ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su IL FOGLIO
(Sezione:ANNO X NUMERO 141 PAG I - IL FOGLIO QUOTIDIANO)
GIOVEDÌ 16 GIUGNO 2005

 

Alla scuola di Amato

 

 Fini in fondo già pensa di essere una riserva della Repubblica

Il ruolo internazionale con la Farnesina, la firma sotto la Costituzione europea e il crescente disinteresse per il partito

La profezia di Tatarella


 

Roma. Gianfranco Fini rimarrà al suo posto (“Nessuno ha chiesto le mie dimissioni”, ha detto ieri sera), inamobivibile e solitario ma ancora troppo abbronzato per trasformarsi del tutto nel suo sogno più ardito, quello per cui ha speso gli abiti migliori e gli strappi più forti. Per diventare riserva della Repubblica serve molto altro, stare al telefono con Giuliano Amato e aspirare a lui non basta, però di certo aiuta. E forse qualche lampada in meno il prossimo inverno lo avvicinerà un altro poco all’amico Giscard d’Estaing, e gli staccherà di dosso un altro pezzetto di fango di quelli che chirurgicamente si sta levando da anni, un passo alla volta per stare dentro al salotto buono europeo, niente più tinelli da generone romano e giubbotti di pelle, e le fotografie di Daniela in minigonna che balla in crociera, anche se fanno simpatia è meglio di no, poi c’è chi si accanisce. L’aveva detto Pinuccio Tatarella, e Fini non se l’è mai scordato: “Che cosa c’è oltre il Polo?” gli chiesero. “Oltre il Polo c’è Giuliano Amato”, Tatarella rispose. Se oltre il Polo c’è Giuliano Amato, allora Fini sarà il Giuliano Amato della destra, ma senza cattedra e senza il rango. Un principe senza mantello con la Farnesina in una mano e la Costituzione europea nell’altra. Dice di voler “rifondare il partito”, la sua organizzazione, ripensare, vuole “passare per un’altra Fiuggi”, ma tutti sanno e lamentano che Fini è assente, annoiato, senza interesse. Fini guarda altrove. Come in quella foto elegante con il vento nei capelli a Siracusa, insieme a Stefania Prestigiacomo, prima di buttarsi in mare con la muta da sub.

E’ uscito per sempre dalla tutela del partito, del resto preferisce di gran lunga stringere la mano a Condoleezza Rice e alla regina d’Inghilterra, andare a dire “buonasera” nella City a Londra. Ha cambiato anche montatura agli occhiali per questo, e scelto le cravatte migliori. Ha strappato in un secondo sui grandi temi, sulle battaglie culturali, e non come il leader che insieme a una parte dei suoi afferma una posizione coraggiosa, piuttosto come un altro lavacro, un altro colpo mediatico affidato magari a un’intervista alla Repubblica: la fecondazione assistita (vittoria o sconfitta del referendum non importava affatto) gli è servita per attestarsi un’altra volta sulle posizioni più chic, meglio presentabili, quelle che l’hanno messo in totale conflitto con suo mondo (quelle per cui un dirigente del partito afferma “ha negato domicilio politico agli elettori veri, ha fatto quel che Almirante non avrebbe fatto mai”, lui che pur divorziato si attenne alle decisioni della maggioranza e dichiarò di votare contro il divorzio), quelle però per cui il centrosinistra può guardarlo finalmente senza il ribrezzo che in genere riserva ai suoi.


Radici cristiane non più irrinunciabili

Un passo dopo l’altro, da Fiuggi a Gerusalemme, dopo aver passeggiato ad Auschwitz. Alla ricerca di coccinelle ed elefantini per infighettirsi e dire: guardate, non sono più quello di prima. Alle Europee del ’99 con Mariotto Segni, espressione rassicurante di establishment per bene. E piccoli passi lontano dai suoi, moltiplicando le cariche ad ogni corrente, per potersi disinteressare di tutto, per veleggiare altrove. Lo scorso gennaio aveva detto al partito con noncuranza che è ora di imparare a governare il mondo multiculturale e multireligioso, cose strabilianti da sentire, cose lontanissime. Arrivate dopo le dichiarazioni sul voto agli immigrati, e sempre attraverso i giornali, senza parlarne prima a chi stava lì ad aspettare chiamate e consigli, a chi era abituato a partecipare e adesso invece sta dentro il partito ma non ci capisce più niente. Pare che anche quell’ufficio creato apposta per la droga insieme ad Alfredo Mantovano si sia smaterializzato. Gianfranco Fini pensa ad altro: non ha voluto il ministero dell’Economia, che pure gli era stato offerto. Ha detto: “Io in questa trappola non ci cado”, e poi si è accomodato agli Esteri e ha interpretato il ruolo alla perfezione. Attento a evitare le gaffes e a rimediare a quelle altrui. Orgogliosissimo di mettere la propria firma accanto a quella di Amato insieme ai padri costituenti dell’Europa. Per Gianfranco Fini, politicamente nato in un partito fuori della Costituzione, la Costituzione è diventata così importante da farlorinunciare svelto a ciò che aveva definito irrinunciabile: le radici cristiane. In cambio di buone foto e buone opportunità di diventare presto riserva della Repubblica.



 

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