ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su Secolo d'Italia
(Sezione:    Prima   Pagina   e Pag.    4)
martedì 5 aprile 2005

ALFREDO MANTOVANO

 

 Tutt’altro che un Papa “buonista”



 

Nei primi anni del pontificato di Giovanni Paolo II lo sforzo dei mass media e dei commentatori definibili progressisti è stato quello di criticare, anche duramente, le prese di posizione più significative del Pontefice. Sarebbe interessante ricuperare gli echi giornalistici dei discorsi tenuti durante la visita in Nicaragua, nel marzo 1983, quando il Papa – per ciò che diceva - fu contestato e più volte interrotto da gruppi di sandinisti, nel corso dell’Omelia della Messa celebrata a Managua (cui fece eco la solidarietà dei non pochi sandinisti di casa nostra), o della Istruzione sulla teologia della liberazione del 1984, formalmente pubblicata dalla S. Congregazione per la dottrina della Fede ma altrettanto formalmente approvata dal Santo Padre, o – last but not least – dell’enciclica Dominum et vivificantem, del 1986. E se il documento sulla teologia della liberazione fu criticato pesantemente, a Est e a Ovest, da una intellighenzia – non solo di sinistra - che prima della caduta dei muri non ammetteva che si parlasse del comunismo come della “vergogna del nostro tempo”, la Dominum et vivificantem, pietra miliare del magistero di Karol Wojtila, fu letta apertamente, sulle colonne di tanti dei quotidiani che in questi giorni grondano commozione, come un intollerabile attacco alla modernità (intesa non come mera contemporaneità, ma come ben individuato percorso culturale). Quell’enciclica, dopo aver ricordato che il peccato più grave, il peccato “contro lo Spirito Santo”, consiste nel dichiarato rifiuto della redenzione e della verità sull’uomo, cioè nella resistenza all’opera dello Spirito Santo, precisava senza incertezze che “il sistema che ha dato il massimo sviluppo e ha portato alle estreme conseguenze operative questa forma di pensiero, di ideologia e di prassi, è il materialismo dialettico e storico, riconosciuto tuttora come sostanza vitale del marxismo”. Erano gli anni in cui per commentare il magistero di Giovanni Paolo II i nostri mass media davano spazio ad Hans Kung …

E ancora, nel memorabile discorso col quale, nel giugno 1990, indicava le linee guida del Sinodo speciale sull’Europa, da Lui convocato a pochi mesi dal crollo della Cortina di ferro, il Pontefice spiegava che il marxismo non veniva fuori dal nulla, ma rappresentava “la forma estrema” di un “processo intellettuale che ha attraversato la coscienza europea (e non solo quella) tra il XIX e il XX secolo”: un processo che prende le mosse dall’abbandono della filosofia dell’essere con Cartesio, e prosegue con Kant ed Hegel. Il Sinodo, poi, riprendendo l’insegnamento del Papa, avrebbe proclamato che la rovina del comunismo poneva in crisi l’intero percorso culturale e politico dal quale il comunismo è scaturito e sul quale si è innestato. Chissà se tutto questo è presente alla mente e alla memoria di chi due giorni fa, rivendicando in altra sede la coerenza intellettuale proprio con quel percorso, ha fatto affiggere i manifesti col volto di Giovanni Paolo II, definendolo “un uomo buono”.

In seguito lo spartito è stato modificato. Da parte dei più si è attenuata la critica aperta e aspra; poiché l’aggressione frontale non era riuscita a circoscrivere il peso e la portata dei suoi insegnamenti, né aveva scalfito il suo seguito tra le folle e tra i giovani, si è tentato – se è lecita la terminologia – di esorcizzare laicisticamente il Papa, presentandolo come una sorta di nonno benevolo (per l’appunto, “un uomo buono”), sempre più acciaccato, e per questo meritevole di tenerezza perfino da chi non condivide i suoi interventi. Ma perché sottolineare la non condivisione, quando è sufficiente ignorarli? Quello stesso Pastore, del quale esistono migliaia di fotogrammi con i bambini tra le braccia, posti al centro delle prime pagine di tanti quotidiani il giorno della sua morte, ha scritto pagine e ha pronunciato parole memorabili sulla sacralità del diritto alla vita, oggi puntualmente ignorate dalla gran parte delle medesime testate giornalistiche. Basta pensare, fra gli innumerevoli documenti, alla Evangelium vitae, del 1995, che non si limitava a dire che l’aborto equivale all’uccisione di una vita umana innocente, ma inseriva il tema della difesa della vita in un quadro propriamente apocalittico: “ci troviamo di fronte a uno scontro immane e drammatico tra il male e il bene, la morte e la vita, la “cultura della morte” e la “cultura della vita”. Ci troviamo non sono “di fronte”, ma necessariamente “in mezzo” a tale conflitto”. Nello stesso documento Giovanni Paolo II denunciava senza mezzi termini “una oggettiva “congiura contro la vita”, che vede implicate anche Istituzioni internazionali, impegnate a incoraggiare e a programmare vere e proprie campagne per diffondere la contraccezione, la sterilizzazione e l’aborto”, con mass media “spesso complici di questa congiura” (perché meravigliarsi del mancato riconoscimento del Nobel?).

Sia chiaro. Non si dubita della sincerità dell’emozione che la morte di Giovanni Paolo II ha provocato nei credenti e nei non credenti. Il popolo ha manifestato il proprio dolore; tante persone, con o senza responsabilità pubbliche, hanno pianto. Hanno pianto e piangono con una disposizione d'animo composita: vi è in loro la gioia perché al Pontefice - Giovanni Paolo Magno - "resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, [gli] consegnerà [...] e non solo a [lui], ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione." (2 Tim. 4, 8); vi è in loro il dolore per la morte di un vero Padre; vi è in loro anche la pace frutto della consapevolezza che la morte di un santo Pontefice non inficia la vita della Chiesa, la quale, pur essendo immersa nella storia, non ne è travolta, perché la sua origine è fuori del tempo.

E’ comprensibile che le immagini televisive privilegino aspetti curiosi e simpatici della figura del Papa. Ma non bisogna fermarsi al depliant dei viaggi svolti o ai CD delle battute estemporanee. Chi ha responsabilità pubbliche - in particolare i politici e i titolari dei mass media – può scegliere se continuare nell'arte della retorica e del conio delle frasi le più toccanti possibile, ovvero rendere le parole coerenti col pensiero: in tal caso, se si ritiene realmente il pontificato di Giovanni Paolo II di straordinario spessore, non si può, per conseguenza, non essere convinti che questo Papa ha donato un corpus dottrinale che ancora attende di essere compiutamente conosciuto, quindi studiato, quindi accettato e messo in pratica. Saranno necessari anni di riflessione e di approfondimento per cogliere la portata non solo delle 14 encicliche, ma anche del contenuto delle esortazioni apostoliche post-sinodali, delle lettere, delle allocuzioni, dei discorsi. Quanto più si avrà voglia di uscire dai condizionamenti emozionali e adoperare categorie razionali, tanto più si coglierà la profondità dei suoi insegnamenti e se ne onorerà concretamente la memoria.

Senza "selezionare" i passaggi più consoni ai propri "gusti" (arrivando a leggere l’intervista di un premio Nobel che lo definisce “ultimo comunista”!). Con lo sforzo sincero di non edulcorare con ricordi e aneddotica di umana – spesso straordinaria – simpatia la sostanza di un Magistero che interroga, scuote e fornisce indicazioni di cristallina chiarezza ancora tutte da esplorare.


 

 

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