ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


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Articolo pubblicato su CORRIERE DELLA SERA
(Sezione:  Politica   Pag.   11   )
Giovedì 16 Gennaio 2003

Dino Martirano

CLEMENZA / Fragalà (An): provvedimento aperto ai mafiosi. La Lega si infuria, il deputato richiamato dal suo partito: posizione personale

Difficoltà per l’indulto, la Camera riduce da 3 a 2 anni lo sconto di pena

Il ministro Gasparri ripete il suo no: con la vituperata «Cirami» non è stato scarcerato nessuno


 

ROMA - Qualora in Parlamento dovesse formarsi la maggioranza utile dei due terzi per approvare l’indulto, lo sconto di pena sarà di due anni e non di tre. Il passo è stato compiuto ieri in commissione Giustizia della Camera dove un’eterogenea pattuglia di deputati ha approvato due emendamenti (uno firmato dai Ds e dalla Margherita, l’altro dalla Lega) che tagliano di un terzo il beneficio previsto dal testo. Alla fine, solo in tre hanno detto no: Giuliano Pisapia (Prc), Paolo Cento (Verdi) e Enrico Buemi (Sdi). Tutti gli altri, in testa i commissari diessini e quelli di Forza Italia, hanno spinto per un indulto che sia più selettivo: «Io questo provvedimento lo voglio portare a casa a tutti i costi», ha detto Anna Finocchiaro (Ds), responsabile giustizia dei Ds.

I prossimi nodi da sciogliere sono quelli sulle pene pecuniarie. Il testo condona quelle fino a 10 mila euro ma i Ds hanno detto che in aula faranno di tutto per azzerare questa norma: «Chi è povero non paga in nessun caso chi è ricco lo può fare». Il deputato Giovanni Kessler insisterà anche perché dall’indulto siano escluse le pene accessorie e affinché il beneficio scatti in ogni caso dopo che il detenuto abbia scontato almeno un quarto della pena. Poi si aprirà il capitolo dei reati gravi da escludere dall’indulto.

E, infatti, quella sulla riduzione dello sconto di pena non è l’unica sorpresa di una giornata parlamentare convulsa. Dentro An è scoppiata una mezza bagarre. L’avvocato palermitano Enzo Fragalà, deputato del partito di Fini che si batte strenuamente contro l’indulto insieme alla Lega, ha presentato un emendamento dirompente: cancellare dalle «esclusioni oggettive» previste dal testo quella che impedisce ai mafiosi di usufruire dell’indulto. La sortita di Fragalà ha fatto infuriare il leghista Guido Rossi che poi ha sollevato pubblicamente il caso: «Ci auguriamo più coerenza perché dentro An c’è una schiera di deputati che non seguono certo le indicazioni del partito ma anzi sembrano rappresentare la lobby degli avvocati». E’ scesa in campo anche Carolina Lussana (Lega). Ma poco dopo sono partite le critiche anche da parte di esponenti di An: «La scelta di Fragalà è da ritenersi assolutamente personale», ha dichiarato Angela Napoli che è vice presidente della commissione Antimafia e che in Calabria ha ingaggiato una coraggiosa campagna contro i boss.

Così, in serata, al capogruppo di An Ignazio La Russa non è rimasto che richiamare all’ordine Fragalà chiedendo che gli emendamenti al testo dell’indulto vengano concordati. Il «richiamato», a quel punto, ha ritenuto opportuno ritirare l’emendamento «presentato a titolo personale» che estendeva l’indulto ai boss mafiosi ma ha anche chiesto di essere esentato dai compiti di capogruppo in commissione Giustizia.

Il caso Fragalà si è consumato nelle ore in cui i colonnelli di Fini (Mantovano, Gasparri e La Russa) si presentavano nella «Sala Tatarella» per dire davanti alle telecamere il no più assoluto all’atto di clemenza chiesto a novembre dal Pontefice. Dati alla mano, il deputato Gian Paolo Landi di Chiavenna ha dimostrato che dopo gli ultimi tre indulti (’78, ’86, ’90) sono aumentati sia i reati sia gli ingressi in carcere. E l’ex carabiniere Filippo Ascierto si è presentato così: «Per tutta la vita ho fatto il maresciallo e ho arrestato le persone». Il ministro Maurizio Gasparri, che ha lanciato la campagna «Niente sconti e saldi per i criminali», ha voluto citare la «vituperata legge Cirami in base alla quale, contrariamente a quanto annunciava la sinistra, non è stato scarcerato nessuno». E il caso del boss della camorra Francesco Schiavone, detto «Sandokan», che ha invocato il legittimo sospetto e ha chiesto la sospensione del processo davanti alla Corte d’appello di Napoli invocandone il trasferimento a Roma? «Ora di nuovo tutti, sia che si tratti di "Sandokan" o della "Perla di Labuan", possono rivolgersi alla Cassazione per chiedere di essere processati da un giudice imparziale», ha glissato il ministro.

Intanto con il no di An e della Lega, e con i dubbi dei Ds, inizia oggi in aula alla Camera il dibattito sull’«indultino»: è la sospensione condizionata dell’esecuzione della pena (3 anni) che può essere votata a maggioranza semplice. Ma il successo di questa proposta di legge è tutto legato al destino, che si decide in queste ore, dell’indulto vero e proprio. Sui due provvedimenti pesano anche i dati di una inchiesta, in circolazione tra gruppi parlamentari, che fisserebbe al 78 per cento la quota degli intervistati contrari a un gesto di clemenza.

Ma ci sono anche quelli che si sporcano le mani: il cappellano di Rebibbia, don Sandro Spriano, gli ex detenuti Sergio Segio e Sergio Cusani, i volontari di Antigone, i sindacalisti degli agenti penitenziari. Tutti insieme si sono ritrovati davanti al portone di Regina Coeli per dire che se si spezza la speranza non è possibile prevedere cosa potrebbe succedere nelle carceri. Ci sono infine i detenuti che in 50 penitenziari fanno lo «sciopero del carrello» (rifiutano il vitto) e la pattuglia di radicali (Bernardini, Capezzone e D’Elia) che attuano lo sciopero della fame per chiedere che il «Parlamento decida presto la data "del fischio finale" di questa vicenda».


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