

L’ordine dei lavori prevede che i presidenti provinciali di AN svolgano ciascuno una relazione per la parte di competenza territoriale di ciascuno; li prego di iniziare, di non superare i 10 minuti a testa e di approfittare dei loro interventi per precisare se e quali iniziative politiche sono state organizzate in vista dei ballottaggi del 17 aprile. Quindi cercherò di svolgere qualche prima considerazione. Poi si aprirà il dibattito, che dovrà chiudersi con una mia eventuale replica entro le 15- 15.30, per le ragioni che esporrò più avanti. (…)

  • Credo che da parte mia sia giusto iniziare con dei ringraziamenti non formali. Anzitutto agli elettori: sia a quelli che hanno votato la coalizione, sia a quelli che, nella coalizione, hanno preferito AN; poi alle migliaia di militanti del partito, che lavorano realmente sul territorio; quindi ai 70 candidati al consiglio regionale; infine, alla classe dirigente di AN, e in particolare ai presidenti/ reggenti provinciali. Un grazie speciale vorrei rivolgere a Raffaele Fitto, per il lavoro dei cinque anni appena trascorsi, per l’impegno comune nel governo e nel consiglio regionale e in questa campagna elettorale. Questo coordinamento (lo voglio dire subito) è il luogo dell’approfondimento e del confronto, come – parlo ovviamente per ciò che ricade nella mia responsabilità – lo è stato nei sei mesi, da ottobre a oggi, nel corso dei quali ho svolto l’incarico di coordinatore regionale. Quando qualcuno protesta per la carenza o addirittura per l’assenza di dialogo nel partito mi permetto di rispondere, qui, nella sede più opportuna, che forse in questo periodo ce ne è stato troppo, come altri hanno lamentato: ci siamo visti mediamente due volte al mese (ringrazio in proposito Lorenzo Ranieri, dal momento che abbiamo occupato stabilmente una delle sale del Romanizzi-Carducci), abbiamo discusso, anche animatamente, di tutto, dalla nuova legge elettorale alle candidature; in questi sei mesi ho partecipato, in certi casi più di una volta, ai lavori degli esecutivi di tutte e sei le province pugliesi, promuovendo la costituzione della 6^ federazione; non ho atteso la campagna elettorale per girare la Puglia in lungo e in largo: ricorderete che nel mese di novembre ho trascorso senza interruzione otto giorni in giro per i circoli di AN (e non solo), dal Gargano al Capo di Leuca (esperienza che riproverò al più presto).

    E’singolare che l’assenza di dialogo o di confronto interno sia denunciata da chi non ha mai partecipato, neanche in via eccezionale, a questa modalità di vita interna del partito. L’ottimo potrebbe raggiungersi quando, oltre a partecipare, si formulasse pure qualche proposta concreta: perché la critica dopo il voto è indispensabile e non può mancare (purché ovviamente sia motivata); ma sarebbe tanto bello se fosse avanzata in tempo utile, e comunque prima del voto, con interventi costruttivi: per i quali invece vengono fatte mancare quelle energie che poi con tanta generosità si spendono in chiave critica esclusivamente dopo la chiusura delle urne.

    Cercherò di aggiungere alle relazioni dei presidenti provinciali qualche annotazione: sull’analisi del voto regionale nel suo insieme; sui risultati conseguiti da AN; sulle prospettive al consiglio regionale e in Puglia; sull’impegno che come AN ci attende per l’immediato futuro. Sono punti strettamente connessi fra di loro.

  • L’analisi del voto regionale, della coalizione e di lista è collegata a considerazioni di ordine generale. Il risultato regionale risente anzitutto delle difficoltà che il centrodestra incontra oggi sul piano nazionale, e in modo particolare nel Sud. In Puglia questo risultato segue quello negativo delle provinciali e delle comunali 2004, e delle suppletive: c’è qualcosa che non va. E’ stato con tutta evidenza un voto contro più che un voto per: abbiamo giocato la partita di questa campagna elettorale in difesa, sia sui temi della politica nazionale sia sulle scelte regionali; dall’altra parte sono venute critiche quanto all’uno e all’altro profilo, non proposte alternative, eppure le critiche sono state sufficienti per vincere. Sulle questioni regionali, per esempio, la sinistra non ha spiegato quale sarà il suo piano sanitario regionale, né quello della grande distribuzione commerciale, né quale sorte avrà la legge regionale sulla famiglia: l’elettorato sembra aver espresso più una valutazione negativa per ciò che il centrodestra ha fatto in questi cinque anni che un apprezzamento per ciò che è stato proposto dal centrosinistra.

