ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su IL FOGLIO
(Sezione:ANNO X NUMERO 149 PAG I e II - IL FOGLIO QUOTIDIANO)
SABATO 25 GIUGNO 2005

(ag)

An traballante

 

 Tra Fini e Alemanno c’è il duro Storace a far da paciere (incomodo)

“Gianfranco scenda subito dalla torre e ci ascolti. Gianni deve capire che fare l’opposizione è un delitto”

Il brivido blu della scissione


 

Roma. Né con Gianfranco Fini né con Gianni Alemanno. Al limite con entrambi, però solo se si rassegnano a tenere unita An e in nome di “valori nazionali e cattolici ma non confessionali”. A una settimana dall’assemblea nazionale che dovrebbe decidere sul futuro del partito, Francesco Storace si schiera. Alla Storace. Interpellato dal Foglio mentre è a Parigi per un fine settimana di vacanza famigliare, il neoministro della Salute e leader insieme con Alemanno della componente sociale di An esordisce replicando a chi l’accusa d’essere diventato un paciere per gratitudine verso Fini che gli ha concesso il ministero fino ad aprile guidato da Sirchia. “Sgomberiamo il campo dalle fantasie. E’ stato Fini a ordinarmi di fare il ministro, io non mi sono messo a brigare per quel posto. Certo, a livello personale non dimentico l’unico atto di fiducia che sia stato indirizzato a un governatore sconfitto alle regionali. Ma nessuno mi venga a dire che la mia posizione sia il risultato di un do ut des”.

E infatti, di fronte allo scontro annunciato dentro An, e al silenzio con cui Fini si prepara all’evento, aggiunge subito: “Adesso intelligenza vuole che i gesti li compia Fini. Non è pensabile che dia l’impressione di assistere da lontano a uno spettacolo che non fa bene a nessuno. Esca dalla torre d’avorio”. Lo spettacolo di cui parla Storace si articola più o meno così: Fini silente, assediato da un partito diviso in tre correnti litigosissime che si sono ricompattate appena appena per isolare la svolta laicista e referendaria del presidente. Salvo poi ricominciare a discutere sul da farsi. Con Altero Matteoli e Adolfo Urso (Nuova alleanza) a protezione di Fini; Alemanno che sfida il leader e si candida a fare il segretario o il capo dell’opposizione; Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri (Destra protagonista) a vario grado insofferenti verso Fini ma non al punto di sfiduciarlo. “Il pallino non si può pretendere che lo abbia uno qualsiasi fra noi per il semplice motivo che ce l’ha Fini da vent’anni a sta parte”. Forse dovrebbe riunire subito voi capicorrente. “E spiegare dove vuole portare l’assemblea di An. Ma mi sembra che stia giocando un altro ruolo. Nei giorni scorsi, quando ancora era possibile stare sul suo stesso gradino, gli ho detto: Gianfranco, che interesse hai ad avere un partito che va avanti a colpi di maggioranza? Così chiunque stia in minoranza finirà per tirare calci fortissimi”. Così arriviamo alla strategia di Alemanno.

