ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su    Il Sole 24 ORE SUD
(Sezione: INCHIESTE    Pag  3   )
Venerdì 16 gennaio 2004

VINICIO LEONETTI

BENI SOTTRATTI ALLA CRIMINALITA'/2 Tempi biblici per le procedure, pochi i casi di riutilizzo - Cancellato l'ufficio di gestione

 

Un tesoro da 570 milioni dimenticato

È il valore delle proprietà confiscate alla mafia in 20 anni: 2500 immobili senza destinazione


 

La mafia, forse avrebbe funzionaato meglio. In vent'anni è stata assegnata solo la metà dei palazzi e dei terreni confiscati al crimine organizzato. E su 4.817 immobili strappati via alle cosche appena 358 vengono utilizzati a fini sociali, secondo il decreto 109 in vigore da otto anni. Un'incapacità palese dello Stato che non aiuta i cittafini del Mezzogiorno che sentono sul collo il fiato grosso dei clan a contare di più sulle istituzioni.

La criminalità con i suoi modi violenti avrebbe saputo certamente dove e come far fruttare tutto questo ben di dio. La legalità invece ha tempi biblici. E superando le lungaggini da brivido dei processi, ci sono 333 immobili che hanno aspettato più di un decennio per passare dal sequestro alla confisca, ed altri 2600 che hanno impiegato dai 5 ai 10 anni. Con la conseguenza che il valore di appartamenti e terreni coltivati è sceso sottoterra.

La legge 109/96 sul riutilizzo dei beni confiscati ai clan della mala sembrava prefigurare una rivoluzione. Le norme prevedono che i beni confiscati possano essere destinaati ai Comuni e associazioni per finalità sociali. E consente inoltre la gestione secondo criteri di mercato delle aziende confiscate. Peccato che oggi ci siano più di 2.500 beni immobili che aspettano una destinazione, per un valore che si aggira intorno ai 250 milioni di euro. Un tesoro per il quale l'ultimo governo di centrosinistra guidato da Giuliano Amato ha creato tre anni fa un uffico straordinario di gestione, nominando commissario straordinario un dirigente di polizia, Margherita Vallefuoco.

Dal primo gennaio l'ufficio è stato cancellato e il consiglio dei ministri del 23 dicembre scorso con un decreto ha trasferito le competenze all'Agenzia del Demanio, cioè il ministro dell' Economia, prevedendo un coordinamento di Palazzo Chigi. Del servizio si occuperà il direttore dell'Agenzia governativa, l'architetto Elisabetta Spitz.

La ricognizione Il censimento era stata la prima mossa dell'ex commissario straordinario. È partito un "porta a porta" in tutta la Penisola, ma con un'attenzione particolare nelle quattro regioni a più alta densità mafiosa: Sicilia, Calabria, Campagna e Puglia. «Abbiamo dovuto disporre sopralluoghi - spiega Margherita Vallefuoco - perchè gli elecnhi delle banche dati del Viminale com coincidevano con quelli delle Finanze». La concetrazione maggiore del tesoro accumulato da mafia 'drangheta, camorra e sacra corona unita era ovvio si trovasse ne Sud, ma solo perchè la ricerca dei beni non poteva arrivare all'estero.

I cespiti "sporchi" catalogati sono stati 4.817, che è il risultato delle confische negli ultimi vent'anni di lotta alla criminalità organizzata, da quando cioè s'è dato il via concreto alla legge Rognoni - La Torre per colpire i patrimoni dei boss. Valore stimato del tesoro: 478 milioni di euro. Più oltre 4 mila beni mobili per un valore di 80 milioni di euro, e 150 aziende avviate stimate poco meno di 10 milioni di euro.

La mappa era la seguente: Sicilia al primo posto col 47% del "tesoro". Si tratta di oltre 2.300 immobili confiscati dall'84 e valutati 193 milioni di euro. Posto d'onore per la 'ndrangheta calabrese con 800 cespiti per un valore di 46 milioni; bronzo per la Campagna che con 723 immobili ne ha meno della Calabria, che però valgono il doppio, cioè 81 milioni di euro. Altri beni acquistati col narcotraffico e le armi sono stati confiscati in Lombardia e Lazio. Tra Milano e dintorni i cespiti sono 280 e valgono 28 milioni; ma è nella capitale che sono concentrati ben 213 appartamenti dei boss, per 82 milioni di euro.

Dopo i numeri il vero problema è l'assegnazione. Impresa tutt'altro che facile. «Mancava un coordinamento tra sindaci, forze dell'ordine, associazioni locali, organizzazioni professionali e imprese. Per anni l'utilizzo dei beni è stato fermo. Noi siamo riusciti a creare spesso un coordinamento» spiega Vallefuoco. Che aggiunge: «Non c'è mancanza di progettualità, anzi ci sono tante proposte che arrivano da Comuni e associazioni».

Pochi soldi per convertire Allora qual'è l'ostacolo che impedisce ai beni confiscati di essere utilizzati? Per il commissario che ha appena fatto le valigie ci sono due problemi. Il primo riguarda la sfera pubblica: «roppo spesso mancano i finanziamenti per convertire le strutture». L'altro è costituito dalle difficoltà che si trovano sul posto: le cosche che minacciano chi ha in consegna le "loro" proprietà, che tagliano un vigneto pregiato come è avvenuto a Castelvetrano, che occupano abusivamente gli appartamenti, che danneggiano case e terreni creando danni tante volte difficilmente riparabili e che comunque comportano costi aggiuntivi cio lo Stato difficilmente fa fronte. Ma sulla lentezza dell'apparato il commissario è cauta: «È più il tempo che passa dalla confisca all'utilizzo, di quello che va dal sequestro alla confisca dei beni mafiosi». Secondo Vallefuoco la 109/96 deve essere attuata in via ordinaria, quotidianamente, e non può funzionare come un prvvedimento straordinario. Nonostante la 109/96 non sia «una cattiva legge», dall'ufficio romano di Vallefuoco è partita per Palazzo Chigi una proposta di riforma. Finora rimasta nel cassetto.

Cancellato l'ufficio (una trentina tra amministratori, tecnici e poliziotti), resta ora il dubbio che il governo voglia cartolarizzare anche i beni confiscati alla mafia i come fossere proprietà di un qualunque ente ministeriale. «Non credo che verranno messi all'asta, perchè così tornerebbero di nuovo in mano alla criminalità: sarebbe una vera e propria vittoria per le cosche» conclude Vallefuoco. Chi parteciperebbe a Palermo o a Reggio Calabria ad un'asta di un palazzo dei Riina o un uliveto dei Piromalli?

A rassicurare su questo scenario ha provveduto Alfredo Mantovano, sottosegretario all'Interno all'inaugurazione di un centro sociale a Isola Capo Rizzuto, nel Crotonese, in un appartamento degli Arena, famiglia specializzata in narcotraffico con Colombia e Indonesia. «Non si possono considerare quelli confiscati alla mafia come beni qualunque sul mercato. Non possono essere messi all'asta» ha spiegato il viceministro. Mantovano si rende pur conto che ci sono troppi ritardi nel reimpiego degli immobili: «È indilazionalbile una legge per ridurre i tempi dalla confisca alla destinazione a fini sociali». Vorrebbe dire dimostrare che lo Stato funziona meglio dell'antistato.

 

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