ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su il Giornale
(n. 300       Pag.    6 )
Domenica 18 dicembre 2005

Fabrizio De Feo

 

 

 Occidente e Islam: Pera suona la carica «La lotta continua»

«Tutto questo dimostra che la libertà è contagiosa».


 

da Roma

Marcello Pera chiama a raccolta per il convegno «Il dovere dell'identità», alcuni amici: quelli che il presidente della fondazione Magna Carta, Gaetano Quagliarello, definisce «icone della lotta al relativismo culturale». Un pacchetto di mischia composto da un cattolico praticante come Alfredo Mantovano, un'ebrea come Fiamma Nirenstein, un musulmano come Magdi Allam e un laico come Marcello Pera (con Gianni Alemanno seduto in prima fila). Apparentemente un mosaico incomponibile. Ma il richiamo all'identità profonda dell'Europa e dell'Occidente, diventato il vessillo dell'attività politico-intellettuale del presidente del Senato, riesce nel miracolo. E alla fine le diverse culture confluiscono in un bacino di idee e valori che trascende le appartenenze.

«La battaglia in difesa dei valori che costituiscono l'identità dell'Europa non è finita. Noi siamo pronti, anche se dovremo ricoprire il ruolo di una minoranza creativa» annuncia Marcello Pera. Nessuna cedevolezza, insomma. E un appello alle forze politiche «più vicine». «Noi siamo intenzionati a continuare, ce lo chiede sempre più gente a cui vogliamo dare voce chiara. A quelle forze politiche che per cultura, storia e ideali sono più affini chiediamo di essere ascoltati».

Lo spartito della fermezza viene suonato da tutti gli ospiti. Alfredo Mantovano vede l'Europa affetta da una sorta di «sindrome di Monaco». E ricorda come «oggi in Europa ci sia chi pensa di ammansire la bestia con la comprensione, i sorrisi e le concessioni. Non funzionò a Monaco e non funzionerà neppure stavolta».

Fiamma Nirenstein ricorda come il «roccioso» cemento identitario sia stato ciò che ha tenuto in vita Israele. Magdi Allam usa toni durissimi verso la magistratura italiana. Denuncia la crisi di valori dell'Islam. E lancia un monito sull'impossibilità di scendere a patti con il terrorismo. E poi, a riannodare i fili del discorso, sale sul palco il presidente del Senato. «Quando ci chiamano con disprezzo giudei o crociati, noi siamo accusati non di aver fatto ma di essere qualcosa: i rappresentanti della tradizione giudaico-cristiana» spiega. È necessario «difendere questa identità perché la stiamo smarrendo. L'Europa ha così poca fede nella propria identità che crede che essa sia la causa e non il bersaglio degli attacchi che subisce».

Pera, si sposta poi su altri terreni. «Ha ragione Benedetto XVI, la laicità deve essere sana. E lo Stato non deve confinare le religioni professate dai propri cittadini nella loro sfera privata». Non manca un salace riferimento a Romano Prodi. «Tutti ricordiamo la campagna dei laicisti al tempo del referendum. Tutti schierati e non mancò qualche cattolico adulto. Allora chi oggi fa il maratoneta si cimentò nella corsa a ostacoli, ma inciampò». Dalla procreazione assistita alla 194 il passo è breve. «L'aborto resta una soppressione di una vita. La conquista della 194 non consiste nell'aver introdotto un diritto di abortire ma nell'aver posto un limite agli aborti clandestini». L'ultimo passaggio è per la «bella notizia» della grande affluenza alle urne in Irak.

Ma non sono state in grado - né le idee né le intuizioni - di produrre esperienze culturali durature. Per quelle sarebbe stato necessario mostrare un grande rispetto per l'autonomia altrui; più curiosità per l'altro che interesse per la propria vicenda eroica; più disponibilità a «rischiare» sulla crescita di chi ti sta accanto. Ferrara non ha queste doti, ed è il motivo per cui chi invece è interessato a questi percorsi è portato a tenersi a distanza di sicurezza. Così tutto è andato bene, o quasi. Fino a quando, sulla scena, è apparso qualcuno che almeno un po' di quelle doti le ha mostrate con in più l'aggravante di pensarla come lui. Ferrara, a quel punto, ha dato il peggio di sé. Di fronte al fatto storicamente sconvolgente dei due Presidenti delle Camere che hanno avuto il coraggio di assumere, contro l'intero establishment, la stessa sua posizione sui referendum in tema di bioetica, ha dichiarato che averli alleati era «un fattore di debolezza». Ha prestato corda a quanti hanno cercato d'impiccare Pera alla parola «meticcio», pur comprendendo che le implicazioni del discorso rappresentavano un attacco al multiculturalismo che è anche un suo bersaglio polemico. Ha consacrato una pagina del Foglio ad un libello la cui tesi di fondo è che Pera sarebbe un trasformista. Facendo finta di non comprendere né il senso vero dell'evoluzione di un pensiero né tanto meno cosa sia la categoria del trasformismo. Ha pubblicato un'altra pagina nella quale Pera era accusato - sulla base di argomentazioni che nel suo intimo gli avranno fatto ribrezzo - di essere un «rinnegato».

«Tutto questo dimostra che la libertà è contagiosa».


    

 

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