Il bisogno di un “approdo unitario”
Ieri il ministro dell’Agricoltura ha detto ancora una volta che, in mancanza di un cambiamento profondo da parte di Fini, lui andrà avanti perché è meglio avere un partito con una maggioranza e un’opposizione. Ed è l’esatto contrario di ciò che pensa Storace: “Io ho detto ad Alemanno una cosa molto precisa: Gianni, l’opposizione interna – anche se io preferisco l’espressione minoranza, ché opposizione presuppone l’esistenza di una guerra – non la si può scegliere. E’ una condizione in cui ci si può trovare perché qualcuno decide, appunto, di cacciarti all’opposizione. Ma andare all’opposizione per scelta deve comportare come conseguenza che poi restituisci gli incarichi di governo. Non è che puoi sputare nel piatto. Questo deve essere chiaro”. Lui cosa ha riposto? Come si è giustificato? “Le riporto soltanto ciò che ho detto io”. In aggiunta c’è una mezza scomunica con annesso imperativo categorico: “Sia chiaro che giudico irresponsabili le dichiarazioni di chi, in tutte le componenti, dice: ‘alla fine faremo una maggioranza e una minoranza’. Roba da pazzi. E comunque il dissenso non può appartenere a una corrente organizzata, sarebbe un delitto contro il partito. Eccola la verità forte. Insomma a costo di farla durare cinque giorni, l’assemblea nazionale deve concludersi con un approdo unitario”. E se An finisse per scindersi? “Nooo. Certo stiamo parlando di un’ipotesi che non è mai programmabile, c’è sempre il rischio che capiti, ma quando leggo questa parola sui giornali mi vengono i brividi”. Perché An ritrovi l’unità vagheggiata da Storace, molto dipende dal dialogo in corso tra le due correnti con militanti al seguito, la Destra protagonista di Gasparri e La Russa, maggioritaria, e la Destra sociale, con meno consensi “ma più contenuti”, interrompe il ministro. “Dico subito che è sbagliata l’idea d’un patto di potere tra correnti. E poi contro Fini, ma di che stiamo parlando?”. Niente documento comune, però. “Dipende tutto da una scala, se Fini scende i gradini e decide di parlare fuori dalla torre d’avorio, allora si può fare. Altrimenti la vedo brutta”.

Manca un accordo sulla candidatura di Alemanno a segretario di An e sul metodo per farla accettare da Fini. “Rivendico la proposta d’istituire la figura del segretario ma, come ho detto dal primo momento, non può essere qualcosa che prescinde da Fini. Voglio un partito in cui unitariamente si riconosca la sua leadership”. Se il partito pretende un segretario ma non accetta una personalità indicata da Fini, dovrà scegliersela dal basso. “Ma non sarà un contraltare al presidente. Faccio un esempio: Domenico Fisichella è eletto presidente dell’assemblea nazionale su proposta di Fini. Ecco, il metodo può valere anche per la segreteria”. Come a dire: mettiamoci d’accordo prima, e Fini darà la sua indicazione dopo aver capito l’aria che tira. “Esatto. Detto questo, le tre correnti le ha volute e sancite Fini al congresso di Bologna nel 2002. Adesso è lui che ha le carte da distribuire per giocare, ma per evitare che si parli solo di carte, abbiamo necessità di risposte chiare sui contenuti politici”. E su questo Storace è d’accordo con l’amico Alemanno. “Pienamente sulla linea di Gianni, sulla necessità di ripartire dall’identità nazionale e cattolica di un partito che non vuole essere confessionale ma si riconosce in principi universali. Bisogna domandarsi se c’è un discrimine tra chi concepisce la famiglia in una maniera e chi la intende nel suo esatto contrario. E se chiedersi questo non significa essere semplicemente cattolici ma anche credere in un modello di società”.

Su queste basi, il documento di Alfredo Mantovano dovrebbe trovare un consenso culturale al di là dei confini della Destra sociale. Non sarebbe una mozione di sfiducia contro Fini, ma lui dovrà prenderne atto. “In politica il senso delle parole si misura dalla qualità di chi le sostiene. Lei ce lo vede Altero Matteoli alfiere dei valori di An? Io no. Però per carità, nella vita si può fare di tutto”. Se ogni carica venisse azzerata, raccontano che a Storace non dispiacerebbe prendere in mano l’organizzazione del partito. “Guardi, lei sta parlando con l’unico esponente di An che tutti, nessuno escluso, ritengono in grado di fare bene questo mestiere. Ma sta parlando pure con l’unico a cui tutti impediranno di fare questo mestiere”, ride il ministro. E se invece tutto restasse così com’è? “In questo caso invece del toto-An faremmo il Totò-An”. E’ verosimile che Fini provi a prendere tempo congelando ogni questione fino all’autunno? “Questo no. E che siamo, embrioni?”.



 

vedi i precedenti interventi