SOTTOSEGRETARIO DI STATO
AL MINISTERO DELL'INTERNO
Dipartimento della Pubblica Sicurezza


Interventi Pubblici

 

 

Intervento del Sottosegretario all'Interno on. Alfredo Mantovano

per il 152° anniversario della costituzione della Polizia.

Lecce, Piazza S. Oronzo - sabato 15 maggio 2004


 

Porto il saluto del Governo che ho l'onore di rappresentare, e mio personale, per il 152° anniversario della costituzione della Polizia. Il saluto va alle autorità, civili, militari e religiose presenti. Va, in modo tutto particolare, alle donne e agli uomini della Polizia di Stato che oggi qui celebrano la loro festa, riuniti attorno alla bandiera italiana e alla bandiera del corpo.

L'ultimo anno ha visto i corpi di polizia, e in particolare la Polizia di Stato, impegnati contestualmente su più fronti difficili. Anzitutto quello del terrorismo di matrice islamica.

Si è detto tante volte che dopo l’11 settembre nulla più è come prima: è vero, ma questa frase non può essere solo uno slogan. Proviamo a coglierne le conseguenze nella vita quotidiana: con riferimento all’impiego delle forze dell’ordine, oggi in Italia vengono controllati circa 13.500 potenziali obiettivi di attentati terroristici, da piazza S. Pietro alle fonti di energia, che impegnano complessivamente 23.000 unità (19.000 delle forze di polizia e 4.000 militari dell’esercito). Se noi potessimo disporre di questi 23.000 uomini, in aggiunta a quelli già occupati, nella lotta all’immigrazione clandestina, o nel contrasto agli scippi o alle rapine, o per la cattura dei latitanti della criminalità organizzata, avremmo numeri ancora migliori di quelli che esistono, e che di per sé sono già positivi.

Ma quella del controllo degli obiettivi è solo una delle voci del nuovo scenario. Di fronte a un nemico che fa esplodere le bombe nelle stazioni ferroviarie, le forze di polizia non si limitano alla sorveglianza dei possibili obiettivi. Possiamo dire con orgoglio che, grazie a loro, l’Italia è “avanti” su più fronti: 1) è “avanti” con indagini serrate, che hanno consentito di identificare numerose cellule terroristiche operanti da noi; 2) è “avanti” nella sua legislazione, perfezionata a partire dal mese di ottobre 2001: una legislazione che, dalla protezione dei “pentiti” di terrorismo alla individuazione delle fonti di finanziamento delle cellule della morte, viene presa come modello in Europa; 3) è “avanti” nella individuazione di soggetti pericolosi per la nostra sicurezza che, se non possono essere processati perché non esistono prove piene a loro carico, possono però – come è avvenuto in concreto - essere allontanati con un provvedimento di espulsione. E’ “avanti” nell’intensa collaborazione che presta sul piano internazionale agli altri Stati: la guerra al terrorismo è guerra di informazioni, da raccogliere, da verificare, da analizzare, da ricomporre in un quadro organico e coerente; è guerra nei confronti delle basi di addestramento e di formazione, che spesso vengono scoperte dentro i confini degli Stati europei; è guerra sul piano propagandistico e massmediatico, con fiancheggiatori insospettabili in Occidente.

E’ una guerra che non si risolve per intero sul piano della sicurezza. Ma non è possibile escludere quel piano; soprattutto, si impongono scelte di priorità anche su quel piano. Se 23.000 uomini vengono impiegati oggi in un certo modo, è perché evidentemente la priorità è la prevenzione del terrorismo. Questo significa che quegli uomini vengono sottratti da altri fronti. Il lavoro che stiamo tentando di fare è di aumentare le risorse a disposizione: abbiamo colmato vuoti di organico che arrivavano nel 2003, fra Polizia e Carabinieri, a 3.000 unità, e abbiamo aumentato gli organici della Polizia di Stato di altre 1000 unità. Ma al tempo stesso proviamo a razionalizzare l’uso delle forze in campo, grazie alle nuove tecnologie e a un’organizzazione sempre più adeguata.

Ma la parte più impegnativa è svolta dalle donne e dagli uomini delle forze di polizia, che stanno consentendo all’Italia di reggere sul fronte della sicurezza; e che stanno permettendo di conseguire, nonostante tutto, risultati importanti nel contrasto al terrorismo interno, alla criminalità organizzata, all’immigrazione clandestina, alla criminalità diffusa, e nel controllo dell’ordine pubblico (a quest’ultimo proposito, non è superfluo ricordare che nel 2003 si sono svolte in Italia circa 14.000 manifestazioni di rilievo per l’ordine pubblico, incluse quelle sportive, che hanno richiesto l’impiego della Polizia di Stato). Noi esprimiamo preoccupazione se c’è qualche scippo in più. Ma è interessante sapere che, con riferimento alle quattro regioni del Sud più interessate dalla criminalità organizzata, nei primi mesi del 2004 Polizia di Stato e Carabinieri hanno chiesto l’emissione di ordinanze di custodia cautelare nei confronti di 9.178 appartenenti ad associazioni criminali (quasi tutti, per la precisione 8787, indagati per 416 bis). Con riferimento alla sola Corte di Appello di Lecce riguardano 679 persone, di cui 668 per 416-bis. E spero non suoni trionfalistico ricordare che l’ultimo omicidio ascrivibile alla criminalità organizzata risale a oltre un anno fa: il che non è consueto per una provincia del Sud. E aggiungere che in questa terra la lotta alla mafia è lotta alle fonti finanziarie del crimine organizzato, come confermano recenti e significative operazioni.

