Criminalità e politica: la denuncia della destra,

le reticenze della sinistra

 

 

Questa è una storia vera, che accade a casa nostra, e che provo a ricostruire compiutamente perché non sfuggano i passaggi essenziali.

 

1991- Il Consiglio comunale di Surbo viene sciolto per mafia. A seguito di indagini dell'autorità giudiziaria leccese e su proposta del ministro dell'Interno, con decreto del 30-9-91 il Presidente della Repubblica sciolse il consiglio comunale di Surbo (Le), che era stato eletto nel maggio 1988. Alla base del decreto vi erano i "collegamenti diretti e indiretti tra parte dei componenti del consesso e la criminalità organizzata", tali da determinare "pressanti condizionamenti degli amministratori", la cui "chiara contiguità (…) con la criminalità organizzata arreca grave pregiudizio per lo stato di sicurezza pubblica". Nella relazione del ministro dell'Interno, datata 20-9-91, preparatoria del decreto, si precisava che i collegamenti erano fra la cosca capeggiata da Angelo Vincenti e più di un componente del consiglio comunale: in proposito, il ministro citava tre cognomi, fra cui quello di tale Cirio; si aggiungeva che il condizionamento dell'attività amministrativa arrivava al punto da aggiudicare gli appalti del Comune a ditte facenti capo ai Vincenti.

 

1993 - Amministratori di Surbo vengono condannati per gli stessi fatti che hanno sciogliere il Consiglio. Cirio, indicato nel decreto col solo cognome, è Cirio Antonio, nato a Surbo il 5.9.51, componente della giunta municipale di Surbo, scaturita dalle elezioni del 1988. L'individuazione è sicura, poiché le indagini giudiziarie, parallele all'istruttoria del ministro, hanno condotto in primo grado, in data 9-12-93, alla condanna dello stesso Cirio, in concorso con l'allora sindaco di Surbo e con gli altri componenti della giunta, a un anno di reclusione, accompagnata dall'interdizione dai pubblici uffici, per una serie di abusi commessi nell'esercizio delle funzioni, riguardanti appalti affidati ai Vincenti. Ho qualche cognizione del caso poiché componevo il collegio giudicante e sono stato l'estensore della sentenza del tribunale. La sentenza è stata confermata in appello, il 17-1-97, ed è stata annullata con rinvio dalla Cassazione, il 2-9-97, solo perché nel frattempo il Parlamento aveva modificato il reato di abuso d'ufficio, e questo rendeva necessario un nuovo esame del caso da parte del giudice di merito; pure nella sentenza della Cassazione, a proposito degli atti di aggiudicazione degli appalti, si conferma che "non pare dubitabile la sussistenza del carattere di illegittimità (…) insito nelle deliberazioni oggetto della pronuncia impugnata".

1999. A volte ritornano. Perché questa ricostruzione? Per la ragione che, in occasione delle elezioni per il rinnovo dell'amministrazione provinciale di Lecce, Antonio Cirio si è candidato nel collegio Surbo-Trepuzzi nelle file del Partito Popolare Italiano - lo stesso del presidente Ria e dell'on. Casilli -, e nel solo comune di Surbo ha riportato 2.270 voti, pari al 40,41 % dei consensi validamente espressi, su un totale di ben 18 candidati: dunque, un'affermazione importante e significativa, che ha apportato un contributo non irrilevante alla elezione di Ria. Lo stesso Cirio è stato un pubblico sostenitore della elezione di Maritati e di Casilli al Parlamento italiano; un volantino, "Appello agli elettori", distribuito a Surbo in occasione della campagna elettorale per le suppletive, invitava a esprimere il voto per i candidati dell'Ulivo, ed era sottoscritto dai rappresentanti dei partiti presenti a Surbo: tra le firme c'è pure quella di Antonio Cirio; nel comitato elettorale di Cirio i suoi manifesti propagandistici erano affiancati da quelli di ciascuno di Casilli e di Maritati.

