ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su GAZZETTA DEL SUD
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venerdì 14 gennaio 2005

Andrea Cangini

Al voto tra il 15 aprile e 15 giugno

 

 Radicali infuriati, Sirchia soddisfattoFassino (Ds): una decisione saggia

 


 

ROMA – Le reazioni alle decisioni della Corte Costituzionale sui cinque referendum contro la legge sulla fecondazione assistita mostrano con chiarezza quanto il tema sia trasversale rispetto agli schieramenti politici e dentro i singoli partiti.I più critici sono naturalmente i radicali, che si sono visti bocciare il quesito che chiedeva l'abrogazione totale. Quel che per il ministro della Sanità, Sirchia, è stato «un primo passo molto positivo», per il segretario dei Radicali, Capezzone, corrisponde invece ad «una decisione scandalosa e politica, che umilia il parere della stragrande maggioranza dei costituzionalisti italiani».

E se anche l'ex presidente della Repubblica Cossiga parla di «sentenza contraddittoria e politica», ai radicali non resterà che sostenere gli altri quattro quesiti. Così faranno anche Pdci, Sdi, Verdi e Rifondazione, che con Elettra Deiana accusa la Consulta di «aver privato i cittadini di un importante strumento democratico».

A esultare sono invece i Ds, che, così come gli altri partiti di sinistra e i medesimi radicali, hanno raccolto le firme per i quattro quesiti ammessi, ma, a differenza degli altri, non hanno sostenuto il testo radicale. Sotto la Quercia, però, albergano sensibilità e strategie differenti. Fassino, infatti, non esclude la possibilità che una «seria modifica» in Parlamento renda superfluo il responso popolare, ma la coordinatrice delle donne diessine, Barbara Pollastrini, non ci crede. Teorizza dunque l'«ottusità delle destre» e definisce «molto difficile» la possibilità che una nuova legge non tradisca le aspettative di chi si è opposto alla vecchia.Differenze uguali e contrarie albergano nella Margherita. È infatti noto che il partito di Rutelli, con l'eccezione di Realacci e pochi altri, pur chiedendo qualche aggiustamento è sostanzialmente favorevole alla legge.

Ma se la Bindi auspica l'intervento del Parlamento, il non meno cattolico Castagnetti ritiene più corretto dare la parola ai cittadini. È quel che accade nel partito cattolico dello schieramento opposto: l'Udc. Dove il capo dei deputati Luca Volontè attacca «il livore dei radicali», dove la relatrice della legge, Doriana Bianchi, auspica «un accordo parlamentare», ma dove il ministro Buttiglione dice che «piuttosto che approvare cattive modifiche, è meglio andare al referendum».La sua, non è l'unica voce in controtendenza. Nella Cdl, infatti, con l'eccezione del Nuovo Psi, tutti i partiti si sono schierati a favore della legge.

Ma, nei partiti, non tutti si sono allineati. Se, infatti, la responsabile per le Politiche femminili di An, Daniela Santanché, rivendica il diritto delle Camere a «migliorare la legge» e sostiene che «non è giusto investire gli italiani della responsabilità di decidere su questioni così complesse», il sottosegretario Alfredo Mantovano la pensa diversamente. Ovvero: «Chiarezza vuole che la parola passi ai cittadini e che la volontà popolare non venga aggirata con una revisione preventiva e pasticciata». Quanto a FI, se il cattolico Giro si rammarica per la mancata abrogazione degli altri 4 quesiti, il liberale Biondi ne gioisce.

E il ministro per le Pari opportunità, Stefania Prestigiacomo, continua a giocare due parti in commedia: ringrazia i radicali, e dice che per lei la revisione in parlamento o i referendum pari son. L'unico partito compatto a favore dell'attuale normativa è la Lega. VOTO . Una volta passato il vaglio della Corte Costituzionale, spetta al presidente della Repubblica indire la consultazione popolare sui quattro referendum di abrogazione parziale della legge sulla fecondazione assistita.

Si voterà una domenica tra il 15 aprile e il 15 giugno. In base all'articolo 75 della Costituzione, un referendum abrogativo può dirsi approvato se alla votazione partecipa la metà più uno dei cittadini elettori (il cosiddetto quorum) e se viene raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.


    

 

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