ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su CORRIERE DELLA SERA
(Sezione: CRONACHE      Pag.    16)
Mercoledì 16 marzo 2005

Giovanni Bianconi

 

 

 An contro Forza Italia, gli sconti dividono il Viminale


 

ROMA - Al secondo tentativo è arrivato un altro «no». Cinzia Banelli, la prima pentita delle nuove Br e per ora unico rappresentante dell’eversione nazionale nel variegato pianeta dei collaboratori di giustizia, non ce l’ha fatta a entrare ufficialmente nella categoria. Il giudice di Bologna, meno severo di quello di Roma, ha riconosciuto l’importanza delle confessioni dell’ex brigatista. Ma non ha applicato la legge ad hoc che garantisce forti sconti di pena per il terrorista confesso che, «dissociandosi dagli altri, si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, ovvero aiuta concretamente l’autorità di polizia e l'autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per l’individuazione o la cattura dei concorrenti». In passato, in base a questa norma, fior di «banditi armati» hanno avuto condanne quasi irrisorie rispetto ai delitti contestati, quasi sempre omicidi. Cinzia Banelli no, nonostante investigatori e inquirenti avessero certificato il «concreto contributo» fornito alle indagini sulle nuove Br. Con il ruolo di «staffetta» la donna ha confessato di aver partecipato agli omicidi di Massimo D’Antona e Marco Biagi. Per il primo, quindici giorni fa, è stata condannata a vent’anni di carcere; ieri, per il secondo, a sedici. Ma non è tanto l’entità delle pene a stupire quegli stessi investigatori e inquirenti. E’ piuttosto il mancato riconoscimento del valore della collaborazione dell’ex brigatista a lasciare il segno e rendere ormai visibile un conflitto non solo tra magistrati, ma anche all’interno del palazzo del Viminale.

All’indomani della condanna per l’omicidio D’Antona il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu aveva pubblicamente detto che «la Banelli ha dato un contributo rilevante alle indagini», frase facilmente interpretabile come un dissenso dal giudice romano che aveva inflitto i vent’anni di galera. Pochi giorni dopo, l’apposita commissione che ha sede proprio al Viminale, guidata dal sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano (An), ha respinto la richiesta di concedere lo «speciale programma di protezione» per la Banelli e i suoi familiari, un marito e un bambino nato in carcere che compirà un anno tra pochi giorni. Giustificando il suo «no», oltre che con la sentenza di Roma, con questo giudizio sulle password svelate dalla pentita che hanno fatto aprire centinaia di documenti brigatisti altrimenti inaccessibili: «Si tratta di documenti che nulla aggiungono a quanto già accertato sulla scorta delle indagini già svolte (prima della collaborazione, ndr) sia per quanto attiene alle fasi preparatoria ed esecutiva degli attentati in danno di Massimo D’Antona e Marco Biagi, sia per quanto attiene alla struttura della banda armata denominata Brigate Rosse».

Il contrario di quanto sostenuto da Pisanu, insomma, e prima ancora dei pubblici ministeri di Roma e Bologna che per la pentita avevano non solo sollecitato condanne più miti e il programma di protezione, ma pure gli arresti domiciliari (negati da Roma, da Bologna si vedrà). E forse non è un caso che proprio ieri il direttore del Sisde Mario Mori - «voce» tenuta in alta considerazione dal ministro - è andato a dire al comitato parlamentare di controllo che le nuove Br hanno subito un duro colpo dalle indagini, ma non sono morte; che c’è ancora qualcuno in circolazione in grado di riprendere a sparare col marchio della stella a cinque punte. Terminata l’audizione, il deputato forzista Fabrizio Cicchitto, compagno di partito di Pisanu, ha tradotto: «Il pentitismo è uno degli strumenti per colpire il terrorismo e non aver ammesso la Banelli al programma di protezione suscita grandi perplessità e non aiuta le indagini».

Davanti al giudice l’avvocato Grazia Volo, difensore dell’ex brigatista, ha spiegato che i pentiti servono a «depotenziare dall’interno la struttura criminale allo stesso modo in cui opera un virus; ne minano il senso di onnipotenza interno, allontanano gli indecisi e scoraggiano nuovi reclutamenti». E «l’effetto più duraturo» provocato da chi collabora con la giustizia «non risiede tanto nel singolo risultato investigativo, quanto nella dirompente rottura del muro di omertà che costituisce il punto di maggiore forza delle associazioni criminali». Comprese quelle terroristiche. Ecco perché era importante concedere quello status alla Banelli, che la commissione del Viminale e i giudici hanno invece negato. Depotenziando il valore deterrente dell’abbandono della lotta armata, secondo l’avvocato Volo e secondo altri inquilini del Viminale e palazzi della sicurezza limitrofi. Ma il pubblico ministero bolognese Paolo Giovagnoli, che pure aveva sollecitato il riconoscimento ufficiale alla Banelli, cerca di salvare il ruolo della pentita «ripudiata»: «La rottura dell’omertà resta e la pena è stata quasi dimezzata rispetto a quella che l’imputata avrebbe avuto se non avesse collaborato; non credo che i brigatisti siano interessati al dibattito sull’applicazione di una norma piuttosto di un’altra».


    

 

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