ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su Secolo d'Italia
(Sezione:    Prima   Pagina e      Pag. 5 )
Venerdì 22 aprile 2005

ALFREDO MANTOVANO

 

 L’invito del Papa: «Purificare la memoria»



 

Sorprende leggere e ascoltare i commenti di tanti, legati dal filo conduttore di categorie assolutamente inadeguate per la Chiesa. La cui tonaca certamente tocca terra e si sporca; i cui uomini altrettanto certamente indossano le scarpe come ciascuno di noi; ma la cui testa non può essere misurata col decimetro di Cartesio. Destra, sinistra, conservatore, progressista: che senso ha tutto questo per comprendere un corpo - quello di Sancta romana ecclesia - che non a caso viene detto "mistico", e per il quale importa anzitutto la dimensione del sopra e del sotto, prima di ciò che sta da un lato o dall'altro? Peggio ancora se alle categorie politiche si affiancano categorie emozionali, del tipo "ottimista" o "pessimista", quasi che la sostanza di un Pontificato possa coincidere con l'umore o con certi aspetti del carattere (peraltro arbitrariamente interpretati). Pastore tedesco, titola il manifesto per sintetizzare il profilo del nuovo Pontefice: viva la schiettezza, più apprezzabile rispetto a quella di chi, all'esito del Conclave, ha ricomposto il volto, si è aggiustata la cravatta e poi, malcelando la delusione, si è lanciato negli auspici di quello che, "secondo lui", potrebbe o dovrebbe fare Papa Benedetto XVI.

Se il nome di Karol Wojtyla, pronunciato dal protodiacono la sera del 16 ottobre 1978, aveva suscitato curiosità e attesa - poiché nessuno sapeva chi fosse effettivamente -, il nome di Joseph Ratzinger non ha avuto bisogno di spiegazioni per i fedeli che, in piazza San Pietro e nel mondo, lo hanno ascoltato mentre era scandito. E anche per chi non abbia letto i documenti della Congregazione per la dottrina della fede, nel periodo in cui il cardinale bavarese ne è stato il prefetto, o le decine di libri che ha scritto, è sufficiente la sintesi mirabile dell'omelia di lunedì, nella Messa pro eligendo Pontifice, per comprendere chi sia e quale sia la sua capacità di cogliere i "segni dei tempi" alla luce della fede in Cristo.

Non è difficile cogliere le radici del lavoro che Benedetto XVI ha già avviato nell'enorme patrimonio magisteriale ricevuto dal suo immediato predecessore, non a caso largamente ricordato nel discorso tenuto mercoledì ai cardinali. La semina, estesa in tutto in mondo da Giovanni Paolo II, fatta di encicliche, di allocuzioni, di discorsi, di lettere apostoliche, non è compiutamente conosciuta neanche ai livelli medio alti del corpo ecclesiale: per la sua mole, per la sua qualità, e anche per la (cattiva) abitudine di accontentarsi delle sintesi mediatiche dei documenti pontifici, invece della loro lettura integrale. Ogni sintesi è necessariamente arbitraria, pur se tutti i media fossero animati dalle migliori intenzioni. Questa semina va assimilata, coltivata, fatta ulteriormente fruttificare, per evitare che gli avversi "venti di dottrina" e le "mode del pensiero" la disperdano; l'enorme "domanda" di fede (per usare un termine dell'economia, mutuato dalla migliore e più attuale sociologia delle religioni), testimoniata dalle code interminabili e oranti davanti al feretro di Giovanni Paolo II, attende una "offerta" credibile e salda: con buona pace degli auspici di tanti laicisti e sinistri delusi.

