ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su CORRIERE DELLA SERA
(Sezione: PRIMA PAGINA   e   Pag.   14  )
Venerdì 10 ottobre 2003

di GIAN ANTONIO STELLA

 

Il principe del ribaltone che aspettava le manette


«Signor Sindaco: prrrrr!». Se la doveva aspettare, Giovanni Antonino, la solenne trombetta che ieri si è levata da una buona metà di Brindisi alla notizia del suo arresto per tangenti. Chi di pernacchio ferisce, di pernacchio perisce. E tra le tante «antoninate» che si era inventato in questi anni di straripante esibizionismo, così numerose che lui stesso aveva vezzosamente coniato il termine «antoninata», c'era stata appunto anche quella: la proclamazione urbi et orbi del «Pernacchio Day» contro Silvio Berlusconi. Una scadenza storica, a suo dire, per rilanciare l'Ulivo: «Inviteremo tutti i sindaci del centrosinistra per celebrare insieme il "Pernacchio Day"». Poi aveva aggiunto: «Ci ispireremo alla scena di quel grandissimo attore che fu Eduardo De Filippo, che proprio con il pernacchio distruggeva l’uomo potente del rione Sanità. Un pernacchio per dirla tutta e con chiarezza a chi governa l’Italia e far ripartire una grande iniziativa politica per il rilancio del centrosinistra e una definitiva consacrazione del ruolo che spetta alle autonomie locali nei processi di crescita del Paese».

Permette? Prrrr...
Che gli azzurri brindisini abbiano buoni motivi di gongolare è difficile da contestare: il «Gentilini rosé pugliese», quel sindaco così estroso e guascone, instancabile e vanesio da essere spesso accomunato al primo cittadino trevisano col quale si vantava d’avere ottimi rapporti, l’avevano inventato loro. Loro l’avevano candidato per il Polo, loro l’avevano eletto nel 1997 nonostante venisse da un passato gruppettaro dalle parti di Lotta Continua risciacquato nella pratica sindacale nella Uil e l’adesione al Pri con il quale aveva debuttato nei primi anni Novanta in consiglio comunale, loro erano stati traditi una sera d’agosto del 1999 quando il nostro, davanti a una pizza con il suo ex-avversario diessino, Carmine Dipietrangelo, aveva organizzato il ribaltone.

Fu durissima, allora, la reazione del Polo. Ancora si ricordano le due righe sprezzanti che Alfredo Mantovano e Salvatore Tatarella, fratello di quel Pinuccio che era stato l’artefice della scelta polista e dunque il primo dei traditi, mandarono al segretario dei Ds, Walter Veltroni: «Un contributo importante alla crescita dell’indecenza nell’azione politica». Lui, Giovanni Antonino, non fece una piega. E tirò diritto con la nuova giunta fino alle nuove elezioni fissate per la primavera del 2002. Elezioni alle quali si presentò sventagliando una serie di lavori pubblici realizzati e una raffica di 13 liste d’appoggio. Dieci delle quali tutte sue. E baciate da un incredibile successo. Al punto che non solo fu confermato sindaco con il 72,5% dei voti e una dote personale di 18 consiglieri, ma la sua lista principale, Centro Democratico, divenne il primo partito.

La sera stessa, fedele al voto che aveva fatto in campagna elettorale, si presentò negli studi di «Puglia Tv» con un barattolo di schiuma da barba, un pennello e una lametta. E procedette come promesso, al taglio dei baffi. Due bei baffi da Peppone che, sopravvissuti perfino alle perplessità di Silvio Berlusconi ai tempi forzisti, vennero sacrificati al nuovo corso e all’immagine sempre più manageriale e ambiziosa che il nostro aveva scelto di darsi. La poltrona di sindaco gli stava già strettina. E lì avrebbe rivelato in un’intervista a Repubblica : «Mi sento pronto a candidarmi a presidente della Provincia il prossimo anno. Si può fare. La legge non vieta il cumulo».

Certo, ogni tanto perdeva qualche pezzo. Un assessore indagato di qua, uno sotto inchiesta di là... Ma lui, come spiegò al settimanale locale Senzacolonne, non si crucciava più di tanto: «Ho introdotto sistemi diversi che possono essere discutibili ma hanno avuto risultati concreti. Io decido assumendo una responsabilità diretta, spesso senza neanche chiedere un parere tecnico, sapendo che si arriva al limite della norma. Sono un sindaco border line». Sempre sul filo. A rischio. Pronto in ogni occasione a spararla grossa. A provocare.

Lancia un invito ufficiale ai marziani perché vengano a Brindisi per il Capodanno del Duemila, facendo predisporre una piattaforma per i dischi volanti. Va alle feste in maschera vestendosi da monarca e portando al braccio la moglie vestita da regina. Mette a rischio le coronarie dei concittadini facendosi fotografare in vacanza in una catastrofica danza del ventre con abbondante esibizione di cotica. Annuncia che comprerà una pistola per difendersi da questuanti che «siccome ho risolto un casino di problemi pretendono ciascuno che risolva subito pure il problema suo» e comunica: «Se dovessi trovarmi nelle condizioni di usarla, garantisco che sparo».
Ma non basta. Chiede a Vittorio Emanuele di venire a Brindisi, al rientro in Italia, per ricordare i mesi in cui la città fu «capitale d’Italia». Riceve i contrabbandieri proprio mentre il ministro Enzo Bianco annuncia l’operazione «Primavera» contro il contrabbando. Istituisce il «Muro degli insulti» in modo che «chi vuole scrivere la sua contro il sindaco non insudici tutta la città».

Manda una lettera ufficiale al sindaco leccese Adriana Poli Bortone chiedendo la restituzione della colonna romana che faceva coppia con quella rimasta all’imbocco della Via Appia al porto brindisino. Colonna donata a Lecce, in ricordo della grazia ricevuta dall’amato da Sant’Oronzo durante la peste, nel 1654.

Per non parlare della volta che si fece fotografare ignudo per una rivista con indosso solo gli slip e la fascia tricolore. Un gesto stigmatizzato da un collega sindaco di Montebruno (Genova), Federico Marenco, che lagnandosi spiritoso dello spettacolo offerto da Antonino «con un pancione da quattro mesi», si augurava ricordando anche l’exploit di Gabriele Albertini «che smettano di posare seminudi i sindaci ed incomincino le Sindache», possibilmente quelle con misure «90-60-90». Lui finse di indignarsi: «Sono ben altre, le offese al tricolore!». Ma rideva. Come sorrideva ancora, raccontano, poche settimane fa, quando già s’aspettava le manette: «Ho cominciato ad alzarmi all’alba. Così, quando verranno a prendermi...». Border line fino all’ultimo.


    

 

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