ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su IL FOGLIO
(Sezione:  IL FOGLIO QUOTIDIANO  PAG   4   )
SABATO 5 LUGLIO 2003

 

 

Nella giornata del rincrescimento Mantovano (An) spiega le radici degli insulti di Schulz al Cav.


 

Al direttore - “Sono (…) contento che lei sieda qui oggi, perché così possiamo discutere con lei: questo lo dobbiamo anche a Nicole Fontaine, perché se non avesse fatto in modo di fermare così a lungo le procedure di im-munità contro Berlusconi e Dell’Utri, il suo assistente, lei non sarebbe qui oggi perché non avrebbe più l’immunità di cui ha bisogno’’. “[Bossi] è membro del suo governo, e qualsiasi dichiarazione questo signore faccia è peggiore di qualunque cosa che abbia spinto questo Parlamento ad adottare risoluzioni contro l’Austria e contro la partecipazione del Fpoe [il partito di Jorg Haider] al governo austriaco’’.

Non è male rileggere il passaggio centrale dell’intervento col quale, nella sede del Parlamento europeo, il deputato Martin Schulz ha augurato buon lavoro al presidente di turno dell’Unione europea. Non è male per non correre il rischio di soffermarsi esclusivamente sulla reazione che quelle dichiarazioni hanno provocato da parte del destinatario; ma anche perché esse meritano qualcosa di più della mera rilettura. Il livore del capodelegazione della Spd tedesca si appunta sulla persona di Berlusconi non per il suo presunto conflitto di interessi e neanche per il cosiddetto lodo Maccanico: Herr Schulz gode di immunità, in virtù della sua carica, certamente più ampie delle cautele che il lodo Maccanico ha previsto in Italia per le prime cinque cariche dello Stato.

La ragione delle teutoniche gentilezze rivolte al Cavaliere è elementare: egli è gravemente colpevole di guidare un governo di centrodestra e di essere vicino agli Usa di Bush. Fumo negli occhi per i resti dell’Ulivo mondiale. Ergo: polemizzare necesse est. E bisogna polemizzare in modo più efficace e meno rozzo rispetto al passato. Nel 1994 in Europa alcuni uomini di governo di sinistra rifiutarono ostentatamente di stringere la mano ai loro colleghi eletti dal popolo italiano. Oggi è difficile assumere certi atteggiamenti: il presidente Berlusconi è partner autorevole del Ppe; il vicepresidente del Consiglio Fini è partner autorevole dell’Uen, ha assunto una posizione di prestigio riconosciuta da tutti sulla scena europea, e sta contribuendo alla delicata partita politica che definirà i futuri assetti istituzionali del Continente: nessuno sarebbe credibile se lo criticasse.

Dunque, poiché siamo solo all’inizio, conviene fermarsi e delineare lo scenario. Anche se per qualcuno sarà solo “caso”, mi sia permesso il richiamo alla Provvidenza: che dispone gli eventi e le persone che ne sono protagoniste per congiunzioni e consonanze, in un modo tale che è veramente arduo immaginare occasionale. Vado per cenni: attualmente alla guida della nazione più forte del globo vi è un uomo di destra, non esattamente come la intendiamo in Italia, ma certamente lontanissimo dalle suggestioni liberal del suo predecessore: un uomo che non si vergogna di dichiarare in pubblico di trarre la propria forza dalla preghiera, che fonda la sua azione politica sul rispetto del diritto naturale, e che non si limita alle enunciazioni teoriche, come confermano le sue decisioni in materia di bioetica. Attualmente alla guida della nazione nel cui territorio è nata la civiltà di Roma e risiede da duemila anni il successore di Pietro, vi è un imprenditore che ha costruito la propria fortuna sul lavoro e che non si è mai vergognato di dichiararsi fieramente anticomunista, senza complessi di inferiorità. Del governo italiano è seconda componente un partito – Alleanza nazionale – che scandisce a chiare lettere la propria matrice politica e culturale di destra. Dal 1° luglio 2003 Silvio Berlusconi è anche presidente di turno dell’Ue. E’ irriguardoso aggiungere un ulteriore tassello, qualitativamente rilevante? Il 14 novembre 2002 un Uomo anziano e curvo è entrato a Montecitorio e lì ha parlato “ben consapevole del forte si gnificato della presenza del Successore di Pietro nel Parlamento italiano”, per la prima volta nella storia. Quel giorno il Pontefice, con voce rotta dalla fatica, confermando un magistero iniziato 25 anni prima, ha tracciato il percorso ideale e operativo per la rinascita, spirituale, morale e materiale della nostra nazione e, attraverso di essa, per l’intera Europa. Non è una congiunzione astrale: è un insieme di circostanze che non è esagerato definire storiche.

