ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su CORRIERE DELLA SERA
(Sezione: IN PRIMO PIANO      Pag.    9)
Sabato 19 febbraio 2005

Enzo Mignosi

 

 

 Mori e «Ultimo» a giudizio. Fini: sono indignato

Gli ufficiali accusati della mancata perquisizione del covo di Riina. Solidarietà anche dall’opposizione


 

PALERMO - Processo al capo dei servizi segreti Mario Mori e al capitano dei carabinieri Sergio De Caprio detto «Ultimo». Un’accusa choc: favoreggiamento aggravato nei confronti della mafia. Ecco la conclusione del giudice per le indagini preliminari Marco Mazzeo, a Palermo da sei mesi: ha respinto la terza richiesta di archiviazione della Procura che aveva parlato di «oggettiva agevolazione di Cosa Nostra ma senza dolo», nonostante le «dichiarazioni reticenti e fuorvianti».


OMBRE - Secondo Mazzeo sono proprio questi gli elementi che gettano pesanti ombre su Mori, all’epoca vicecomandante del Ros, e De Caprio: ritardando la perquisizione del covo di Totò Riina dopo la cattura del boss dei boss corleonese, il 15 gennaio 1993, i due ufficiali avrebbero agito da servitori infedeli dello Stato. Il blitz nella villa di via Bernini che per 8 anni ospitò in clandestinità il capomafia e la sua famiglia si fece solo il 2 febbraio, 18 giorni dopo l’arresto. Uno dei grandi misteri siciliani sarà riletto pagina per pagina a partire dal 7 aprile, giorno fissato per l’inizio del dibattimento davanti a un giudice monocratico e non a una sezione del tribunale, come suggerirebbe l’ipotesi di reato.


REAZIONI - Dettagli tecnici che passano in secondo piano rispetto all’onda polemica che monta sul fronte politico, con solidarietà incondizionata ai due imputati eccellenti. Il telefono di Mori ha squillato per tutto il pomeriggio. Il primo a chiamare è stato l’ex presidente Francesco Cossiga, che dalla clinica in cui è ricoverato ha confermato al direttore del Sisde «quella fiducia che quando egli ricopriva altri incarichi e uffici pubblici si era costantemente meritato». «Mi auguro - ha detto più tardi in una nota - che tutto ciò non si deva a ignoranza o a gretto meschino spirito di persecuzione, ma a una grave insufficienza del nostro sistema giudiziario». In serata ha telefonato il vicepremier Gianfranco Fini, «profondamente indignato» per l’operato di certi magistrati che ha definito «scandaloso». Telefonate anche dal ministro Gasparri e dal sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano, manifestazioni di «piena fiducia per il lavoro svolto in questi anni nel contrastare la mafia». Sorpreso il sottosegretario alla Giustizia Luigi Vitali, sicuro che «il dibattimento dimostrerà l’inappuntabile comportamento dei due ufficiali», stupito il ministro Alemanno: «Il rinvio a giudizio appare incomprensibile dopo la richiesta di archiviazione».


FRONTE COMUNE - Difesa a oltranza anche da esponenti dell’opposizione. Il diessino Giuseppe Caldarola, membro del Comitato parlamentare per i servizi di sicurezza, parla di «decisione sconvolgente». Cautela dal suo compagno di partito Giuseppe Lumia, ex presidente della Commissione antimafia, che invita la politica a non sfruttare l’occasione per una nuova aggressione all’autonomia dei giudici. «La vicenda è molto seria e grave - dice Lumia -. E’ bene che il giudizio penale sia lasciato esclusivamente ai giudici». Un magistrato sempre prudente come il procuratore nazionale Pier Luigi Vigna ammette di «avere trovato in lui un ottimo collaboratore di alta professionalità». Nessun commento all’ordinanza. Lunedì il procuratore Pietro Grasso convocherà una riunione per valutare la posizione che l’ufficio dovrà assumere nel giudizio. I pm si troveranno infatti nella condizione di dover sostenere l’accusa dopo aver chiesto l’archiviazione. Nessuna anomalia, assicura Grasso: «In passato mi è capitato di chiedere assoluzioni quando mi sono convinto che non c’erano elementi sufficienti per la condanna».


    

 

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