    Tutti abbiamo girato in questa campagna elettorale. E credo che tutti abbiamo constatato, più di quanto già non ci fosse presente, che tanta gente non arriva al 20 del mese. Non c’entra la riforma costituzionale federalista, che non ha avuto modo neanche di essere conosciuta nella sua articolazione (non dico applicata), o le leggi sulla giustizia. C’entra la drammaticità della perdita del potere di acquisto, che interessa soprattutto le fasce più deboli della popolazione e i lavoratori – dipendenti pubblici e privati – a reddito fisso; c’entra la chiusura di tante aziende, piccole e meno piccole del TAC (tessile-abbigliamento-calzaturiero), per le quali la prospettiva più rosea è la cassa integrazione; c’entrano le difficoltà nelle esportazioni. Tutto questo ovviamente non dipende né dal governo nazionale né da quello regionale, se non in minima parte. Ma è stato attribuito a chi governa, per il solo fatto di governare. In Germania la CDU vince nei lander contro il governo federale di sinistra proprio per questo. Vengono sanzionati tutti i governi europei in carica, al di là dello schieramento che ha la maggioranza, perché finora in Europa nessuno ha dimostrato di possedere una ricetta e una soluzione che produca effettivamente un incremento del potere di acquisto.

    Da questo punto di vista, il discorso che il presidente del Consiglio ha tenuto il 19 marzo agli industriali riuniti a Bari è stato esemplare per la chiarezza e l’onestà nel prospettare i problemi e gli ostacoli concreti a una ripresa: dal prezzo del greggio al cambio euro-dollaro, sfavorevole per le esportazioni, e quindi dannoso per la competitività delle nostre aziende. Peccato che non è stato questo il tratto prevalente della campagna elettorale del centrodestra, che ha dato l’impressione di minimizzare gli elementi critici, su questo come su altri versanti. Entrare in un’azienda tessile prossima alla chiusura e magnificare i successi del centrodestra a Roma e a Bari aveva un che di stonato. Da questo punto di vista va riconosciuto un merito all’on. Vendola, al di là delle strumentalizzazioni e della demagogia della campagna elettorale: quello di aver saputo ascoltare. Certo, è più facile recitare questo ruolo per chi parte dall’opposizione e contesta un governo uscente; ma credo che il punto d’inizio per un serio esame di coscienza del centrodestra è quello di recuperare la capacità di ascolto della gente. Che è poi l’equivalente di quel bagno di umiltà a cui esortava Gianfranco Fini intervenendo da Vespa, a poche ore dal voto: chi pensa di aver risolto tutto, di non doversi confrontare con nessuno, di non dover chiedere nulla a nessuno, di avere in tasca un programma la cui attuazione porterà con certezza benefici, prescindendo dalla verifica della realtà, non ha nessuna necessità di ascoltare e di farsi raccontare come stanno veramente le cose. Ma in questo modo è e appare assolutamente estraneo alle persone normali.