 

Perché sollevare il caso? E perché non in campagna elettorale? Non ho sollevato il caso in campagna elettorale, per evitare strumentalizzazioni e per non esacerbare gli animi; le elezioni creano sempre tensioni, soprattutto nei centri più piccoli, e soprattutto quando sono coinvolte vicende personali. Sollevare il caso avrebbe certamente favorito i candidati del Polo alle suppletive, ma avrebbe allontanato la soluzione del problema, e avrebbe turbato la serenità della competizione. Non c'era fretta, era possibile intervenire in un secondo momento, a bocce ferme, mostrando senso di responsabilità. Confermo quanto ho affermato fin dal primo istante nella lettera aperta indirizzata ai neo-parlamentari e al riconfermato presidente della Provincia. Da tutti mi sarei attesa una diversa cautela, ma soprattutto da parte dell'ex procuratore nazionale aggiunto antimafia: nonostante l'attuale sindaco di Surbo, durante un comizio, abbia coraggiosamente fatto menzione di questa vicenda - e la sua denuncia abbia avuto qualche eco sui mass media locali -, non vi è stata alcuna successiva presa di distanza rispetto a un sostegno così sbandierato. Certo, non avrei mai creduto a chi, tre mesi fa, avesse profetizzato che Maritati e Cirio, e cioè un magistrato già titolare di uno degli uffici più autorevoli nel contrasto alla criminalità mafiosa, e uno dei soggetti che dieci anni fa rappresentava il collegamento fra la "sacra corona unita" e un'amministrazione locale, potessero sedere vicini a sostenere tesi simili, come è accaduto in un contraddittorio televisivo sull'emittente Telerama.

 

Una proposta. Il problema che ho provato a sollevare è il seguente: mentre prosegue ininterrotto il flusso di armi e di droga da oltre Adriatico, che sfrutta l'immigrazione clandestina e che conta su riferimenti logistici nel Salento, la criminalità organizzata rialza la testa proprio nella zona compresa fra Surbo e Campi Salentina, con personaggi non toccati da precedenti indagini, o - con maggiore frequenza - con condannati che hanno terminato l'espiazione della pena. Senza voler mettere tutto sullo stesso piano, l'ultima cosa di cui c'è bisogno è che tornino sulla scena politici locali che le autorità giudiziaria e di polizia avevano tolto di mezzo, perché rappresentavano l'anello di congiunzione fra la politica e gli appalti ai clan. Sono sempre stato convinto che l'ordine e la sicurezza sono beni di tutti, cui tutti, prescindendo dagli schieramenti, devono porre attenzione pregiudiziale perfino rispetto al tema del lavoro: perché non c'è lavoro senza sicurezza. E' un dato di fatto che il nome di un ex amministratore colluso con la criminalità di tipo mafioso sia stato pubblicamente associato a quello dell'attuale presidente della provincia e dei neo eletti parlamentari. Non è materia di denuncia al ministro dell'Interno o alla magistratura; è materia che interpella direttamente la politica, la quale deve assumere la responsabilità di svolgere un'opera di autotutela e di pulizia interna. Per questo ho proposto che tutte le forze politiche presenti e operanti nel Salento stringano un patto di ferro per impedire, nell'interesse del Salento, che personaggi dei quali sia stata documentata la contiguità alla delinquenza di tipo mafioso d'ora in avanti partecipino attivamente a ogni livello di vita politica.

