ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato sulla GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO Martedì 23 ottobre 2001

ALFREDO MANTOVANO

«Dopo i paragolpisti ora i magistrati efficienti»


Dopo la sentenza della Cassazione di assoluzione del Presidente del Consiglio dalle vicende di corruzione della Guardia di Finanza, la ripresa delle polemiche serve a poco se la si orienta esclusivamente sul passato, riducendola a rivendicazioni o a ricriminazioni. Quella decisione può diventare utile occasione di riflessione se ci si chiede in che termini il rapporto fra giurisdizione e politica può essere nuovamente impostato, con riferimento al pianeta giustizia, per l'immediato futuro.

Oggi pochi dubitano che nel novembre 1994 l'avvio del procedimento penale a carico dell'on. Berlusconi, e le modalità clamorose di quell'avvio, alla conferenza Onu di Napoli, abbia rappresentato il simbolo più evidente di una strategia messa in opera da una parte della magistratura, minoritaria man non per questo irrilevante, tesa al controllo per via giudiziaria non già dei comprtamenti illeciti di singoli personaggi poliici (cosa assolutamente ovvia), bensì della politica nel suo insieme.

Quella strategia è fallita anzitutto sul piano politico: gli italiani hanno colto la linea di confine fra l'esercizio dell'azione penale nei confronti del politico ladro e l'accanimento giudiziario contro il capo di uno schieramento sgradito. E hanno votato prescindendo dalle pendenze penali del leader del centrodestra. Non solo: una parte consistente della magistratura ha mostrato di non condividere (o di non condividere più) la strumentalizzazione del processo per fini extraprocessuali, e, attraverso i suoi rappresentanti associativi, ha avviato tavoli di confronto, culturali prima ancora che politici, sui temi del settore con gli esponenti del centro destra più impegnati su questo versante.

La sentenza della Cassazione sancisce il fallimento di quella strategia anche sul terreno strettamente giudiziario, e chiude definitivamente una pagina ingloriosa. Il che ha effetto positivo, se pure ancora potenziale, di mettere alle spalle le polemiche e di concentrarsi sui problemi reali della giustizia. Ha l'effetto, in altri termini, non già di non far celebrare i processi a singoli politici effettivamente corroti, bensì di non usare più la giustizia per scopo paragolpistici. E con questo di porre al centro della riflessione il tema essenziale del sistema giiudiziario: quello dell'efficienza.

Alla persona normale, che dai tribunali vorrebbe stare lontano il più possibile, interessa oggi più che nel passato, non la disputa sul colore della toga di questo o di quel giudice, ma che il ladro che gli ha svaligiato la casa sia individuato, processato e possibilmente condannato in tempi accetabili; o che il credito che vanta nei confronti di un cliente, e per il quale è in causa con quest'ultimo, sia soddisfatto entro la fine della propria generazione.

L'impressione dal di fuori è che il mondo della giustizia assuma sempre più i caratteri di una realtà virtuale. È capitato di recente che un Gip di una città pugliese abbia atteso a lungo prima di firmare un'ordinanza di custodia cautelare a carico di presunti pericolosi mafiosi e che, una volta depositata l'ordinanza, quest'ultima sia stata annullata dal tribunale della libertà per 15 posiszioni su 30 non per una diversa valutazione degli indizi, ma perchè assolutamente immotivata. Ciò che sorprende nella vicenda è l'indifferenza mostrata pubblicamente dallo stesso Gip per gli effetti del ritardo del suo provvedimento (qualche omicidio maturato nel tempo e che è servito per firmare l'ordinanza a danno di soggetti dei quali era stata chiesta la cattura) e per il possibile ripetersi di analoghi episodi criminosi. Sorprende ancora di più la difesa di corpo organizzata nella circostanza dai suoi colleghi.

Ancora: capita ordinariamente che un giudizio civile sia rinviato di uno, o anche di due anni, e capita altrettanto ordinariamente che chi dispone il rinvio si trinceri dietro la gran mole di lavoro. Ma è mai messa a tema di un incontro dell'Anm l'efficacia di una sentenza dieci anni dopo il fatto che l'ha originata, e che il contributo può dare il singolo giudice per evitare tempi così biblici?

Evidentemente non è solo questione di ritmi di lavoro: sarebbe ingeneroso sostenerlo, soprattutto nei confronti di quei non pochi giudici che trascorrono la vita a tenere udienze e a scrivere sentenze. È questione di ammodernamento di mezzi e strutture, e di snellimento di procedure e di adempimenti formali, oltre il limitie del formalismo. Ma non è azzardato sostenere che è anche questione di quantità e di qualità del lavoro. È questione - che non vale né per tutti né per i più - di abbandonare le postazioni virtuali: la sfida dell'efficienza va affrontata insieme, ciascuna per la propria parte, dalla magistratura e dalla politica, perché o la si vince insieme, ciascuna per la propria parte, dalla magistratura e dalla politica, o la si perde rovinosamemnte ex æquo. L'aver archiviato definitivamente sfide di altro tipo giova a dedicarvisi una volte per tutte, senza scuse o distrazioni.

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