  • Non accenno neanche al discorso del riordino ospedaliero e ai suoi riflessi sul voto: è un tema che lascio all’approfondimento di chi vorrà intervenire. Affronto invece qualche nodo più politico, concentrandomi in particolare su due aspetti: 1) la capacità di aggregare tutti coloro che non sono di sinistra, ma che anche in Puglia non si sono alleati con il centrodestra; 2) gli effetti della nuova legge elettorale regionale.
    • E’ facile ragionare, come più di uno ha fatto, nei termini che seguono: per la scarsa consistenza dello scarto fra i due principali candidati, Raffaele Fitto avrebbe vinto le elezioni se con lui ci fossero stati Alternativa sociale, la Democrazia Cristiana dell’on. Rotondi e la DCU dell’on. Mongiello. Ragionamento facile, ma improponibile in questi termini, perché spesso l’aritmetica non va d’accordo con la politica, e non è detto che i voti presi da ciascuna di questa liste fossero trasferibili per intero sul presidente Fitto: chi vota AS perché non si sente rappresentato da nessuno schieramento non è detto che avrebbe preferito Fitto a Vendola nell’ipotesi di una improbabile aggregazione di AS al centrodestra. E non è detto che chi ha votato per Fitto in formazioni politiche di forte tradizione antifascista lo avrebbe fatto egualmente se AS fosse entrata nel centrodestra. E’ vero soltanto che quando c’è il maggioritario è necessario lo sforzo massimo per non lasciare fuori nulla. E non so se questo sforzo è stato fatto fino in fondo per la DC e per la DCU, per le quali non esistevano quei problemi seri, di principio, dilanianti, di ostacolo all’accordo con AS.

      Ma è vera pure un’altra cosa. In Puglia nel 2005 la percentuale dei votanti è cresciuta di poco rispetto al 2000; vi è stato un numero notevole di schede bianche e di schede nulle: 141.359 in totale, circa il 6% dei voti complessivi. Fitto ha avuto per sé circa 45.000 voti in meno rispetto al 2000. Vendola circa 200.000 in più rispetto a Sinisi. Questo vuol dire che non c’è stato un travaso di voti da destra a sinistra, ma che a sinistra vi è stata maggiore capacità di mobilitare i propri simpatizzanti. I nostri preferiscono dimostrare il proprio dissenso restando a casa o annullando la scheda. Il che vuol dire, ancora, che ha ragione Mimmo Mennitti quando, e non da adesso, sostiene che nel maggioritario oggi vince non chi riesce a convincere di più gli elettori dello schieramento avversario, ma chi riesce di più a motivare e a mobilitare i propri elettori. Quando spira un vento politico diverso può accadere – come sta accadendo -, soprattutto al Sud, che qualche notabile passi da uno schieramento all’altro, per le medesime ragioni “ideali” per le quali si era convertito al centrodestra cinque anni fa. Ma gli elettori sono per la gran parte più leali: al massimo non votano. Questo convince che per l’intero schieramento la situazione è recuperabile, solo che si inizi a parlare di più e con maggiore trasparenza con la propria gente.

