ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su L'ECO DI BERGAMO
(Sezione:       Pag. 3     )
Lunedì 16 giugno 2003

Federica Ghiselli

L’INTERVISTA Parla il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano

«Viminale pronto, ritardi altrui»


Respinge con fermezza le accuse della Lega a Pisanu: «Quel decreto - dice il sottosegretario all'Interno con delega all'immigrazione Alfredo Mantovano - il Viminale l'ha pronto dal dicembre 2002».

Come commenta l'attacco della Lega a Pisanu?
«Non si commenta quello che è profondamente ingiusto. Il ministero dell'Interno ha fatto finora tutto quello che era necessario fare nei tempi dovuti per la piena funzionalità della legge Fini-Bossi. La parte dei regolamenti spettanti al Viminale è stata predisposta molto prima dello scadere dei 6 mesi previsti per il loro varo».

Allora la «colpa» di chi è?
«Non voglio fare polemica con altri ministeri o forze politiche che guidano altri dicasteri, ma non accetto polemiche sull'Interno, che il suo lavoro l'ha fatto e bene. Il decreto sul contrasto in mare era pronto da parte del Viminale nel dicembre 2002, con l'accordo di tutte le forze di polizia. Dopo di che ci sono altri che non l'hanno ancora firmato».

Si è parlato di Tesoro...
«Esatto. E Infrastrutture».

Insomma, Pisanu non c'entra.
«Affatto. Ed è ingiusto questo attacco perché Pisanu sta facendo fare passi avanti importanti non solo all'Italia ma anche all'Europa, sull'immigrazione, sollevando da tempo il problema della ripartizione delle spese tra tutti i Paesi membri. E ora la questione si sta affrontando molto più concretamente».

Con l'entrata in vigore dei decreti che ancora mancano la situazione cambierà molto?
«L'ho già detto e lo ribadisco. La legge di una singola nazione, soprattutto una nazione così esposta come l'Italia, è importante ma non è la bacchetta magica. È un elemento che, insieme con il lavoro dell'Ue, con gli accordi internazionali, i contatti bilaterali, può consentire di governare il fenomeno. Dico governare, non certamente arrestarlo, perché è profondamente sbagliato pensare di poterlo arrestare. Lo si deve governare programmando degli ingressi regolari e realizzando tutto ciò che è contenuto nella legge».

A proposito dei protocolli d'intesa, gli ultimi arrivi sono soprattutto dall'Africa.
«Sono cambiate le rotte. Il canale d'Otranto è bloccato dall'agosto 2002: da allora sono stati intercettati solo 2 gommoni e dal primo gennaio a oggi ci sono stati 81 clandestini rintracciati sulle cose pugliesi a fronte delle migliaia precedenti. Questo significa che l'Albania non li fa neanche partire. Perché questo è l'obiettivo di un accordo, non quello di realizzare un migliore contrasto in mare. Lo stesso per la Calabria, per gli accordi con la Turchia. Quello che oggi è il punto debole del Mediterraneo è la Libia».

Perché?
«Perché da un lato sconta un'ottima collaborazione con altri Paesi, per cui le organizzazioni criminali che gestiscono la clandestinità si riversano sulle coste libiche; dall'altro, subisce una pressione migratoria fortissima dai suoi confini meridionali, con centinaia di migliaia di persone da tutta l'Africa ma anche Sri Lanka e Banglasdesh. Con la Libia ci sono i contatti, ma il problema è l'embargo, che non consente di mettere a disposizione i nostri mezzi (elicotteri, motovedette) come con l'Albania. Per cui il lavoro che si sta facendo è convincere l'Ue ad allentare o eliminare del tutto l'embargo. E comunque, nonostante tutto, gli sbarchi sono diminuiti della metà tra il 1° gennaio 2003 ed oggi rispetto allo stesso periodo del 2002. È chiaro che le immagini degli ultimi sbarchi condizionano, ma i numeri sono dati oggettivi».

Tornando alla Lega. Calderoli ha detto: i confini vanno «difesi, se necessario, anche con l'uso della forza».
«Le convenzioni internazionali, la Costituzione italiana e le leggi dello Stato impongono come primo obiettivo di qualsiasi intervento in mare la salvezza delle vite umane. E sfido chiunque a trovarsi di fronte a imbarcazioni come quelle che partono dalla Libia, di 12 metri, con 150 persone a bordo, il motore volutamente in avaria, il timone rotto... Che facciamo, spariamo?».

Forse qualcuno lo vorrebbe.
«Che lo dica chiaramente. Io credo che il buon senso, la ragione e poi tutta quella serie di fonti normative impongano di fare il contrario. Poi certo, se una barca consente il ritorno nel luogo di origine, va fatta tornare. Ma la vera battaglia si vince impedendo ai clandestini di partire».


    

 

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