ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su Il Gazzettino
(Sezione:         )
Sabato 22 Novembre 2003

 

In Italia il Viminale: 12mila agenti vigilano su 8.000 obiettivi. Il presidente della Camera, Casini, riconosce che «questa è una guerra diversa da quella tradizionale ma non meno insidiosa»

 

Misure di sicurezza al massimo per il pericolo attentati

Circolare dell’Ucigos a Questure e Prefetture dopo le bombe in Turchia. Secondo il vicepremier Fini non ci sono motivi particolari di allarme


 

Roma

NOSTRA REDAZIONE

Allarme sì, allarmismi e psicosi no. L'Italia nel mirino di Al Qaida, così come tutti i Paesi democratici, si difende dall'incubo del terrorismo, esorcizzandolo a parole, ma nei fatti raddoppiando i controlli e l'attenzione. È di ieri la circolare a tutte le questure e prefetture affinché siano potenziate al massimo le misure di sicurezza. A diramarla è stata la Polizia di prevenzione (Ucigos), dopo gli attentati in Turchia: in una nota di due pagine, gli esperti dell'antiterrorismo invitano alla massima attenzione nel presidio degli obiettivi sensibili e nel lavoro di intelligence. E in giornata al Viminale si è tenuto un vertice sulla sicurezza con il ministro dell'Interno, Giuseppe Pisanu, il capo della Polizia, Gianni De Gennaro, il direttore del Sisde, Mario Mori, il capo di Stato maggiore dell'Arma, Giorgio Piccirillo e il direttore centrale della Polizia di prevenzione, Carlo De Stefano.

E se la «Padania», il quotidiano leghista, afferma che siamo all'allarme Bravo - quindi solo un gradino più sotto dell'allarme rosso - i politici cercano di mitigare le paure e gli incubi di questo Terzo millennio cominciato così male quell'indimenticato 11 settembre 2001. Il vicepremier Fini cerca di tranquillizzare gli italiani affermando che la «situazione è oggettivamente preoccupante, ma non ci sono motivi particolari di allarme». E dunque non bisogna esagerare, creare panico, come è avvenuto, ieri, agli Uffizi di Firenze, dove un gruppetto di uomini dall'aria mediorientale ha creato non poco scompiglio. Interviene a questo proposito Bosi (Udc), sottosegretario alla Difesa: «Possono essere scambiati per terroristi dei semplici turisti. Attenti a non cadere nel gioco dei terroristi, che è appunto quello di terrorizzare». Il sottosegretario all'Interno, Mantovano (An), giura che la situazione è sotto controllo e che persone e luoghi a rischio sono ben sorvegliati. Soprattutto a Roma, a Milano, a Napoli.

Dal ministro dell'Interno, sono giunte le cifre della vigilanza: in Italia le forze di polizia vigilano su 8.069 obiettivi a rischio con 12 mila e 276 agenti. Altri 162 obiettivi sono protetti dai 4 mila soldati dell'operazione Domino. In Iraq, carabinieri ed esercito hanno potenziato pattugliamenti e operazioni di controllo nonché le strategie di intelligence. Insomma siamo quasi in guerra, ma è una guerra strana, diversa, dove un esercito non porta la divisa, ma cinture di tritolo. Ma la guerra c'è e lo dice anche il solitamente prudentissimo presidente della Camera, Pierferdinando Casini: «Il futuro non ci riserva guerre tradizionali ma nuove sfide costituite da guerre diverse, ma non per questo meno insidiose. La sfida del terrorismo, quella che in queste ore sta colpendo nel mondo, è la dimostrazione che dobbiamo abituarci a guerre diverse. Dobbiamo affrontarle e vincerle, non scappare. Questa è una corsa da fondo, non uno sprint».

Se il prefetto di Roma, Serra, ripete che «non c'è alcun segnale di preoccupazione», il nervosismo è palpabile e le dichiarazioni di esperti di intelligence, di politologi e di addetti ai lavori fanno davvero paura. Dicono che i nostri servizi segreti non sono abituati a questo tipo di terrorismo, che gli agenti non parlano l'arabo e capiscono poco o nulla di Islam e di Corano.

 

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