    • La legge elettorale regionale. Nessuna recriminazione nell’esaminare gli effetti che quella legge ha prodotto per il centrodestra dopo il voto, posto che prima della sua approvazione ne abbiamo tanto discusso, e anche animatamente. Parto, pure in questo caso, dai numeri. Uno degli aspetti sui quali ci si è soffermati maggiormente in fase di preparazione della legge è stato lo sbarramento sulle liste dei partiti, che questo coordinamento proponeva al 4%, e che poi è scomparso del tutto, per lasciare solo uno sbarramento di coalizione al 5%. Proviamo a vedere quante liste nello schieramento di sinistra non hanno raggiunto il 4%: sono 8 su 12; il 3% non è stato raggiunto da 7 liste su 12. E’ vero che con lo sbarramento si sarebbero accorpate: ma avrebbero sommato aritmeticamente i voti? Normalmente ciò non accade. Ricordo che queste valutazioni partono sempre dal presupposto che si è perso per una differenza di 14.000 voti, e cioè per lo 0.6%. Se a ciò aggiungiamo che in una circoscrizione come quella di Bari a sinistra il partito di maggioranza relativa è stato quello dei DS, che però ha raggiunto l’11.86%, si può concludere che ha vinto il maggior numero delle liste presenti nello schieramento di centrosinistra rispetto a quelle presenti nello schieramento di centrodestra (sei in tutto), e che tale maggior numero a sua volta è stato indubbiamente incoraggiato dall’assenza di ogni sbarramento. Queste considerazioni – lo ripeto – sono soltanto “analisi del voto”: non servono a tornare indietro su decisioni che i fatti indicano come probabilmente sbagliate, e non possono proiettarsi propositivamente nel futuro, perché è inimmaginabile che la sinistra modifichi una legge per sé così favorevole. Se alla fine più di uno di noi preferiva mantenere il Tatarellum era anche per evitare questi risultati, non certo per salvaguardare posizioni singole (apro e chiudo una parentesi: Congedo era stato accusato di mantenere le riserve sulla nuova legge elettorale perché voleva il listino per sé; è stato il consigliere regionale di AN più votato in Puglia, ha dimostrato che non ne aveva alcuna necessità).
  • In Puglia AN ha perso 3.4 punti percentuali e ha perso 55.000 voti rispetto alle elezioni regionali del 2000. Non faccio comparazioni con le europee del 2004: il dato non è omogeneo per varie ragioni, dall’oggettivo spessore dei candidati delle europee (Fini, Gasparri, Alemanno, Poli Bortone, Tatarella) alla limitata concorrenza dei candidati di altre liste e al taglio esclusivamente politico che avevano le europee. E’ un dato che è invece in linea con quello delle provinciali 2004. Leggendo i numeri, emerge che le cause del decremento sono più di una:
    • Il voto contro il centrodestra è stato più penalizzante al Sud. Basta riflettere sul distacco fra i candidati presidenti in Campania: Italo Bocchino, che pure, sotto vari profili, era il miglior candidato che AN potesse esprimere in quella regione, ha avuto rispetto a Bassolino un distacco di 27 punti percentuali, addirittura maggiore rispetto al distacco fra Errani e Monaco in Emilia-Romagna (26.9). In una regione come la Calabria, dove pure – a differenza della Campania - il centrodestra ha governato, il distacco fra Abramo – anche lui ottimo candidato, sindaco della città capoluogo di regione – e Loiero è stato di 20 punti percentuali. E vogliamo che la Puglia – e AN in Puglia - non risentisse di tutto questo?
    • Premesso questo, va poi aggiunto che non c’è regione, del Sud come del Nord, in cui AN abbia aumentato i consensi rispetto alle regionali del 2000. Li ha perduti ovunque: una delle tabelle allegate fornisce il dettaglio e il raffronto per tutte le regioni; vogliamo quantificare almeno in un punto percentuale – ma probabilmente sono di più – il decremento dovuto a questo condizionamento negativo di ordine nazionale (sulle cui cause si è detto)?
    • Lista del presidente. Cinque anni fa non esisteva. Non è una recriminazione né una critica. E’ un dato oggettivo: noi abbiamo accettato la presenza di questa lista, con senso di responsabilità, fin dall’estate scorsa, quando era ancora coordinatore Salvatore Tatarella, come pure ha fatto FI, nell’interesse della coalizione, certi che avremmo dovuto pagare un prezzo. FI l’ha pagato con una parte degli 11 punti % che ha perso rispetto al 2000, AN con una parte dei 3 punti % che si ritrova in meno. Esistono numerose riprove in questa direzione: 1) non è un caso se sul piano nazionale AN perde di più nelle regioni nelle quali è stata presentata la lista del presidente, e cioè in Liguria (- 3.1%), nel Lazio (- 6.2%; la maggiore percentuale dipende dall’essere il candidato presidente di AN) e in Puglia (-3.4%). Attenzione: esistono regioni, come Marche e Toscana, nelle quali le perdite di AN sono state egualmente significative (rispettivamente -3.3 e -3.8 %) pur senza lista del presidente, ma l’orientamento di Puglia, Liguria e Lazio vale per operare i confronti con i risultati delle liste di AN nelle altre regioni; 2) nella stessa Puglia AN ha perso di più lì dove la lista del presidente ha avuto il successo migliore (penso a Bari e a Lecce) e ha contenuto le perdite nel caso contrario (penso a Brindisi e alla 6^ provincia). In quest’ottica – vorrei dirlo con chiarezza - rivendicare, come è stato fatto, una tenuta di FI derivante dalla somma aritmetica dei propri voti di lista e di quelli della lista del presidente mi sembra singolare; “la Puglia prima di tutto” ci è sempre stata presentata come la lista che avrebbe eroso consensi al centro del centrosinistra o ne avrebbe recuperati da articolazioni sociali varie, non come una divisione tattica tutta interna a FI. Dare questa lettura a posteriori vuol dire ignorare la sconfitta o addossarla ad altri. Con ciò continuo a sostenere che la lista del presidente andava fatta – è stato bene farla e abbiamo fatto bene ad approvarla - perché, soprattutto per come è terminata la consultazione elettorale, un di più, anche solo di mezzo punto percentuale portato da quella lista ne avrebbe giustificato l’esistenza, pur se col pagamento di un tributo consistente dei partiti tradizionali. Ma credo che sia altrettanto onesto verificare oggi le conseguenze che ha prodotto sui due partiti principali della coalizione.
    • L’oggettiva debolezza delle liste. Credo che già le ragioni enunciate finora spieghino da sole il calo dei 3 punti %. Ma ne esistono altre, fra cui la composizione delle liste: quando abbiamo iniziato a parlare della legge elettorale regionale, Salvatore Tatarella aveva visto giusto esprimendo la contrarietà alla preferenza unica, appoggiato in questo da pochi, fra cui Congedo e chi vi parla. Per averne conferma è sufficiente leggere confrontare il divario esistente in ogni provincia tra le preferenze dei primi 3, 4 o 5 candidati e quelle degli altri candidati. Che fosse così era già chiaro al momento della formazione delle liste, per le difficoltà incontrate nel riempirle. La possibilità di indicare per lo meno due preferenze (ricordo che la preferenza plurima c’era alle elezioni europee) avrebbe fatto andare le cose diversamente, perché anche un outsider avrebbe potuto competere con una prospettiva di successo, se ben collegato ad altri candidati. Ringrazio in proposito gli sforzi notevoli svolti dai presidenti provinciali per definire le liste: evidentemente non sono bastati. Alla debolezza delle liste ha concorso in negativo l’assenza di collaborazione da parte delle cosiddette correnti, ciascuna delle quali ha preferito quasi sempre puntare su un’unica candidatura forte per componente, se non addirittura esercitarsi nell’interdizione di candidature che comparivano all’orizzonte e che potevano danneggiare il “proprio”. Dire questo oggi non vuol dire recriminare nei confronti di nessuno, ma solo fare delle constatazioni oggettive, che nessuno può altrettanto oggettivamente contestare.
  • Le risposte alla domanda “che fare?”, a cui a questo punto è necessario dare qualche seguito, devono tenere conto di più piste di approfondimento: 1) la scadenza elettorale delle politiche del 2006, che – lo sottolineo anche per orientare il tipo di lavoro da fare – è una competizione maggioritaria; 2) il tipo di opposizione da condurre al consiglio regionale pugliese; 3) il rapporto con gli altri partiti della coalizione; 4) il rafforzamento del partito, interno ed esterno. Anche questi aspetti sono tutti reciprocamente collegati.

