ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su CORRIERE DEL MEZZOGIORNO Martedì 9 aprile 2002

di FRANCESCO FISTETTI

Il dibattito

 

An senza una politica federale


 

A leggere tra le righe l’intervista rilasciata a questo giornale da Salvatore Tatarella domenica 31 marzo, dietro l’autocompiacimento per i risultati lusinghieri conseguiti nella battaglia precongressuale - con 103 delegati il 65% conquistato da "Destra protagonista" da lui capeggiata - si coglieva una sottile inquietudine, riconducibile, più che a preoccupazioni relative all’identità del suo partito a livello nazionale, ad una ben dedeterminata diagnosi dei rapporti di forza e degli equilibri di potere all’interno del governo Berlusconi.

Il paradosso che assilla Tatarella è il seguente:"An è forte in Puglia, ma è debole nel governo", ove, aggiungeva, ha un solo sottosegretario, che è Alfredo Mantovano, un battitore libero che afferisce allo sparuto gruppo degli "indipendenti". Ecco, dunque, il problema sviscerato in termini crudamente realistici: nonostante l’insediamento sociale e il peso elettorale di An in Puglia che situano tale partito ai primi posti dopo il Lazio, la Sicilia e la Campania, Tatarella registra allarmato un sottodimensionamento ed una sottorappresentanza della destra pugliese dentro il governo Berlusconi. Ancora di più forse avrebbe dovuto spingerlo ad una riflessione meno episodica il dato della meridionalizzazione di An, che appunto concentra la maggioranza dei suoi consensi nel Sud dell’Italia. Già di per sé questo profilo preminentemente meridionale della composizione elettorale e della rappresentanza parlamentare di An solleva una questione di rilevanza strategica che non sembra essere emersa né nella relazione di Fini né nel dibattito interno che ha preceduto il congresso: è credibile come forza di governo una destra che, come nell’immediato dopoguerra da Lauro ad Almirante, ha il suo radicamento e il suo serbatoio di voti quasi esclusivamente nel Mezzogiorno? Se il blocco sociale che il vecchio Msi riusciva a coagulare era formato per lo più da un sottoproletariato e da ceti marginali frutto della disgregazione provocata nel tessuto produttivo meridionale dai contraccolpi della modernizzazione, quali sono oggi i ceti di riferimento di An? Basta da solo un certo intransigentismo ultraconservatore in tema di patria, famiglia e religione per differenziarsi da Fi? Come conciliare la modernità economica con questi valori tradizionalistici? E fino a che punto una destra di origine "populista" come quella italiana può essere d’accordo per smantellare completamente il "welfare State"?

Probabilmente i più consapevoli della significatività di questi interrogativi sono gli esponenti della "Destra sociale" come Storace ed Alemanno ed un’eco di ciò si può cogliere nelle parole del sottosegretario Pasquale Viespoli al "Corriere" di giovedì scorso sulla necessità per An di riannodare il rapporto con il Mezzogiorno, che "segna tutta la storia della destra italiana". Ma è proprio della crucialità di questo rapporto che An sembra abbia perduto la memoria storica e si direbbe che quasi si vergogna, mentre esso riaffiora, senza tuttavia ricevere l’importanza che merita, nell’intervista di Tatarella. Solo che, a differenza di ciò che ritiene Tatarella, il problema non riguarda soltanto la rappresentanza della Puglia nella compagine governativa, ma quella dell’intero Mezzogiorno: meglio ancora, riguarda la quantità e la qualità di tale rappresentanza e soprattutto la collocazione del Mezzogiorno nel contesto dello sviluppo complessivo dell’Italia e dell’Europa. Su questa questione il silenzio di An è il segno evidente non solo che non possiede una politica precisa, ma forse che preferisce non averla e delegarla a Berlusconi e ai suoi luogotenenti come Lunardi e Viceconte. Senza capire, però, che su questo terreno An si gioca tutto, d’altronde così come avvenne in passato per tutte le forze politiche (sinistra compresa: i socialisti prima e i postcomunisti poi).

A tutt’oggi, dunque, anche in Puglia, come in tutto il Mezzogiorno, An non sembra avere nessuna idea di federalismo regionale, nessuna proposta davvero autonoma e competitiva nei confronti degli alleati. Di qui la deriva verso "localismi" e "personalismi" denunciata dallo stesso Tatarella, con la conseguenza di una drammatica carenza di leadership regionale, aggravata peraltro dalla crisi dell’Ulivo e dall’ incapacità da parte di quest’ultimo di costruire un’alternativa plausibile.".

 

vedi i precedenti interventi