ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su Avvenire
(Sezione: Oggi Italia       Pag.     )
Sabato 29 ottobre 2005

Da Milano Nello Scavo

 

 

 Rivolta silenziosa contro il pizzo. Gli 007: «Clan pronti a colpire»


 

Perché la mafia di Bernardo Provenzano, che per riorganizzarsi e prosperare ha scelto l'inabissamento, arriva a progettare una nuova azione militare contro un magistrato come Ottavio Sferlazza? Intuendo che qualcosa nel ventre di Cosa nostra si sta infiammando, gli agenti dei servizi segreti dislocati in Sicilia avevano segnalato ai vertici dell'intelligence che la pax mafiosa «non esclude tuttavia, in ogni momento, la possibilità di improvvise manifestazioni di violenza, quando queste siano dettate da logiche di sopravvivenza». Una presenza che a Gela è messa a repentaglio dall'azione di contrasto delle istituzioni e da un'inedita reazione dei cittadini.

«La nostra città sta diventando un simbolo dell'antimafia, i boss restano fuori dagli appalti, gli abbiamo tolto un centro di potere come la squadra di calcio e gli stiamo mettendo contro tutta la città». Rosario Crocetta è il sindaco della primavera gelese, e spiega in questa ritrovata assonanza tra azione dello Stato e reazione della società civile il rancore dei boss che volevano eliminare il giudice Sferlazza e di conseguenza terrorizzare le "voci contro". Proprio a Gela nel dicembre del 2003 doveva saltare per aria lo stesso Crocetta. La strage fu sventata, e la città ha cominciato a "riorganizzarsi". All'insaputa dei mafiosi un manipolo di imprenditori si è dato appuntamento alla maniera dei carbonari. Pochi sapevano il perché. Quando qualche mese fa è stata ufficializzata davanti al sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano la nascita dell'associazione antiracket intitolata al profumiere Gaetano Giordano, abbattuto per i ferrei no alle richieste di pizzo, i "padroni" dei clan ci sono rimasti di sasso. Un'escalation "antimafiosa" che gli uomini di Cosa nostra e i compari della Stidda (l'organizzazione criminale una volta rivale ma ora alleata della cupola) non sanno come fronteggiare.

Nel 2003 a Gela c'erano state solo due denunce per estorsione. L'anno dopo gli imprenditori che hanno fatto nomi e cognomi dei loro aguzzini sono diventati 17.

A nulla è servito l'aumento della pressione intimidatoria, con minacce e danneggiamenti sempre più feroci e poi gli "sconti" sulla tangente mensile per convincere tutti a pagare: nel 2005 di denunce ce ne sono state una cinquantina. Uno smacco che le cosche non possono più sopportare. «In questi anni è cresciuta la vicinanza delle istituzioni, sono aumentati gli arresti ed è cresciuta di pari passo la sensibilità della società civile», osserva l'avvocato Elisa Nuara, tra i protagonisti nella costituzione dell'associazione di imprenditori contro il racket. «Eravamo in pochi, ma poi hanno aderito una cinquantina di commercianti - spiega -, abbiamo istituito un numero telefonico che ha sorpreso perfino noi: ogni giorno riceviamo tantissime richieste da parte di imprenditori che vogliono saperne di più, che intendono sfogarsi, e che poi decidono di stare dalla nostra parte».

Il segnale più importante è quello meno noto. Da quando l'amministrazione comunale si è messa in testa alla brigata di gelesi che non stanno più zitti, un po' alla volta s'è squarciato il velo sulle infiltrazioni malavitose nel petrolchimico. «Ci sono state aziende che hanno chiuso i battenti grazie alle nostre denunce - si vanta il primo cittadino Crocetta -, ma neanche un posto di lavoro è andato perso, perché i dipendenti sono stati assorbiti dalle imprese sane che ora possono lavorare con qualche preoccupazione di meno e qualche prospettiva di sviluppo in più». I capibastone però non stanno a guardare. Gli inquirenti hanno segnalato che in tutta l'area di Gela e nell'hinterland di Caltanissetta «si conferma l'immutata egemonia di "Cosa nostra" nella persona del noto latitante Emanuello Daniele Salvatore, e si registra l'esistenza della tregua concordata con ciò che resta dei gruppi "stiddari" attivi sul territorio per la suddivisione dei proventi derivanti dalle illecite attività». Del resto gli uomini d'onore possono sempre contare su un contesto sociale difficile, nel quale allevare le nuove leve. «Un segnale allarmante -hanno scritto nei loro rapporti gli uomini delle squadre antimafia - proviene dal sempre più diffuso ricorso da parte delle famiglie gelesi all'utilizzo di minori con compiti di riscossione del "pizzo", danneggiamenti e furti». Ed è su questo fronte che si gioca la partita più difficile.


    

 

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