    Sono certo, per l’analisi del voto svolta in precedenza, che il calo dei consensi sia recuperabile in vista delle politiche, purché si adottino delle contromisure.

    Se il centrosinistra ha caratterizzato la sua campagna elettorale per un insieme di critiche e per poche significative promesse, il centrodestra, dopo aver dato al nuovo governo regionale il tempo per costituirsi e per avviare il lavoro, deve incalzare sull’attuazione di quelle promesse. Entro l’anno vedremo se sarà abolito il ticket sui farmaci, se sarà entrato in vigore il salario sociale, quanti reparti ospedalieri saranno riaperti; vedremo con quali risorse finanziarie avverrà tutto questo e come verranno reperite nel bilancio regionale. Non dobbiamo limitarci a “vedere”, ma informare capillarmente i pugliesi, confrontando gli impegni assunti con quello che sarà – se sarà – realizzato, senza mai dimenticare di enunciare le nostre proposte. Non deve trattarsi di una opposizione angosciata e angosciante, ma seria, serena e costruttiva, che si svolga senza sconti all’interno del Consiglio regionale, ma abbia pure occasioni costanti di confronto col territorio. E’ necessario organizzare delle forme visibili e sostanziali di ascolto dei problemi della gente e di esposizione delle proprie proposte: ciò che Pinuccio Gallo fa da tempo nel suo collegio – il “parlamentino del centrodestra”, ripeto: del centrodestra, non solo di AN -, su temi specifici di volta in volta individuati, può costituire uno dei modelli operativi di riferimento per i presidenti provinciali, per i parlamentari, per i consiglieri regionali, nei territori di competenza di ciascuno.

