ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su LA STAMPA
(Sezione: Interni Pag. 7)
Domenica 2 giugmo 2002

Jacopo Iacoboni


DAL GOVERNO SI´ ALLA CARTA D´IDENTITA´ ELETTRONICA CHE LE PREVEDE

«Impronte digitali? Anche agli italiani»
I ministri escludono «intese bilaterali» per esentare i cittadini di paesi non a rischio criminalità. Martino: serve anche la lettura dell´iride



Le impronte digitali verranno prese a tutti gli extracomunitari, manager californiani compresi. Presto, verranno prese anche agli italiani. Dopo l´ipotesi avanzata a «La Stampa» dal sottosegretario all´Interno Alfredo Mantovano («per i cittadini occidentali potremmo studiare coi loro Stati intese separate che li esentino»), ieri mezzo governo di centrodestra s´è impegnato a fugare sospetti di possibili discriminazioni o accordi bilaterali che privilegino qualcuno a danno di altri; a spiegare che «italiani e stranieri pari sono», e come tali saranno trattati; a ricordare che i diritti sono diritti anche quando c´è di mezzo la sicurezza. «Nessuno sarà cittadino di serie B».

Il ministro della Difesa, Antonio Martino, dice che alle impronte digitali, «poco sicure», preferirebbe la lettura dell´iride; poi aggiunge che «sì, il sistema dovrebbe valere anche per gli italiani» perché «il provvedimento attuale è dettato dalla contingenza, ma la parità di trattamento deve portare prima o poi a estenderlo a tutti». Quello per le Comunicazioni, Maurizio Gasparri, dice che le «impronte digitali e elementi biometrici, senza scandalo, possono servire anche per gli italiani e per gli europei». Quello per i rapporti col Parlamento, Carlo Giovanardi, dice che la volontà del governo è di rinnovare le carte d´identità dei cittadini italiani col rilevamento delle impronte, «come avviene negli Stati Uniti e come avverrà negli altri paesi europei». Ecco: che succede altrove? Che regole trovano il cuoco di shish kebab di Saint Germain a Parigi, il programmatore di software indiano nell´East End londinese, il tour operator greco trapiantato nell´East Village a New York? Proprio il Polo cita come esempi Germania, Inghilterra, a volte gli Stati Uniti.

Il centrosinistra preferisce nonostante tutto la Francia, dove peraltro vive la comunità musulmana più imponente d´Europa, sei milioni di persone. Cosa hanno deciso Bruxelles e i singoli stati su una materia che preoccupa i giuristi, scatena paure ancestrali nell´Europa post-ideologica, rappresenta comunque la sfida autentica del mondo piccolo davanti al dilemma tolleranza-integrazione? Prendete gli Stati Uniti, proprio ieri ricordati da Giovanardi: dal marzo del 1998 l´Immigration and Naturalization service (Ins) stabilisce che le impronte vengano rilevate a ogni straniero che chiede i diritti di cittadinanza, la mitica carta verde. Le impronte sono registrate dai singoli Stati o da un centinaio di agenzie locali dell´Ins. Esiste anche una «fingerprints card», non una vera e propria carta d´identità ma un documento che viene archiviato nel cervellone dell´Ins. Niente impronte, invece, per chi chiede asilo o permessi di soggiorno temporanei per motivi di studio, per esempio una Fullbright, o magari ha firmato un contratto di lavoro per un periodo inferiore ai novanta giorni.

E l´Europa? Il commissario europeo alla Giustizia e agli Affari interni, il portoghese Antonio Vitorino, qualche giorno fa ha confermato che l´anno prossimo partirà Eurodac, il sistema di raccolta delle impronte digitali per tutte le persone che chiedono asilo politico nel continente. L´applicazione della norma? Guardate tre situazioni esemplari. In Inghilterra, citatissima dal Polo, Tony Blair propone una legge secondo la quale l´immigrato a cui venga negato il permesso di soggiorno (o di asilo) deve essere immediatamente riportato nel paese di origine. Per ora, il testo non parla di impronte. In Francia il neo-ministro dell´Interno Nicolas Sarkozy, uno con fama di duro, promette di inasprire i controlli (a partire dal caso Sangatte, contestatissimo campo profughi vicino a Calais), però è stato appena intervistato da «Le Monde» sul nodo-immigrazione e in tutta l´intervista la parola «impronte» compare zero volte. Poi c´è la Germania, e lì il Polo può trovare imprevisto alleato nel governo di Gerhard Schroeder: il suo ministro dell´Interno, Otto Schily, valuta l´opportunità di prelevare le impronte nelle ambasciate tedesche a chiunque richieda un visto d´ingresso.

Esisterebbe anche una lista di 22 paesi più o meno «canaglia», tra questi Egitto, Iran, Arabia Saudita, Afghanistan, Pakistan, Corea del Nord: chi proviene da quelle parti, in futuro, potrebbe esser sottoposto ai controlli più severi, che in America chiamano «face recognition», esame dei lineamenti. Il problema è arduo, come la corsa per lasciarci l´impronta più incisiva.

vedi i precedenti interventi