ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


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Articolo pubblicato su CORRIERE DELLA SERA Sabato 15 dicembre 2001

No alla metà delle richieste: dicano dove sono i soldi
Magistrati preocupati: non collaborerà più nessuno

«Pentiti e nullatenenti» Il Viminale li boccia


ROMA - Il caso più eclatante è quello di un «cassiere» di un clan mafioso specializzato in traffico di droga e contrabbando. Si è offerto allo Stato come collaboratore di qualità, ha consegnato ai magistrati preziose confessioni di una vita criminale vissuta in prima linea, ma sul prorpio patrimonio ha allargato le braccia: nullatenente, nemmeno una lira accumulata illecitamente in tanti anni di onorata carriera.

I pubblici ministeri gli hanno creduto, o quanto meno hanno chiuso un occhio. Il ministero dell'Interno invece è stato inflessibile: un cassiere squattrinato è ipotesi improbabile, impossbile da acquisire senza accertamenti approfonditi. Il fascicolo del criminale pentito è tornato così al mittente, alla Direzione distrettuale antimafia che ha raccolto le dichiarazioni e chiesto il via libera per il contratto di protezione. Se fosse un caso isolato non farebbe notizia. Ma al Viminale i fascicoli di questo tipo sono diventati parecchi. Da luglio a oggi sono arrivate 77 nuove proposte di collaborazione, l'autorizzazione è stata «congelata» 35 volte, praticamente una volta su due: tutti, o quasi, indigenti.

Per la metà dei nuovi pentiti l'ammissione definitiva ai benefici economici e la sottoscrizione del contrattto di protezione, con i diritti conseguenti, sono dunque sospese. E i fascicoli rispediti alla Dda con il suggerimento di ulteriori valutazioni. Per ora è un contenzioso appena nato, domani potrebbe diventare oggetto di aperta frizione fra ministero e procure antimafia. Sarebbe uno scontro annunciato. La nuova legge infatti, voluta e votata da entrambi gli schieramenti politici, non solo obbliga i pentiti a dire tutto quello che sanno entro sei mesi dall'inizio della collaborazione, ma anche a rivelare la consistenza dei beni accumulati illecitamente. Una novità criticata da molti magistrati, precocupati perchè ritengono sia un deterrente rispetto alla voglia di collaborazioine: «Se con questa legge continuerranno a collaborare bisognerà davvero chiamarli pentiti», ironizzò a caldo, dopo l'approvazione della norma, Piero Grasso, capo della Procura di Palermo

Ma anche Alfredo Mantovano, sottosegretario all'Interno e presidente della Commissione centrale che autorizza in via definitiva i nuovi contratti di protezione, fu chiaro nel giorno del suo insediamento: «Il Vminale non disporrà misure di protezione e assistenza se i collaboratori non diranno con estrema sincerità quali beni possiedono. Il pentimento non può essere lo strumento per godere di ricchezze illecite». Oggi, mentre il suo ufficio contesta la fondatezza di decine di richieste dei magistrati antimafia, ripete: «Sui beni nessuno dice nulla. Forse non è stato completamente assimilato lo spirito della nuova legge. Ovviamente non abbiamo interrrotto alcuna protezione in atto, non siamo incoscienti, ma non possiamo non fare un esame definitivo sulla materia. I procuratori dicono che se insistono sui beni non collabora più nessuno. Io dico che esiste una legge e va rispettata»

Olre al caso del cassiere al Viminale segnalano altre «leggerezze» da parte dei magistrati. Una procura siciliana ha deciso che bastavano appena 4 righe per chiedere l'autorizzazione per una nuova collaborazione: «Il soggetto merita un contratto di protezione alla luce degli eventi accaduti negli ultimi tempi». Di quali eventi si trattasse non era specificato, la domanda non è stata «congelata», ma bocciata. Un altro aspirante collaboratore è risultato «inattendibile» per una Procura e «chiave di volta investigativa» per un altra.

All'esame della Commissione c'è poi il capitolo dei testimoni: in tutto 73, protetti insieme a 200 familiari. La nuova Legge li ha differenziati dai collaboratori, ha riconosciuto loro status e benefici adeguati al comportamento di buoni cittadini che hanno sacrificato la propria serenità familiare pur di aiutare la giustizia. Una scelta pagata in tanti casi a caro prezzo: «Molti hanno tentato il siuicidio, almeno una decina hanno fatto causa allo Stato - rivela Alfredo Mantovano -. Lamentano una protezione non adeguata, chiedono risarcimenti per danni economici o alla salute. In alcuni casi i figli hanno saltato anni di scuola per problemi legati ai nuovi documenti. E' una vergogna da cancellare al più presto»

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