    Sui contenuti dell’opposizione, continuo a essere convinto che oggi il modello di governo per la sinistra, nazionale e anche (e oggi vorrei dire soprattutto) regionale, non è Fidel Castro ma Zapatero. In proposito è stato detto che, avendo dato un certo taglio agli ultimi giorni di campagna elettorale, avrei danneggiato l’esito del voto; perfino qualche esponente di AN, pur di darmi torto, ha dato ragione su questo a Vendola e al suo sfogo contro di me immediatamente successivo alla notizia del successo elettorale. Invito chiunque a dimostrare che nell’ultima campagna elettorale chi vi parla abbia rivolto apprezzamenti personali, o addirittura volgarità, al neo presidente della Regione. Mi sono limitato, in assenza della proposizione di programmi da parte della sinistra, a illustrare le pdl presentate dall’on. Vendola da parlamentare (a cominciare da quella sulla distribuzione controllata dell’eroina), chiedendogli se vi avrebbe dato seguito una volta diventato presidente della regione: non ho inventato nulla e non ho denigrato nessuno. A distanza di una settimana dal voto, ritengo invece che vi sia stata una campagna elettorale del centrodestra molto timida sui principi e sui valori. Se hanno fatto notizia i primi manifesti con i quali Vendola si è presentato – eversivo, diverso… - ha fatto notizia anche il nostro manifesto di risposta, relativo alla famiglia normale: e ne ha fatto tanta da essere ripreso (e in termini di positiva curiosità) da testate giornalistiche nazionali, a cominciare dal Corriere della Sera; e da costringere Vendola a rettificare il tiro, anche propagandisticamente, nel seguito della campagna elettorale. Il che vuol dire che quel manifesto e quel taglio propagandistico avevano dato realmente fastidio: dovevamo essere più convinti e più decisi su questo fronte, altro che errore!

    Perché dico questo? Perché con la candidatura, e quindi col successo elettorale di Vendola in Puglia, la sinistra radicale e filozapaterista non si è limitata a rivendicare rispetto per i gusti e le propensioni personali. Sergio Lo Giudice, presidente nazionale di Arcigay (Ansa, 5.04.05): “se Zapatero ha colto l’irrefrenabile desiderio di laicità e libertà della ‘cattolicissima’ Spagna, annunciando i matrimoni gay fra il plauso generale, Romano Prodi continua a mantenere un imbarazzato e imbarazzante silenzio sulla proposta di una legge sul Patto civile di solidarietà. Vendola presidente apre una nuova fase: chi non saprà coglierla rischia di stare controvento rispetto al futuro dell’Europa”. Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli (Ansa, 5.04.05): esprime soddisfazione per la vittoria di Vendola in Puglia “per la svolta culturale che essa rappresenta per una regione del sud da sempre considerata molto conservatrice”. Infine, Vendola (Ansa, 5.04.05): “mi sento molto emozionato perché capisco cosa la mia elezione voglia dire per il sud (…) per la Puglia e per tutta la comunità gay. Uno straordinario risarcimento simbolico.” Che cosa vuol dire questo? Vuol dire che è iniziata una partita – e questo partita si gioca anzitutto nella sala consiliare della regione Puglia – la cui posta è l’identità culturale della Puglia e del Sud; una identità che per noi non va scoperta o costruita, ma semplicemente conosciuta, rispettata e valorizzata, avendo chiarissime radici e altrettanto chiaro sviluppo; dall’altra parte la si vuole inventare, seguendo i modelli appena ricordati. Questo crea dei problemi interni anzitutto nella sinistra: non solo nella Margherita, ma anche in larghe fasce dei DS. Questo deve vederci vigili e presenti, culturalmente e politicamente attrezzati, in tutti i dibattiti che inevitabilmente ci saranno, dentro e fuori il consiglio regionale: credo di non essere un profeta nell’immaginare che i primi confronti riguarderanno l’utilizzazione delle risorse finanziarie in favore di determinati settori dell’associazionismo di sinistra… Dovremo dimostrare e lavorare perché le esigenze delle fasce realmente disagiate della popolazione non siano pretermesse rispetto a “risarcimenti”, simbolici o effettivi, come quelli appena evocati.

