ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
(Sezione:  IN PRIMO PIANO      Pag   3 )
Domenica 30 novembre 2003

Marco Seclì

INTERVISTA/ Il sottosegretario condivide lo strappo

Mantovano è con Fini

«Meglio riconoscere gli errori del passato »


 

LECCE Non lo si può certo definire un nostalgico. Lui, che ad An si è iscritto nel '97, due anni dopo la svolta di Fiuggi, rappresenta l'incarnazione del «nuovo corso» della destra italiana. Il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano, il magistrato leccese prestato alla politica e diventato uno dei più influenti consiglieri di Gianfranco Fini, continua a provare «non solo ammirazione, ma anche profonda emozione per le parole pronunciate dal presidente nella visita in Israele». «Perché - sottolinea - è vero che quei principi erano già stati enunciati a Fiuggi e poi più volte ribaditi, ma un conto è farlo in Italia, un altro in una città simbolo come Gerusalemme, al Museo dell'Olocausto, davanti a chi ha avuto i familiari uccisi in un lager». E, per spiegare compiutamente il senso del «gesto» di Fini, Mantovano richiama un concetto del Papa: quello di «purificazione della memoria». «Giovanni Paolo II lo ha espresso un mese fa in un messaggio. Prima di avviare una riconciliazione con un comunità, ha detto il pontefice, è necessario riconciliarsi col passato. Uno sforzo che comporta anche il riconoscimento dei propri errori. Bene, nella visita di Fini in Israele ritrovo l'applicazione concreta dell'invito del Papa, una "purificazione della memoria" in un'ottica di effettiva pacificazione nazionale e internazionale con la comunità ebraica». Ecco perché Mantovano trova ora «estremamente riduttivo il dibattito su chi entra o chi esce dal partito».

C'è anche quello sull'opportunità della sopravvivenza nel simbolo di An della fiamma, un riferimento alla Repubblica sociale...
«Non esiste alcuna necessità di mettere mano al simbolo: dopo Fiuggi, Verona, Bologna e soprattutto Gerusalemme è stata chiarita in modo definitivo non solo l'identità di An, ma anche il suo rapportarsi con il passato, compresa l'esperienza storica da cui nel 46' prese le mosse il Movimento sociale italiano. Del resto, cambiare il simbolo è un po' come cambiare cognome: comporta una procedura complessa che nessuno ha in animo di intraprendere».

A proposito di cognomi, sul tavolo c'è pure il problema di Alessandra Mussolini.
«Ripeto: non è questo l'oggetto del dibattito. Sono orgoglioso di far parte di una forza politica in cui il confronto sui valori e sui principi oggi è forte e vivace come in nessun altro partito. Si spiegano così i toni accesi di questi giorni. Ma la classe dirigente di An non può fermarsi alla superficie, deve farsi carico della responsabilità di capire e far capire quello che sta succedendo».

Le parole di Fini in Israele però alimentano il rischio di scissione.
«Bisogna fare tutti un passo indietro e rileggere con attenzione ciò che Fini ha detto in Israele e appena rientrato in Italia. Si ritroveranno non solo le ragioni per cancellare qualsiasi ipotesi di scissione ma anche quelle per un rilancio del partito, sulla base di una slancio qualitativo. Sfido chiunque a trovare nelle frasi del presidente una sola parola di condanna verso la scelta di militare nella Repubblica sociale compiuta da tanti giovanissimi che andarono a Salò con la convinzione di difendere l'onore della patria tradita. Altro che oltraggio ai morti, Fini ha condannato le ideologie perverse del Novecento che hanno provocato quei morti e tanti altri».

In Israele lo «sdoganamento» definitivo di An?
«Né sdoganamento né passaggio di convenienza. Sono sinceramente amico del presidente, e interpretare così la sua visita in Israele è qualcosa per cui mi sono sentito ferito io per lui. Fini è da anni un leader riconosciuto e apprezzato in tutto il mondo, che bisogno avrebbe avuto di cercare consensi in quel modo? Certe cose non si fanno per calcolo, sono frutto di una riflessione sofferta. Il gesto di Fini va ben al di là delle polemiche che l'hanno seguito».

A dicembre si riunirà il «parlamentino» del partito. Sarà la resa dei conti?
«L'assemblea sarà un'occasione di confronto nazionale. Ma io, più che alle discussioni di vertice, sono molto più interessato a che la base si guardi in faccia. La nostra gente ha bisogno di affrontare e approfondire i temi sollevati dalla visita in Israele. Perciò conto di più sulle assemblee nei circoli, il luogo in cui con estrema franchezza, ma con molta responsabilità, le problematiche al centro del dibattito possono essere riprese e comprese, che è poi la cosa più importante».

 

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