ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


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Articolo pubblicato su Avvenire Domenca 17 febbraio 2002



Ma Di Pietro lo smentisce, tutto in regola

L'ex gip Ghitti ammette: ci furono forzature nel corso delle inchieste


Roma. (r.r.) Dopo cinque anni di silenzio, torna a parlare Italo Ghitti, giudice per le indagini preliminari negli anni caldi di Tangentopoli, ora giudice al tribunale di Milano. E non fa mancare critiche agli ex colleghi del pool. Ne sottolinea i meriti per «aver portato alla luce i fatti di corruzione». Sostiene di non avere sensi di colpa per i suicidi di alcuni imputati eccellenti. Ma rivendica anche di essersi opposto a «80-90 richieste» di custodia cautelare dei pm. E li accusa di essere andati «troppo dietro al consenso popolare» di aver «finito per cedere all'esibizionismo». Insomma no al «magistrato-gladiatore che vuole vincere a tutti i costi nell'arena».

Gli replicano due ex componenti del pool. «Come tutti quelli che lavorano - assicura Antonio Di Pietro - possiamo aver commesso involontariamente qualche errore, ma mai un solo abuso e, se qualcuno afferma il contrario, deve assumersi l'onere della prova e dimostrarlo». Spiega però di non avercela con l'ex gip. «Ghitti ha sempre fatto il suo dovere e non si è mai appiattito sulle nostre posizioni. Ho troppa stima e fiducia nei suoi confronti e da me non ci saranno mai critiche nei suoi confronti». Ma sostiene che gli arresti effettuati in quegli anni «se sono stati fatti è perché erano necessari». Dunque, conclude, «sarebbe più utile interessarsi delle travi che abbiamo negli occhi e poi delle pagliuzze».

Anche Piercamillo Davigo respinge le accuse, soprattutto quella di non aver agito con imparzialità. «Significa aver commesso sistematicamente l'abuso d'ufficio, che è un delitto. Ma io sono un magistrato non un delinquente. Capisco che negli ambienti politici il livello si sia così abbassato da non considerarlo più un insulto, ma io mi considero oltraggiato». Parla anche un altro ex magistrato in quegli anni. È Alfredo Mantovano, oggi sottosegretario all'Interno. E lancia l'allarme. «Dieci anni fa la corruzione c'era, era diffusa, e con Mani Pulite è emersa, sia pure in parte e con mille limiti. Oggi la corruzione c'è, è diffusa, ed emerge solo episodicamente». Parole preoccupate quelle dell'esponente di An. «Gli uffici giudiziari sono impegnati in misura certamente minore per indagini sulla pubblica amministrazione e sui politici; non per una scelta di equilibrio, spesso per inefficienza, talvolta per quieto vivere. Restano in piedi, col loro carico di polemiche quotidiane, i processi costruiti nel momento culminante di Mani Pulite».

Un appello viene invece da Cristina Matranga, vicepresidente dell'Udeur, che si rivolge all'Ulivo. «L'allarme sul tentativo in atto di delegittimare la stagione di Mani Pulite è più che fondato e spero non rimanga isolato. È su questi temi che il centrosinistra deve far sentire forte la sua voce, anche ricorrendo alle barricate. È il solo modo per riavvicinare i cittadini alla politica. A suo tempo- ricorda - sono uscita da Forza Italia proprio perché, isolata, combattevo l'insofferenza del Polo verso le regole, l'assalto sistematico al diritto, la guerra ai giudici». E dal presidente dei Verdi, Alfonso Pecoraro Scanio viene una proposta. «È necessario avviare un iter legislativo per la confisca dei patrimoni frutto di corruzione». Per questo, annuncia, «chiederemo l'introduzione del reato di illecito arricchimento. Mi auguro che il centrosinistra e il centrodestra su questo specifico argomento raggiungano un'intesa».

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