 

Le reazioni. Di fronte a questa proposta, le reazioni dei destinatari della lettera aperta mi hanno lasciato sconcertato. Cirio ha negato che colui di cui si parla nel decreto di scioglimento sia lui. E' falso! Leggo nella relazione del ministro dell'Interno al Presidente della Repubblica del 20-9-91, preparatoria del decreto di scioglimento del Consiglio comunale: "emergono da più fatti i collegamenti tra i Vincenti e ben più di un componente del Consiglio comunale (Manno, Leone, Cirio). Lo stato di soggezione delle Amministrazioni comunali di Surbo, succedutisi nel tempo, nei confronti del clan Vincenti, è comprovato poi dal fatto che tutti gli appalti più recenti sono stati ad essi aggiudicati". Il processo a carico della giunta municipale di Surbo ha riguardato una serie di abusi collegati proprio alla concessione di appalti alle ditte dei Vincenti, e in quel processo vi era un solo Cirio: Antonio Cirio, n. Surbo 5.9.91. Cirio ha aggiunto che, quanto al processo per abuso, era stato definitivamente assolto dalla Corte di Appello. E' falso! Dopo la sentenza della Cassazione di annullamento con rinvio, la Corte di Appello di Lecce con la sentenza n. 842 del 7.5.99 ha dichiarato i reati estinti per prescrizione: il che vuol dire che i reati c'erano, solo che è passato troppo tempo; richiamato il principio stabilito dalla Cassazione - "non pare dubitabile la sussistenza del carattere di illegittimità (…) insito nelle deliberazioni" della giunta di cui faceva parte Cirio -, i giudici del rinvio precisano, con riferimento agli abusi contestati in ben tre capi di imputazione (a-, d- ed e-), riguardanti gli appalti per la raccolta dei rifiuti, per la potatura del verde e per l'affissione dei manifesti, che "non solo non è possibile una valutazione di insussistenza del fatto delittuoso (…), ma le risultanze processuali evidenziano elementi di segno assolutamente contrario ad una siffatta valutazione". Che però Cirio dica il falso è ciò che sorprende di meno; è quanto affermano gli altri che preoccupa.

Ha detto Maritati: perché non mi hai avvertito prima, magari informalmente? Vivremmo nel paese di Heidi se pensassimo davvero che di fronte a una serie di fatti pubblici - la candidatura di Cirio nel PPI, il consenso che ha raccolto a Surbo e l'appoggio esplicito fornito a Maritati e Casilli - bastava una mia telefonata confidenziale al neo senatore, della serie "fai attenzione alle cattive compagnie". Né Maritati né Casilli hanno risposto sul problema sostanziale che ho posto, che è di natura politica, e in quanto tale interpella la politica nel Salento: chi, come Antonio Cirio, è stato parte attiva di un consesso sciolto per mafia, e successivamente ha riportato una condanna per gli stessi fatti che hanno provocato quello scioglimento, può tranquillamente tornare sulla scena politica? O meglio: non è che non hanno risposto; negando peso a quanto autorità giudiziarie e di polizia hanno stabilito su Cirio, hanno tentato di rimuovere il problema, mentre il presidente Ria ha sentenziato che Cirio è stato assolto dai voti degli elettori (sic!), e quindi è un reato metterne in dubbio l'onorabilità (anche Ciancimino e Salvo Lima potevano godere di questo tipo di legittimazioni).

 

Per concludere. Il bilancio, a qualche giorno di distanza dalla esplosione del caso, non è confortante: per la sinistra il problema delle relazioni fra morale e politica, pur in presenza di rischi criminali, non esiste. Mi auguro tuttavia che questo tema resti nell'agenda del dibattito politico salentino; il nuovo Commissario provinciale di Alleanza Nazionale proporrà d'ora in avanti che ogni candidato a qualsiasi consesso elettivo proposto dal partito sottoscriva sotto propria responsabilità un'attestazione che esclude di aver riportato condanne per fatti collegati alla mafia, o di essere stato sottoposto a misure di prevenzione, o di aver fatto parte di consigli sciolti per mafia. E' un punto di partenza, cui dovrebbe affiancarsi la moltiplicazione dei protocolli per la legalità e di un controllo attento sugli appalti. La Destra salentina si sente impegnata in prima fila su questo fronte.

Alfredo Mantovano