ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su CORRIERE DELLA SERA
(Sezione:  CRONACHE      Pag.    16)
Lunedì 7 febbraio 2005

Dino Martirano

L’INTERVISTA

 

 Mantovano: «Perso il contatto con la realtà»


 

ROMA - Non è utile, come propone il ministro Roberto Calderoli (Lega), invocare l’intervento di Ciampi e del Consiglio superiore della magistratura: «Dobbiamo evitare il riflesso condizionato di chiedere sanzioni disciplinari ogni volta che si verificano questi casi. Il problema è un altro. E non si risolve con la censura o con la sospensione dal servizio di un giudice perché qui siamo di fronte a una crisi di sistema, di coesistenza di norme». Risponde così l’ex magistrato Alfredo Mantovano, oggi sottosegretario all’Interno di An, se gli si chiede un commento sulla sentenza di Lecco: «Io, certamente, non voglio prendere le parti di un giudice di appello, anche perché non conosco gli atti della vicenda di Lecco, ma osservo una moltiplicazione di casi in cui sembra che si sia perso il contatto con la realtà».

Il giudice ha applicato le norme sul patteggiamento.
«Ciascuna delle norme che danno adito a polemiche ha una sua logica. La norma sul patteggiamento e quella sul rito abbreviato producono sconti di pena in cambio di una definizione veloce del processo. Lo stesso vale per la liberazione anticipata, prevista dalla Gozzini, mirata al reinserimento del detenuto. Il problema è la coesistenza di tutte queste norme».

Ha fatto discutere anche la sentenza del Gup di Milano che ha assolto e poi si è opposto all’espulsione del marocchino Mohamed Daki.
«Io credo che in quel caso ci siano stati due problemi: uno di ordine giuridico e uno di formazione e di tensione morale che, quindi, chiama in causa il singolo magistrato».

Molti si scagliano contro i magistrati. Lei si unisce al coro?
«Forse, più che attivare polemiche davanti a ciascuno di questi episodi, sarebbe il caso di dare uno sguardo d’insieme a tutto l’ordinamento. Stabilendo, poi, che se si fruisce di un beneficio processuale o penitenziario questo deve esser alternativo ad altri vantaggi previsti: perché la logica dell’uno non si può sovrapporre alla logica dell’altro. Ecco, penso a quei lavori avviati dal ministro della Giustizia sulla riforma del codice penale e di quello di procedura penale».

Su queste riforme di sistema, però, il governo è in affanno.
«Sì, lo so. Però è proprio questo il lavoro che bisogna fare, altrimenti si inseguono i singoli casi e non se ne esce. Non si può andare avanti con i rattoppi. Per esempio, sul fronte del terrorismo ormai c’è l’esigenza di avere un’effettiva specializzazione e una formazione mirata della magistratura inquirente e di quella giudicante. Come esistono le sezioni del Lavoro o le Distrettuali antimafia, non vedo perché non dovrebbe esserci un magistrato che si occupi solo di terrorismo internazionale».


    

 

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