Attualmente l’Amministrazione Usa e il governo italiano, in unione – fra gli altri – con quello spagnolo, rappresentano politicamente quella che è stata definita la Magna Europa, cioè l’insieme costituito dall’Europa vera e propria, terreno nel quale affondano le comuni radici culturali del Vecchio e del Nuovo continente, e dall’America, forgiata dall’uomo europeo e cristiano. La visione del mondo racchiusa da queste coordinate religiose (certo, anche religiose! non è nominalistico il dibattito sulle radici cristiane dell’Europa nel testo della Convenzione), culturali e politiche è il compendio di ciò che la sinistra odia in maniera viscerale. Oggi probabilmente c’è più Europa nel New Jersey che ad Amsterdam (con tutto il rispetto per l’Olanda), se è vero, come ha insegnato Russel Kirk, che Washington è la sintesi, il retaggio e l’adeguamento, con tutte le tare dovute ai tempi, di quattro grandi città, e delle civiltà che da quelle capitali sono simboleggiate: Gerusalemme, Atene, Roma e Londra.

Da pochi giorni il capo del governo italiano di centrodestra è diventato presidente della Ue. Questo significa, non solo simbolicamente, che la guida del Vecchio e del Nuovo continente è omogenea, ed è di destra: ci si meraviglia se ciò scatena polemiche? Se fossimo lodati dalla sinistra, dovremmo chiederci in che cosa sbagliamo. Se gli elettori, non costretti da nessuno, due anni fa hanno dato un mandato ampio a un governo di destra e non di sinistra, è perché, come dichiarerebbe monsieur de la Palisse, faccia una politica di destra. Quella destra, che, in Italia, come in Europa, come negli Usa, affonda le radici nella sapienza dei greci, nella civiltà giuridica romana, nella cristianità romanogermanica, nelle migliori intuizioni dell’umanesimo europeo. Mentre la sinistra o si ferma alle glorie castriste o, se proprio si impegna nel cercare qualche avo significativo, può risalire al massimo ai riti della dea Ragione, che, con i fasti della ghigliottina, ac-compagnarono la Rivoluzione del 1789.

Per essere più chiaro: le critiche sono state poche, che ne vengano pure altre, che si infittiscano… Quando la sinistra contesta – aggrovigliandosi nei suoi verbalismi – è perché la destra fa il proprio dovere. E se anche non valessero le considerazioni svolte fin qui (ma valgono: mettiamoci nei panni di un sinistro, che nel giro di pochi mesi passa dal sogno fiorentino dell’Ulivo mondiale allo scenario attuale), non trascuriamo l’ultimo anello di una catena pesantemente ideologica, che non poteva far trattare con i guanti Silvio Berlusconi: l’appoggio fornito con convinzione alla missione in Iraq. O crediamo veramente che sul cortese indirizzo di benvenuto di Herr Schulz il conflitto di interessi abbia pesato più dell’affrancamento italiano dall’asse francotedesco?

Affrontiamo l’avventura del semestre europeo come uno sforzo per una serena affermazione dell’identità del continente e della nazione alla quale apparteniamo, e che amiamo profondamente: e se la sinistra, che si aggrappa ancora a qualche residua posizione nel Vecchio Continente, annuncia sei mesi di polemiche, sappia che saranno gradite, che la loro assenza ci preoccuperebbe, che la loro prosecuzione ci confermerà che la strada intrapresa è quella buona.

 

Alfredo Mantovano, sottosegretario all’Interno

 

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