ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
(Sezione: BARI CITTA'    Pag.   25  )
Sabato 19 Luglio 2003

Carmela Formicola

 

 

Lotta alla mafia: «Basta alibi»

Il sottosegretario Mantovano verifica la rete della sicurezza


Scosse telluriche tra i clan baresi, sparatorie in mezzo alla gente, famiglie mafiose in guerra per il riassetto degli equilibri, boss e luogotenenti che, pericolosamente, tornano in libertà. Ma la macchina del contrasto al crimine organizzato sta funzionando? O qualcuna delle sue parti sta perdendo colpi?

Per carità: niente benzina sul fuoco. Lo dice ai giornalisti Alfredo Mantovano, al termine della riunione del comitato per l'ordine pubblico tenuta ieri mattina: «L'ultima cosa di cui c'è bisogno sono le polemiche tra le istituzioni dello Stato». Tra l'altro chi conosce il sottosegretario all'Interno, sa che bisognerebbe mettersi davvero di impegno per trascinarlo nell'arena dei conflitti. Ma un problema esiste, seppur silente. La ripresa, eclatante, delle ostilità all'interno dei clan cittadini non è un fatto imprevisto oppure occasionale. Una spiegazione deve esserci. E d'altronde le scarcerazioni eccellenti degli ultimi giorni non possono non accrescere la preoccupazione.

Il sottosegretario, ieri mattina, in Prefettura ha presieduto la riunione del comitato per l'ordine pubblico. Nel Palazzo del Governo, accolto dal prefetto Tommaso Blonda, è arrivato perfino in anticipo ed è poi rimasto per oltre un'ora con i vertici di magistratura e forze dell'ordine. Intorno al tavolo, tra gli altri, anche i comandanti generali di carabinieri e Guardia di Finanza, i generali Michele Franzè e Francesco Cerreta, il questore Giuseppe Zannini Quirini, il capo della squadra mobile Luigi Liguori, il presidente della Corte d'Appello Giacinto De Marco, il procuratore della Repubblica Emilio Marzano.

Toni pacati, ma i motivi di tensione sono più d'uno. La rete della sicurezza ha forse smagliature? «Il lavoro di prevenzione della criminalità è sinergico e ciascuno deve recitarvi la sua parte - dice Mantovano - le forze di polizia lo stanno facendo oltre ogni limite. Non voglio intromettermi nelle decisioni di altre istituzioni dello Stato, per le quali peraltro esistono rimedi per verificare se siano state prese tutte le misure, tenendo conto delle normative in vigore».

Ma a chi si riferisce il sottosegretario? «Dico queste cose senza polemiche, senza voler entrare nel merito delle questioni, si tratta solo di capire se tutto è stato fatto, gli strumenti per combattere la criminalità organizzata ci sono». Alfredo Mantovano non mette in relazione le sue dichiarazioni con le recenti scarcerazioni eccellenti, ma alla domanda diretta sul ritorno in libertà degli uomini dei clan risponde: «Non si può non prendere atto che si tratta di una decisione esclusivamente demandata all'autorità giudiziaria, però oggettivamente aggiunge sconcerto, perché non è una decisione di proscioglimento o di assoluzione ma è una decisione di scarcerazione di personaggi che sono sotto processo per gravi fatti di sangue».

Le porte del carcere, per alcuni grossi personaggi della mala cittadina (non ultimo Giuseppe Cardinale ucciso ieri pomeriggio), si sono spalancate per la scadenza dei termini di custodia cautelare. I problemi della magistratura barese (e non solo barese) sono d'altronde tristemente noti: organici sottodimensionati, disagi logistici, fondi tagliati di anno in anno, perfino la stenotipia nei processi di mafia è saltata per la riduzione dei finanziamenti.

Mantovano annuisce quando gli si ricorda la situazione di malessere vissuta nei Tribunali e nelle Procure. Annuisce e segue alla perfezione il ragionamento. Poi commenta: «Sono entrato in magistratura venti anni fa e già sentivo parlare di questi problemi; ho fatto il giudice per 13 anni, talvolta ho acquistato a spese mie carta e penne o altro materiale e non ho mai depositato in ritardo un atto, come la maggior parte dei giudici in Italia».

Polemiche? No.

«Oggettivamente vi sono state e vi saranno carenze di strutture, organizzazione e mezzi ma va verificato quando queste carenze costituiscono un alibi. Bisogna verificare in concreto come stiano le cose, quando ci sono norme di legge che consentono per esempio di sospendere la decorrenza dei termini di custodia cautelare in pendenza di dibattimento, in modo da evitare che presunti mafiosi, o personaggi ritenuti tali, vengano messi in libertà».

Non c'è da stare tranquilli. Nonostante Mantovano abbia evitato con saggezza le contrapposizioni, i riflettori si sono inevitabilmente accesi su alcune sbavature nella lotta al crimine organizzato. E d'altra parte non è soltanto la mafia armata che insanguina la città a creare inquietudine nelle istituzioni, è anche quel livello invisibile che sa infiltrarsi senza clamori nei gangli sani della società. Ecco perché lo stesso sottosegretario accende un campanello d'allarme: «Ciò che è più serio è preoccuparsi di ciò che è necessario fare per prevenire, in vista di grossi finanziamenti e di realizzazione di grosse opere, l'intromissione, al momento assolutamente ipotetica, della criminalità ed in quella organizzata in particolare».


    

 

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