ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su CORRIERE DELLA SERA Sabato 10 marzo 2002

Dino Martirano

 

Mantovano: il governo di Ankara fermi le apartenze dei clandestini


 

ROMA - «I focolai di crisi nell’Oriente vicino e lontano sono tanti e molte sono le segnalazioni di imbarcazioni già presenti nel Mar Rosso: va rafforzata, quindi, la cooperazione europea perché il problema non può essere scaricato solo sull’Italia». E’ realista il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano (An). Ed è costretto ad esserlo anche perché, al Viminale, tutti sanno che stanno per attivarsi nuove rotte della tratta di esseri umani. Sulla tragedia di Lampedusa, il vice del ministro Claudio Scajola, che ha la delega all’immigrazione, dice che «è stato fatto tutto il possibile per salvare le vite umane». Ma poi Mantovano non fa sconti alla Turchia: «In termini di elevata probabilità, l’imbarcazione naufragata sarebbe partita dalla Turchia, i cui porti, rispetto ad altri Paesi, continuano ad essere più "sicuri" per le organizzazioni criminali».

Qual è la sua ricostruzione del naufragio?
«L’imbarcazione carica di 60-70 persone, avvistata in un punto più vicino alle acque territoriali maltesi rispetto a quelle italiane, è stata soccorsa dal peschereccio Elide. E’ succesivamente intervenuta la Cassiopea della Marina militare che si è tenuta a debita distanza perché le condizioni del mare sconsigliavano avvicinamenti ulteriori».

E’ stato tentato un trasbordo dei naufraghi?
«Il mare era forza 4-5. E alle condizioni meteorologiche si è sommata l’assoluta precarietà dell’imbarcazione le cui dimensioni erano assai ridotte per la quantità di persone imbarcate. Tutto quello che si poteva fare è stato fatto con massima prudenza e perizia: probabilmente sono morte 50 persone ma ne sono state salvate 11. Purtroppo ci sono tante vite distrutte: questo non dipende dall’intervento dei soccorritori ma solo dagli sciagurati che hanno messo tanta gente su una barca così piccola. Per cui non capisco chi, nell’opposizione, vorrebbe attribuire al governo la responsabilità della tragedia».

Nella nuova legge sull’immigrazione il governo ha inserito una norma che permette alla Marina militare di «fermare» le imbarcazioni cariche di clandestini. Era proprio necessario scrivere «fermare» nel testo?
«Ci vuole buonsenso. Ed è ovvio che se c’è un’imbarcazione in condizioni di assoluta precarietà, l’obiettivo principale è quello di salvare le vite umane. L’emendamento passato al Senato punta a un miglior coordinamento tra la Marina militare e le forze di polizia per evitare che ognuno vada per conto suo».

Il comandante del pattugliatore Cassiopea si sarebbe comportato allo stesso modo con la legge Fini-Bossi in vigore?
«L’obiettivo sarebbe stato ugualmente quello di salvare i naufraghi. L’emendamento anticipa in qualche modo le convenzioni di Montego Bay e di Palermo: «fermare» è possibile quando le condizioni di fatto, al momento, consentano di condurre l’imbarcazione in difficoltà nel porto più vicino. Nel caso specifico, se lo scafo con i clandestini fosse stato di dimensioni più consistenti e il mare calmo, in presenza di quella norma si poteva anche accompagnare l’imbarcazione in un porto maltese».

Nel Canale di Sicilia, la Marina ha solo due navi con il doppio compito di tutelare i pescherecci e di controllare l’immigrazione clandestina.
«Queste sono valutazioni della Difesa. Ma qui il problema principale da risolvere è quello dei porti di partenza: non abbiamo certezze ma in termini di elevata probabilità, nel momento in cui parlo, la partenza dell’imbarcazione affondata dovrebbe essere avvenuta da un porto turco».

La Turchia dovrebbe collaborare di più?
«Di recente ho letto una nota dell’ambasciata turca nella quale si forniscono dei dati e si cita un esempio di collaborazione: la partenza della nave approdata a Gallipoli alcuni mesi fa era stata segnalata all’ufficiale di collegamento italiano di Ankara. Ma il problema non è tanto segnalare, piuttosto è impedire che le navi salpino. In quella nota, l’ambasciatore riconosce che la Turchia ha migliaia di chilometri di costa: e quindi fa un passo in avanti perché ammette che il problema esiste. Anche perché vi è una contrazione di sbarchi sulla Puglia e un incremento sulla Calabria, soprattutto, e in Sicilia: questo significa che la dominante delle rotte si sta orientando sulla Turchia piuttosto che sull’Albania. La Turchia è il luogo di raccolta e di partenza».



vedi i precedenti interventi