    Vi è una scadenza politica – e al tempo stesso culturale – imminente, che va colta subito e senza incertezze. Lo dico non da coordinatore regionale, ma da semplice iscritto ad AN, dal momento che il partito fino a questo momento non ha avuto ancora modo di definire una linea (ma non ha neanche precluso iniziative al riguardo); il 12 giugno si svolgerà il referendum sui quesiti radicali che disarticolano la legge sulla fecondazione artificiale. Una legge varata all’inizio del 2004 con una maggioranza politica, più ampia di quella parlamentare, di cui AN era parte convinta. Una legge imperfetta, come tutte le leggi, ma che fissa principi chiari in materia di vita e di famiglia e pone delle regole rispetto alla manipolazione dell’essere umano. Una legge le cui ragioni, dopo essere state sostenute in Parlamento, vanno spiegate alla gente con un lavoro che non è facile ma che è indispensabile. Una legge che può restare in vita se si convince la metà più uno degli italiani a restare a casa il giorno dei referendum. Se esistevano già delle buone ragioni per un impegno in questa direzione, in Puglia oggi vi è una ragione in più: la prospettiva zapaterista si sconfigge riaffermando pochi essenziali valori non confessionali, ma di semplice diritto naturale, in quanto tali riconoscibili da chiunque, in una battaglia che non è clericale o oscurantista, ma di autentica civiltà.

    Rispetto fino in fondo i tempi e le modalità decisionali del partito, ed evito di coinvolgerne le strutture. Vorrei solo informare che da circa due mesi è stato costituito in Italia un comitato, denominato Scienza & vita, che ha l’obiettivo di illustrare i motivi che portano a difendere la legge 40. Personalmente ne faccio parte e mi sento impegnato a promuoverne o favorirne rapidamente la diffusione in tutto il territorio regionale. Chiedo a chi sia interessato a collaborare attivamente di farmelo presente.