Noi siamo pronti a lanciare l’allarme per una rapina; ed è bene che sia così: vuol dire che la reattività è alta. A condizione che non dimentichiamo che le indagini svolte negli ultimi due anni hanno assestato un colpo pesante alle Brigate rosse, disarticolando gran parte della sua struttura. Quelle indagini hanno conosciuto una svolta grazie all’eroismo del sovrintendente della Polizia di Stato Emanuele Petri, che ha intercettato i brigatisti Lioce e Galesi durante un controllo ordinario su un treno regionale una domenica mattina. Il che significa molto: significa che i controlli si fanno, che si fanno con cura anche negli orari più impensati, e che si fanno con una dedizione che arriva al sacrificio della vita, se è necessario per adempiere al servizio. Significa che esiste un sistema nel quale nessun elemento, neanche il più insignificante, va perduto. Significa che esiste un sistema nel quale nessun elemento, neanche il più insignificante, va perduto. Solo in provincia di Lecce nei primi 4 mesi del 2004 sono state identificate in occasione di controlli 132.543 persone, ne sono state denunciate all’autorità giudiziaria 2410 e ne sono state arrestate 568.

Il Salento è stato teatro di successi significativi anche nella lotta all’immigrazione irregolare. Ancora 3 o 4 anni fa l’immagine che da questo territorio andava a finire sui TG nazionali era quella dello scafista albanese che, dopo aver riversato sulla costa salentina il carico quotidiano di clandestini, fuggiva sotto gli occhi delle forze di polizia tenendo per i piedi un bambino. Queste immagini, grazie all’impegno di tanti, appartengono al passato: dall’agosto 2002 si è interrotto il flusso dei clandestini nel Canale d’Otranto.

Ai controlli si affianca una effettiva vicinanza alle esigenze e ai bisogni della gente, nel quadro di quel programma di polizia di prossimità che ha conosciuto un passaggio significativo nella istituzione del poliziotto e del carabiniere di quartiere: l’esperimento, avviato alla fine del 2002, ha avuto riscontri così positivi da farlo uscire dalla fase sperimentale, da renderlo stabile, e da elaborare un programma di progressivo potenziamento della sua presenza sul territorio, già passato, all’inizio di questa settimana, alla sua seconda fase. Esso giungerà nel 2006 a 5900 unità complessive. Durante la sperimentazione sono stati più di 7 milioni i contatti fra i poliziotti di quartiere e i commercianti, gli imprenditori e la gente comune.

Né va dimenticato, in un elenco che dovrebbe essere lungo e che invece chiudo, l’esito favorevole della patente a punti, che ha portato a un forte abbattimento degli incidenti stradali (quasi il 20%), e dei morti e dei feriti per questa causa (pure per queste voci, poco meno del 20%), grazie anche ai controlli della Polizia stradale, che hanno accompagnato l’introduzione delle nuove misure.

Lo ha detto qualche giorno fa il ministro Martino, e mi permetto di ripeterlo. Chi indossa una divisa non conosce la partita doppia: non ci sono le due distinte colonne, una del dare e l’altra dell’avere. C’è una sola colonna: quella del dare. Tutti sappiamo che è così. E, proprio perché ne siamo consapevoli, ci sentiamo impegnati perché queste non restino parole più o meno belle, ma si traducano in realtà, come sta faticosamente avvenendo.

Concludo. All’interno come all’esterno della nostra Nazione noi vogliamo una pace vera: vera vuol dire con tutti i “se” e con tutti i “ma” necessari. Una pace che non si costruisca sulla paura e sulla resa del più debole. Una pace che non ceda ai ricatti e che respinga con decisione e dignità qualsiasi minaccia, da chiunque provenga. Nessuno può accettare, per sé o per la comunità, di vivere col “coltello alla gola”. Nessuno può accettare di votare o di governare col “coltello alla gola”. C’è un solo modo – difficile, lungo, doloroso – per fermare gli assassini di ogni risma, siano essi terroristi o mafiosi: convincerli che qui da noi il crimine non paga, che non ottiene concessioni, che non consegue risultati politici, ma che anzi rafforza la determinazione di tutti nel combattere il crimine, e in particolare quel crimine che si chiama terrorismo. Le Nazioni forti e gli Stati seri rispondono in questo modo ai criminali.

Che la Provvidenza aiuti l’Italia a essere una nazione forte e uno Stato serio. Che la Provvidenza continui a sostenere la Polizia di Stato nel suo difficile compito.

 

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