Che la continuità sia uno dei fondamenti del nuovo Pontificato è confermato dal passaggio del discorso ai cardinali nel quale Papa Ratzinger afferma "con forza la decisa volontà di proseguire nell'impegno di attuazione del Concilio Vaticano II, sulla scia dei miei predecessori e in fedele continuità con la bimillenaria tradizione della Chiesa". Come in passato qualcuno tentava di "addomesticare" Giovanni Paolo II, anche stavolta l'attenzione dei media è stata portata sulla prima parte della frase - "l'impegno di attuazione del Concilio Vaticano II" -, per concludere, anche solo implicitamente, che l'ex prefetto del S. Uffizio, ora che è Pontefice, ha già cominciato a muoversi diversamente rispetto a quando era cardinale. Il seguito - "in fedele continuità con la bimillenaria tradizione della Chiesa" - chiarisce ancora una volta, come in ripetute occasioni aveva fatto Papa Wojtyla, che non è vero che la Chiesa ha sbagliato per 1962 anni, salvo poi a trovare la via dell'apertura e del dialogo col Concilio; ma che il Vaticano II è non "il" Concilio bensì il XXI di una serie, e che è la tradizione bimillenaria della Chiesa la Chiave interpretativa del patrimonio del Vaticano II (del quale forse tanti suoi improvvisati apologeti potrebbero iniziare a leggere i documenti, dopo averli tanto a sproposito chiamati in causa).

Vi è però un altro brano del discorso di mercoledì che richiama l'attenzione: "ciò che urge maggiormente - dice il Papa - è quella purificazione della memoria tante volte evocata da Giovanni Paolo II, che sola può disporre gli animi ad accogliere la piena verità di Cristo". Questa espressione - "purificazione della memoria" - è stata adoperata di recente (in un messaggio del 28 ottobre 2003) da Papa Wojtyla: "(...) è necessario in primo luogo riconciliarsi con il passato, prima di avviare un processo di riconciliazione con altre persone o comunità. Questo sforzo di purificare la propria memoria comporta sia per gli individui che per i popoli il riconoscimento degli errori effettivamente compiuti e dei quali è giusto chiedere perdono (...). Ciò talvolta domanda non poco coraggio e abnegazione". Dopo il crollo dei muri e delle ideologie l'archiviazione nei fatti degli orrori del XX secolo non passa dalla cancellazione, o anche solo dalla edulcorazione, del loro ricordo; passa dalla capacità di operare una ricerca storica seria e tendenzialmente obiettiva. E per nessuno si compie una volta per tutte: è un processo, ha bisogno di richiami e di tempi di assimilazione e di adesione sincera.

"Purificare la memoria" significa anche ricordare ciò che la civiltà, prima ancora che l'Europa, devono a Benedetto e ai suoi monaci: i quali hanno arato e seminato contemporaneamente i campi e le coscienze dei popoli europei. In un momento di profonda confusione e di disorientamento, quando la dissoluzione dell'impero romano veniva percepita come la fine "del" mondo e non "di un" mondo, l'Europa è diventata fucina di civiltà: diverse culture si sono dapprima scontrate, poi amalgamate sempre di più, fino ad assumere una fisionomia nuova ed omogenea. Questo non sarebbe accaduto se la Chiesa non fosse intervenuta in tale processo. Solo la Chiesa ha potuto ricoprire questo ruolo essenziale, perché annunciatrice di una fede, ma non portatrice di una propria specifica cultura. L'opera di inculturazione ha permesso alle diverse culture di entrare in relazione - purificandosi - con la medesima fede, convergendo fra di loro verso questo centro unificante. Se il Cristianesimo non avesse svolto questo lavoro, l'Europa sarebbe stata una semplice appendice geografica dell'Asia, perché non ha né l'estensione territoriale, né il carattere fisico, né l'omogeneità etnica di un continente.

In un'epoca, quale quella attuale, di confusione e di disorientamento altrettanti profondi, un nuovo Benedetto, sedicesimo Pontefice con questo nome, raccoglie, in continuità con Giovanni Paolo il Grande, il compito di rievangelizzare il mondo, partendo dalla rievangelizzazione dell'Europa. Il cui futuro, dopo la follia del rinnegamento delle proprie radici, dipenderà pure da come saprà continuare ad assimilare e a sviluppare lo spirito e l'esempio del Benedetto di quindici secoli fa e di quello che oggi ne prosegue l'opera.


 

 

vedi i precedenti interventi