  • Il centrodestra in Puglia deve trovare da subito quel raccordo di intenti e operativo che ha smarrito da tempo. Concordo senza incertezze con chi sostiene che va ritrovata l’unità effettiva del centrodestra e ne va promosso l’allargamento. Si può andare “oltre il Polo”, per riprendere una formula tanto felice quanto abusata (che però andrebbe riattualizzata), se si è certi che esiste “il Polo”. Sarebbe assurdo se in consiglio regionale nelle file dell’opposizione una forza politica sostenesse una tesi e un’altra se ne discostasse. E, proprio per passare dalle dichiarazioni di intenti ai fatti, ho accolto la proposta, che mi ha rivolto qualche giorno fa Raffaele Fitto, di avviare un coordinamento fra i consiglieri del centrodestra: la prima riunione ci sarà nel pomeriggio di oggi, in questa stessa sala, a partire dalle 16. Al di là del raccordo in sede di Consiglio regionale, credo che vada approfondita con attenzione – e che in Puglia si debba lavorare in questa direzione – l’ipotesi di lavoro rilanciata qualche giorno fa da Gasparri e da Urso di una federazione fra i partiti soci fondatori del centrodestra, che consenta di parlare un’unica lingua, di elaborare proposte politiche omogenee, di avere unità di intenti nel dialogo con tutte le formazioni politiche già aggregate o da aggregare alla coalizione, di puntare a manifestazioni pubbliche di schieramento più che di partito. Le prime realtà a trarne beneficio sarebbero i municipi nei quali governa il centrodestra: sono tanti, e dovremo dedicare loro sempre maggiore attenzione. Tutto ciò ha senso in sé; ha senso in quanto la struttura di ciascun singolo partito si mostra sempre più inadeguata a fornire quelle risposte che la gente esige da noi; ha senso particolare all’approssimarsi di un voto fondato sul maggioritario, per il quale la sola tentazione di immaginare un impegno maggiore o minore a seconda dei collegi e di chi sarà il candidato in ciascuno di essi va respinta come tentazione al suicidio politico.
  • Mentre va preparato il lavoro in questa direzione, sono però necessarie delle rettifiche per l’azione del nostro partito. Il presupposto confortante, che non va dimenticato, è che AN in Puglia resta saldamente il secondo partito della coalizione; non da per tutto è andata male: è giusto riconoscere che nella provincia di Taranto AN addirittura guadagna qualche consenso, e comunque non arretra. Ho intenzione di svolgere riunioni di esecutivi provinciali in ciascuna delle sei province per approfondire e per definire più dettagliatamente i problemi del territorio; chiedo da subito ai presidenti provinciali di allargare la partecipazione a queste riunioni a tutti coloro che si sono candidati alle elezioni regionali in quella circoscrizione. Chiedo altresì di promuovere riunioni in ciascun circolo di AN presente sul territorio; da venerdì 22 aprile a tutto il mese di maggio ogni presidente provinciale suddivida i circoli presenti nel territorio di sua competenza fra parlamentari, consiglieri regionali, esponenti autorevoli del partito per svolgere riunioni: nelle quali non si va a fare dei minicomizi, ma si va per ascoltare. Non si tratta – intendiamoci – di promuovere sfogatoi, ma di cominciare a far parlare la nostra gente, magari provando a far tornare chi si è allontanato o ad avvicinare qualche nuova persona. Al termine faremo un bilancio, e sono certo che saremo più ricchi di spunti e di proposte operative. Attendo da parte di ogni presidente entro il 20 aprile un primo calendario di incontri con i circoli (a più d’uno potrei partecipare personalmente).

    Vi è però, anche se sono alla conclusione, una pregiudiziale, che va messa in chiaro per non compromettere il lavoro da svolgere. Nella settimana dal voto fino a oggi, più di uno di voi mi ha chiesto di parlare per illustrare lamentele riguardanti la vita interna del partito e per esigere provvedimenti nei confronti di uno o più dei suoi esponenti. Vi informo soltanto che, se dovessi dare seguito a tutte le pretese di tagliare le teste (tagliare politicamente, s’intende) che sono state avanzate, una buona metà dei presenti in questa sala dovrebbe uscire dalla riunione decollata. E se dovessi dare ascolto a tutte le pretese di intervento su situazioni non tanto di federazioni quanto di singoli circoli non basterebbero 24 ore al giorno; con la certezza di non risolvere nessuna situazione: perché non è con la decisione calata dall’alto che si affrontano i contrasti.

    Non dico che rinuncio a valutare situazioni veramente critiche: lo farò negli incontri con gli esecutivi provinciali prima ricordati, e anche negli incontri con qualche circolo. Ma faccio appello al buon senso e al senso politico di ciascuno di voi. Proviamo a riprendere situazioni nelle quali il partito è veramente ai minimi termini: S. Giovanni Rotondo, 2.5%; Gravina, 5.1%; Ceglie, 6.1%... Queste situazioni, e altre analoghe, possono essere affrontate in due modi: scatenando la guerra di tutti contro tutti, oppure mettendosi con umiltà attorno a un tavolo ed esaminando con oggettività ciascuna singola situazione. Dico subito di non essere disponibile ad assistere a liti sulle persone; si può anche giungere alla decisione di rimuovere il singolo responsabile di circolo, o di collegio, o di federazione, di coordinamento regionale. Ma dopo una valutazione equilibrata, fondata sui fatti, e soprattutto serena. Anche perché – non ho più fiato per dirlo – è ridicolo farsi promotori della federazione del centrodestra partendo da posizioni di divisione della destra.

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