ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su CORRIERE DEL MEZZOGIORNO
(Sezione: IN PRIMO PIANO    Pag  2  )
Domenica 30 Novembre 2003

Francesco Strrippoli

 

Mantovano: i cognomi contano meno dell astoria

Il sottosegretario difende Fini: «Ha fatto ciò che il Papa chiama la purificazione della memoria


 

BARI - Le parole pronunciate da Fini a Gerusalemme «coincidono con quello che il Papa chiama purificazione della memoria». Il leader di An «non ne avrà alcun vantaggio contingente», se non di «consegnare la Repubblica di Salò e il fascismo alla storia, separandoli dall' identificazione con la politica». Il sottosegretario Alfredo Mantovano non è mai stato missino. Quando da magistrato chiese l'aspettativa per farsi eleggere alla Camera era il marzo del 1996. Il Msi non esisteva più e il lavacro di Fiuggi s'era compiuto l'anno prima. Mantovano si iscrisse al partito solo nel '97. Dopo le parole di Fini a Gerusalemme avrebbe potuto tacere nel presupposto che tutto ciò no riguardi la sua storia politica. Invece parla, prende le difese del vi-cepremier e si dice «emozionato» dalle sue parole.

An è in fermento: si ipotizzano nuove correnti. La Mussolini annuncia un nuovo partito. Era il prezzo da pagare?
«Spero che il dibattito non coincida con questa visione riduttiva e mortificante dell'evento. Continuo a nutrire ammirazione e profonda emozione per le parole di Fini, che sembrano richiamarsi ad un recentissimo intervento di Giovanni Paolo II. Ad un convegno su Leone XIII, il papa ha mandato un messaggio in cui dice che la "purificazione della memoria necessita del riconoscimento degli errori compiuti per i quali è giusto chiedere perdono. Quello che Fini ha fatto coincide con l'esortazione del papa».

Il malumore è forte: c'è chi annuncia l'allontanamento dal partito.
«Ritengo fuorviante il dibattito su chi entra e chi esce dal partito e sul destino della Fiamma (che peraltro nessuno ha mai messo in discussione). Lo sforzo da fare è di comprendere la portata delle parole e dei gesti. Voglio aggiungere che sono meno preoccupato delle reazioni dei vertici e sono più interessato a confrontanni con la base e i quadri intermedi».

Il professor Piero Ignazi, storico della destra, sostiene che alla conferenza programmatica di Verona, nel 98, il 61% dei delegati era "contrario a recidere le radici con Salò" e riteneva il fascismo "un buon regime".
«Ricordo quel sondaggio e quel che si commentò subito dopo: che fosse abbastanza approssimativo.
Mi viene in mente che su iniziativa di Berlusconi fu diffuso in quella circostanza il Libro nero sul comuninismo. Fini, in quell'occasione, disse che An non era intenzionata ad usare la stona come arma di lotta politica. Si disse d'accordo con l'anticomunismo, ma pronunciò un no secco al confronto sugli orrori del passato. Oggi un sondaggio accurato darebbe un esito diverso. Sono orgoglioso di appartenere ad un partito che dibatte sui valori e sulle idee e non sui giochi di poltrone».

Molti militanti sostengono che fosse stato tutto detto e non v'era bisogno di chiarimenti ulteriori.
«Vero: nessun bisogno dal punto di vista del cosiddetto "sdoganamento" del partito. Mi ferisce che qualcuno, anche autorevoli colleghi di partito, ritenga che Fini si serva di questo passaggio per un calcolo di utilità. Gianfranco è vicepremier, leader stimato e ascoltato in Italia e in Europa, è vicepresidente della Conferenza intergovernativa. Non riceve alcuna utilità dall'aver pronunciato quelle parole. Ritengo invece quelle dichiarazioni necessarie, dal punto di vista della coerenza con se stessi. Dico al militanti che hanno qualche riserva: parliamone, discutiamone. Ma consideriamo anche che le parole sono importanti, ma lo sono anche i contesti. Una cosa è un congresso di partito, altro il luogo in cui si conserva la memoria dell'Olocausto. Il peso è diverso».

E' plausibile che, come richiesto da qualche parte, l'assemblea di An voti sulle parole di Fini?
«E plausibile che si discuta. Votare sulle parole di Fini significherebbe votare sui documenti di Fiuggi, di Verona o del secondo congresso di Bologna. Non è un problema di voto, ma di consapevolezza. Se ci si guarda negli occhi, ci si accorge che in ciò che Fini ha detto a Gerusalemme, non solo non c'è disprezzo, ma neanche la condanna verso coloro che a 16 anni si arruolarono nella Rsi, pensando così di onorare la patria. Nessuno al momento di quella scelta per certi versi eroica, era consapevole che in quello stesso momento partivano da tutta Europa i vagoni piombati verso i lager. Sarebbe un errore verso quei ragazzi se non si condannasse quella ideologia e le leggi ad essa sottese. Non è disprezzo, è valorizzazione. In questo modo Fini consegna la Rsi e il Fascismo alla storia, separandole dall'identificazione con la politica».

Marco Follini sostiene che, dopo le parole di Gerusalemme, An e Udc siano più vicine. Ha forse ragione chi pensa che si stia privando della sua identità?
«No, credo che Gerusalemme non c'entri nulla con gli sviluppi politici contingenti. I buoni rapporti prescindono da quel che è stato detto in questi giorni».

Teme per le Europee un'eventuale lista guidata da Assunta Almirante e Alessandra Mussolini, con quel che comporta la suggestione dei cognomi?
«Sinceramente no. Ho rispetto per i cognomi. Ma qui parliamo di storia e di politica. Non di cognomi».

 

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