ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su IL FOGLIO
(Sezione:ANNO X NUMERO 160 - PAG 3 - IL FOGLIO QUOTIDIANO)
VENERDI' 8 LUGLIO 2005 -

 

“Non è il momento delle fughe” (Cicchitto). “L’agenda non cambia, neanche quella di exit strategy” (Alemanno)

 

 Per il centrodestra il nostro impegno in Iraq è indiscutibile


 

Roma. Nelle dichiarazioni rilasciate a poche ore dalla strage di Londra, Silvio Berlusconi non ha toccato la questione della nostra presenza militare a Nassiriyah. In assenza di una voce ufficiale al riguardo proveniente dalla presidenza del Consiglio, il ministro della Difesa Antonio Martino ha preferito non esprimersi sull’argomento. Che da ieri è però tornato ad affollare il centro dei pensieri del Palazzo. E sia esponenti del governo sia parlamentari della Cdl hanno sostenuto a vario grado che il nostro impegno militare non era e non è in discussione. Anzi, la carneficina londinese spinge semmai a vedere nella durata della missione italiana un segnale di compattezza per l’occidente. Ne è convinto il ministro dei Rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi (Udc): “Guai a pensare soltanto di abbandonare l’Iraq, siamo in guerra e questa guerra è iniziata l’11 settembre 2001. Siamo occidentale, c’è una guerra in corso, di fronte alla quale bisogna ribadire il nostro fermo impegno in Iraq, escludendo qualsiasi ipotesi di rientro”, sostiene Maurizio Gasparri, dirigente di An ed ex minsitro delle Comunicazioni. Così anche Frabrizio Cicchitto, vicecoordinatore di Forza Italia: “Non cambia nulla, andremo via dall’Iraq quando e se il governo iracheno ci dirà che non è più necessario rimanere. Guai se il terrorismo diventa arbitro delle nostre scelte, l’esempio di Zapatero non si deve ripetere”.

Molto polemico con la “tendenza Zapatero” è Fiorello Provera, presidente della commissione Esteri del Senato e responsabile Esteri della Lega Nord: “Intanto in momenti come questo ci si stringe agli amici inglesi e occidentali tutti. Dopodiché chi ha i coglioni li tiri fuori e siccome né l’Inghilterra né noi siamo come la Spagna, le fughe le lasciamo a Zapatero: l’impegno militare procome gli inglesi che resistettero all’aggressione nazista degli anni 1939-40. Cedere adesso significa arrendersi alla barbarie”. Il sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano (An), aggiunge: “Già il fatto di tornare a parlare dell’impegno italiano in Iraq è un cattivo segnale. Certo, il presupposto è che nella guerra al terrorismo non possono esistere né limiti territoriali né temporali. A un attacco globale si risponde in modo globale.

Ma detto questo – continua Mantovano – mi sembra perfino un’ovvietà ricordare che in questo momento in Iraq c’è il concentrato più alto di terroristi. Una ragione sufficiente per non prendere neanche in esame l’ipotesi del ritiro. Perché se quel fronte, il fronte iracheno, rimanesse scoperto, oltreché in Iraq il dispiegamento del fenomeno terroristico dilagherebbe in tutti gli altri paesi arabi e anche in quelli moderati”. “E’ in corso un attacco militare alla civiltseguirà. L’unica ragione che può legittimare un nostro disimpegno rimane l’avvenuta democratizzazione dell’Iraq, in presenza di precise garanzie di sicurezza e vivibilità”. “La nostra presenza in Iraq non si discute se non nelle sedi internazionali (Onu e Ue) e in base ai rapporti tra il nostro governo e quello di Baghdad. I militari italiani sono a Nassiriyah con un compito ancora non ultimato.

E lì devono restare, a maggior ragione dopo quel che è avvenuto a Londra”, dice Luca Volontè, capogruppo udc a Montecitorio. Il ministro dell’Agricoltura, Gianni Alemanno (An), ragiona invece così: “Non possiamo consentire che il terrorismo modifichi i termini del nostro impegno in Iraq. Ma questo vale anche quando è in agenda un’exit strategy. E l’agenda italiana deve avere corso a prescindere dagli attentati di Londra, così come era già avvenuto rispetto alla strage di Madrid dell’11 marzo 2004”.



 

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